Coronavirus: aumento dei casi con l’avvicinarsi dell’inverno

Dopo il lockdown primaverile, la Svizzera ha fortemente allentato il suo piano di lotta contro il coronavirus. Nonostante l’introduzione di misure di protezione, il numero di contagi è nuovamente aumentato in autunno. La seconda ondata della pandemia ha colpito il paese.

All’inizio di ottobre, quando il numero di casi di contagi di coronavirus è aumentato improvvisamente in tutta la Svizzera, l’epidemiologo basilese Marcel Tanner ha avvertito: il paese è meno restrittivo dei suoi vicini nella lotta contro la pandemia. «Ogni individuo deve dunque essere sempre più cosciente che è corresponsabile dell’evoluzione della situazione», ha ribadito Tanner. Senza disciplina in materia di regole di distanza e di igiene, l’approccio liberale svizzera non funziona. Per un certo periodo sembrava funzionare benissimo. Costatando che le riaperture prudenti dopo il lockdown non hanno portato ad un nuovo aumento dei casi, il Consiglio federale aveva rapidamente deciso altre misure di allentamento. E subito si è avvertito un sollievo collettivo.
«Siamo capaci di gestire il Coronavirus», si rallegrava il capo del Dipartimento dell’interno Alain Berset in maggio. La presidente della Confederazione, Simonetta Sommaruga, parlava dal canto suo di una «nuova normalità». Il virus non era scomparso, ma le misure di accompagnamento permettevano ai cittadini di ritrovare alcune libertà, e ai settori più colpiti di riprendere le loro attività. Si poteva ritornare al ristorante, nei negozi, nei club. Si è potuti tornare a scuola e in ufficio. Si poteva ricominciare a viaggiare e a fare manifestazioni, con il concetto di protezione e talvolta con la registrazione dei dati. Ecco a cosa era la «nuova normalità». Anche il Parlamento è tornato a riunirsi, a metà giugno, e a metà giugno la Confederazione ha delegato le redini del potere ai cantoni, ponendo fine alla situazione straordinaria che le conferiva competenze speciali in virtù della legge sulle epidemie.

Estate più rilassante
In linea di principio si è ritenuto preferibile reagire puntualmente ai contagi locali piuttosto che imporre misure a livello nazionale. La Svizzera ha perseguito una strategia di contenimento e di test. Per eliminare rapidamente i focolai di infezione, i cantoni hanno elaborato il tracciamento dei contatti (il cosiddetto “contact tracing”). Chiunque avesse frequentato una persona infetta veniva avvertito e, se necessario, messo in quarantena dal medico cantonale. Migliaia di persone hanno dovuto sottoporvisi: nottambuli, sportivi, fedeli religiosi e perfino un consigliere federale. Quando in giugno i contagi sono di nuovo aumentati, il governo federale è intervenuto ancora una volta per rendere obbligatorio l’utilizzo della mascherina su tutti i mezzi di trasporto pubblico e a partire da luglio imponendo una quarantena ai viaggiatori che rientravano da una regione a rischio.
Numerosi Svizzeri hanno tuttavia trascorso le loro vacanze nel paese. L’atmosfera era più distesa rispetto alla primavera, anche senza i grandi festival open air e senza le celebrazioni del 1° agosto. I raduni contro le rimanenti restrizioni di coronavirus non hanno attirato le masse. Ci si è nuovamente allarmati solo quando il tasso di contagi ha ricominciato a crescere tra luglio e settembre. Le cifre restavano più basse rispetto a marzo e ad aprile, si contavano meno ospedalizzazioni e decessi. Ciononostante, dal lato della comunità scientifica si sono sentite voci di monito. La Svizzera ha dovuto reagire per evitare che in seguito si verificassero sviluppi peggiori, ha consigliato con lungimiranza la virologa ginevrina Isabella Eckerle. Alcuni cantoni hanno rafforzato le misure, ma la Confederazione è rimasta sulla sua linea flessibile, revocando il divieto per i grandi eventi.

Autunno inquieto
A partire da ottobre, le partite di calcio e di hockey hanno nuovamente potuto aver luogo alla presenza di 1000 spettatori, come pure i concerti, mediante piani di protezione rigidi e un permesso cantonale. A fine febbraio, la Svizzera era stata il primo grande paese europeo a vietare i grandi assembramenti. Ora, essa è anche la prima ad allentare le misure. «Dobbiamo imparare a convivere con il virus», ha dichiarato il ministro della salute Alain Berset. Le associazioni sportive e culturali hanno salutato questo passo, mentre la maggior parte dei cantoni avrebbe voluto attendere fino alla fine dell’anno: un vero esercizio di equilibrismo.
Dai primi giorni di ottobre, i nuovi contagi sono aumentati drasticamente. Se, all’inizio di giugno, si contavano meno di 20 nuovi casi positivi al giorno, alla fine di ottobre se ne registravano 7000: un nuovo picco dopo l’inizio della pandemia. Il tasso di positività dei test effettuati ha superato in modo significativo il valore soglia entro il quale si può ritenere che un paese abbia sotto controllo la pandemia, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Si è ritornati a preoccuparsi, poiché il numero di ospedalizzazioni e di decessi ha continuati a crescere. La task force Covid-19 ha dichiarato che ridurre il numero dei casi era la «priorità assoluta» e che se il tracciamento dei contatti non fosse più stato possibile, la situazione avrebbe rischiato di sfuggire a qualsiasi tipo di controllo.

Dati mancanti
Beninteso, si sapeva che il numero dei casi poteva aumentare nuovamente con l’arrivo del freddo e il rientro negli spazi chiusi. Ma come ha potuto verificarsi in Svizzera una crescita così rapida e vigorosa, benché all’inizio della pandemia la Svizzera fosse un allievo-modello? Alain Berset ha dovuto arrendersi all’evidenza: «La situazione sta peggiorando più in fretta che altrove». La gente ha iniziato a cercare i colpevoli. In Parlamento e all’estero, si sono alzate voci per denunciare l’inadeguatezza del sistema federale decentralizzato della Svizzera in tempo di pandemia e chiedere al governo di riprendere la situazione in mano. I cantoni hanno di fatto gestito ad esempio l’obbligo di indossare la mascherina nei luoghi chiusi in maniera molto diversificata. Anche la trasmissione alla Confederazione dei dati relativi al tracciamento dei contatti ha lasciato a desiderare. Risultato: gli ambienti scientifici non disponevano di dati per sapere dove avvenivano i contagi.
A ciò si è aggiunta l’insofferenza di una parte della popolazione. Nell’espressione «nuova normalità», alcuni sembravano capire solo la seconda parola. Le valutazioni contrastanti degli scienziati - espressione di libertà di opinione e di ricerca - non hanno contribuito a chiarire la questione tra la popolazione. Confederazione e cantoni hanno dunque invitato i cittadini a rispettare rigorosamente le regole di protezione per evitare un secondo lockdown. «È mezzanotte meno cinque», ha affermato Simonetta Sommaruga. La Svizzera è ricaduta nell’incertezza molto prima delle prime nevicate. Le feste natalizie potranno aver luogo o dovranno essere spostate all’aperto, come ha proposto a titolo preventivo l’epidemiologo Marcel Tanner?

Susanne Wenger

Questo testo riflette l’evoluzione della situazione fino alla chiusura della redazione, a metà ottobre. Analisi della situazione da parte della task force Covid-19 in tre lingue: www.ncs-tf.ch/fr/

Dopo il mese di settembre, il Consiglio nazionale si riunisce nuovamente a Palazzo federale. La venerabile sala del Consiglio nazionale è stata dotata di 200 cabine in plexiglas. Foto Keystone