«Contro le teorie del complotto informazione ma anche humour»

Il coronavirus è stato creato in un laboratorio; è un’arma degli americani contro i cinesi; un vaccino è già stato scoperto ma viene tenuto nascosto secondo una strategia ben precisa. Le teorie del complotto generatesi attorno al COVID-19 sono numerose. E, per certi versi, seducenti. Ci spiega il perché Pascal Wagner- Egger, professore di psicologia sociale all’Università di Friburgo.

Professor Wagner-Egger, perché facciamo tanta fatica ad accettare il coronavirus per quello che è: una pandemia scoppiata senza che dietro ci sia alcun disegno predefinito?
«Le persone fanno fatica ad associare un avvenimento importante a una causa che non lo è: il caso, la fatalità o la semplice contaminazione dall’animale all’uomo. Prendiamo per esempio la morte di Lady Diana: alcuni stentano a credere che dietro di essa vi sia solo un incidente stradale o l’alcol assunto dall’autista. Ci sono diversi fattori che ricorrono sempre nelle teorie del complotto. Innanzitutto, quelli di tipo cognitivo: modi di pensare particolari che tutti hanno e che tendono a incoraggiare queste teorie. La tendenza a credere che a un avvenimento importante corrisponda una causa importante è uno di questi. Ma ci sono anche altri fattori, come l’ansia. Oggi siamo immersi in una situazione caratterizzata dall’ansia: quello che stiamo vivendo non è estremamente pericoloso; al contempo però ci sono stati morti e abbiamo visto immagini terribili. In questa contingenza si propagano molte voci e proliferano le teorie del complotto, che altro non sono che tentativi di capire e spiegare ciò che sta succedendo. Mentre alcuni si fidano della scienza, altri cercano spiegazioni altrove, soprattutto chi nutre una certa diffidenza nei confronti del Governo, delle istituzioni e dei media. Il complotto permette di trovare un colpevole, un capro espiatorio. Se è un laboratorio o un Governo ad aver fabbricato il virus e ad averlo diffuso, io sono in grado di punire questo colpevole, di vendicarmi. Questo mi dà l’illusione di avere il controllo della situazione».

Una diffidenza, quella nei confronti dei canali ufficiali e delle autorità, che si rivela quindi essere fatale.
«Constato che, per quanto riguarda il coronavirus, le persone sono più scettiche nei confronti delle teorie del complotto: la maggior parte della popolazione segue le raccomandazioni del Governo e del corpomedico. D’altraparte, la sfiducia di alcuni è un fatto. Ciò che in parte rassicura è che, quando la situazione diventa pericolosa come oggi è il caso, queste persone smettono improvvisamente di credere nella medicina alternativa (estranea al metodo scientifico, ndr), mentre in altri momenti hanno magari espresso posizioni antivacciniste: ciò significa che solo in assenza di pericoli ci si può permettere di essere contro il sistema».

Da dove viene una dose di sfiducia tanto massiccia da poter mettere in discussione la narrazione con il più alto grado di autorevolezza?
«La sfiducia verso le istituzioni si sta sviluppando da qualche anno. In questo senso, Internet non aiuta. La Rete prometteva la diffusione del sapere gratuito e democratico, l’accesso alla conoscenza da qualsiasi parte del mondo; una speranza meravigliosa. Al contempo, però, ci si è resi conto che tutti su Internet potevano mettere qualsiasi informazione e che quella utile o interessante sarebbe annegata in un mare di fake news. Si tratta di un effetto perverso di Internet ed è per questo che alcuni in Rete cercano false informazioni e lì troveranno anche una conferma. Se sono già un po’ complottista, infatti, diffiderò di tutto ciò che succede e tenderò a imbattermi in altri complotti: è un circolo vizioso. E più cercherò questo tipo di contenuti, più ne troverò».

È noto che le fake news hanno il potere di fare più presa sull’opinione pubblica delle notizie verificate. Questo di fatto significa che noi giornalisti potremmo anche cambiare mestiere.
«C’è la diffidenza nei confronti della politica, quella verso i media tradizionali e quella verso la scienza. Ed è preoccupante, anche dal punto di vista della democrazia: se tutti diffondono false informazioni, e si è visto bene all’epoca della votazione sulla Brexit o dell’elezione di Donald Trump, si possono verificare interferenze nelle democrazie. Devo dire che in questa crisi epidemica sono meno preoccupato, perché vedo che molte persone hanno fiducia nella scienza e nei media. È importante lavorare sulle teorie del complotto, non solo in università (Wagner-Egger è attivo anche al di fuori del mondo accademico, ndr), cercando di trasmettere lo spirito critico. Va trasmessa la consapevolezza che esistono anche veri complotti, scoperti da investigatori professionisti che hanno trovato prove, si pensi al Watergate o al caso Crypto; ma sono molto rari e vanno distinti dalle teorie discutibili».

C’è da dire che è difficile farlo in un periodo in cui persino i capi di Stato, come Jair Bolsonaro, contribuiscono alla diffusione di fake news.
«Questo a parer mio è più inquietante delle teorie del complotto. Populisti come Bolsonaro o Trump, che inizialmente ha negato la gravità dell’epidemia, sono veramente pericolosi. In questo caso siamo in presenza delle stesse correnti antisistema populiste di cui abbiamo parlato prima; con la differenza che sono al potere. Nei nostri studi abbiamo riscontrato che la maggior parte delle persone che credono alle teorie del complotto appartengono agli estremi politici e soprattutto all’estrema destra. Bolsonaro e Trump vanno a cercare i loro sostenitori in quel tipo di elettorato».

Questo genere di teorie ha il potere di amplificare la sensazione di panico collettivo. C’è quindi un pericolo anche a livello di coesione sociale.
«È così. Possono essere molti gli effetti negativi, tra cui razzismo e antisemitismo. Anche la diffidenza nei confronti delle autorità si ripercuote sulla società: le persone che credono alle teorie del complotto, per esempio, tenderanno a fare vaccinare meno i propri figli. Un minimo di fiducia nelle istituzioni è l’ingrediente di base della democrazia. Se non mi fido più del sistema giudiziario, della polizia, di nulla, la democrazia diventa invivibile. Un altro esempio arriva a toccare persino l’estremismo terrorista: tra gli islamisti radicali circolano storie su un ipotetico complotto americano-sionista, utilizzate a fini di reclutamento».

Come possiamo reagire a un amico o a un conoscente che è completamente assorbito da una di queste teorie?
«Dipende dallo stadio in cui si trova: esiste un percorso, come in una setta. Alcuni sono semplicemente interessati da una di queste teorie, perché ci si può anche voler solo informare. Bisogna capire che, quando le persone sono all’inizio del percorso, si può facilmente dialogare con loro. Quando si è raggiunto lo stadio finale, però, allora si ha a che fare con gente che vede complotti ovunque. In questi casi limite, caratterizzati da uno stato che gli psichiatri chiamano paranoia, non si può più fare nulla. Ma si tratta di fattispecie rare. Se ci si vuole approcciare a qualcuno che non è ancora arrivato a questo punto, quello che si deve fare è visitare i siti di debunking, che smontano i complotti. Devo riconoscere che l’argomentazione complottista, soprattutto per uno alle prime armi, risulta essere seducente, ricca di piccoli dettagli strani che fanno mettere in dubbio la versione ufficiale dei fatti. Le assicuro che dopo una ventina di elementi strani di questo genere si arriva a dire: ma questa storia è davvero strana. Anche a me è già successo. Fortunatamente i siti di debunking offrono spiegazioni per tutte queste presunte stranezze. Per esempio, la NASA ha smontato, portando le reali spiegazioni, tutti gli elementi complottisti che ruotano attorno alla missione Apollo. Ma senza le spiegazioni della NASA e non essendo specialisti dello spazio e della Luna non è possibile sapere certe cose».

Quindi il vaccino contro queste teorie è l’informazione, il debunking e lo spirito critico?
«Sì, e aggiungerei lo humour. Ci sono molti video umoristici in francese che prendono in giro la tendenza a interpretare delle coincidenze. È interessante anche notare come siano soprattutto le persone un po’ ai margini della società e quelle meno istruite a credere di più a questo genere di contenuti. Questi gruppi si sentono abbandonati dal sistema e per forza di cose sono più diffidenti nei suoi confronti».

Anna Riva
Per gentile concessione del Corriere del Ticino
Mercoledì 8 aprile 2020

Evoluzione «Il nostro sistema di pensiero a volte è inadatto»

Eroi e fiction
Tutti noi siamo interessati dalle teorie del complotto. Il credere che un avvenimento importante debba avere una causa importante è un fenomeno che tocca tutti: si tratta di schemi di pensiero che accrescono l’attrattività del complotto. «Questo significa che tutti, presto o tardi, possiamo crederci, anche se ci sono persone più inclini a pensare in questi termini», rileva l’esperto. La prova? Pensiamo alla fiction cinematografica: «È molto più interessante se l’eroe scopre un grande complotto nascosto dietro agli avvenimenti». Il nostro cervello si è evoluto per sopravvivere e il nostro sistema di pensiero, suddiviso in un sottosistema intuitivo (sostenuto dall’evoluzione) e in uno analitico (che si sviluppa con l’educazione), talvolta è inadatto per certe cose. Alcune semplici prove, costituite da una serie di domande trabocchetto, servono a testare il sistema intuitivo. Immaginate per esempio di stare partecipando a una gara di corsa; a un certo punto sorpassate colui che è secondo in classifica. Qual è la vostra postazione? Secondi, non primi. «Anche chi dà la risposta giusta d’impulso dirà di essere primo per poi riflettere solo in un secondo momento».

C’è chi crede che il coronavirus sia frutto di un piano studiato a tavolino.
© SHUTTERSTOCK/DAVID MARCHON

Gli esseri umani tendono a pensare che a un avvenimento importante debba corrispondere una causa importante