“Il peggio (non) è passato”: aneddoti di una mamma italiana in Svizzera

Interessante, divertente, istruttivo il libro di Linda Fallea

Per gentile concessione dell’autrice e dell’editore (islandbooks), Gazzetta Svizzera è lieta di pubblicare alcuni capitoli del libro che Linda Fallea ha dedicato all’esperienza – sotto vari aspetti, ma soprattutto quello della maternità – della sua emigrazione in Svizzera. In contesti diversi e talvolta distanti (almeno quanto da Zurigo alla Sicilia), i nostri lettori potranno apprezzare e magari rivivere momenti importanti delle loro esperienze di emigranti in Italia. Accanto alla presentazione del testo e dell’autrice ospitiamo oggi, oltre al primo capitolo, anche la prefazione di Alice Malerba.

Introduzione
Amelia, passionale come Sofia Loren, ama la sua Italia, il mare e la pizza, ma soprattutto ama il suo ragazzo, tanto da lasciare tutto per diventare sua moglie e seguirlo a Zurigo. Si trova, dunque, in una terra estranea ma che adora; qui, finalmente, può mettere a frutto gli anni di studio e i sacrifici fatti all’università, intravedendo di già una scintillante carriera. Il destino beffardo, però, gioca d’anticipo e inaspettatamente Amelia si trova a vivere -con il suo temperamento- l’avventura più sconvolgente della sua vita: la maternità! Senza perdere il suo spiccato senso dell’umorismo, fatica non poco a ritrovarsi tra pannolini e responsabilità di ogni sorta. Decide così di partecipare ad un gruppo d’ascolto per genitori, dove ciascuno annota le proprie esperienze su di un diario che, se vorrà, potrà condividere con il gruppo. Dopo aver ascoltato gli altri in rigoroso silenzio (complice una iniziale non perfetta competenza linguistica), esce fuori in tutta la sua entusiasmante italianità! È così che, volta dopo volta, attraverso i suoi racconti spassosi e concreti, Amelia “ammalia” i genitori presenti alle riunioni, trasportandoli in un continuo viaggio tra finzione e realtà, portando al gruppo il suo punto di vista un po’ diverso e a tratti esilarante.
Per acquistare il libro https://islandbooks.ch/verlag/

Prefazione (di Alice Malerba)
Linda ha il volto solare di una donna che non passa inosservata: lunghi capelli ramati che scappano voluminosi da qualunque tentativo di contenimento; un sorriso contagioso che sembra aprirsi sempre, a priori, per tutti; occhi di un verde tanto brillante da trapassare il filtro vitreo degli occhiali per colpire al centro l’obiettivo della sua innata curiosità. Può intimidire inizialmente tanta vitalità, ma lei è la rappresentazione vivente della sua terra d’origine, che predomina a dispetto della sobrietà del luogo in cui vive con la sua famiglia. Il suo modo di essere racconta molti aspetti del suo libro: la scrittura scorrevole e immediata che sa coinvolgere qualunque genere di lettore, diverte e scalda, proprio come lei, già dai primi minuti di conoscenza. Poi, a fermarsi ed ascoltarla, emerge gradualmente una sensibilità sottile e profonda, con la quale guarda alla sua esperienza di vita. Ed è la stessa lente con cui ha indagato tra le parole scritte, alla ricerca di riflessioni che scavassero oltre la tenerezza e l’esilarante, per trovare un senso per se stessa e anche per noi lettori.

Ogni capitolo può essere letto e goduto nel suo con-testo divertente, dolce, a volte curioso; oppure inseri-to nel filo drammaturgico che lega indissolubilmente ogni pensiero e che racconta anche le difficoltà, i duri momenti di disorientamento, le nostalgie di una donna e madre nella sua vita all’estero.

Ciò che emerge lampante a fine lettura è la costante ricerca della commistione tra due culture, quella italiana e quella svizzera, con l’obiettivo di crescere figli sereni e integrati, senza mai escludere le origini famigliari. Lo sguardo attento di Linda sul suo mondo trasmette simpatia e empatia; ci si riconosce senza bisogno di vivere in Svizzera, perché le rela-zioni umane che racconta sono universali e presenti nella vita di tutti. Ho apprezzato questa lettura perché ricca di curiosità per chi non conosce il contesto culturale in cui l’autrice è immersa; ma anche intrisa di ironia che è la chiave su cui Linda Fallea costruisce le sue trame e ci permette, anche nei finali più malin-conici, di ritrovarci con un sorriso.

Linda Fallea Buscemi nasce a Palermo (Italia) dove, dopo gli studi umanistici, si laurea in giurisprudenza. All’età di ventinove anni si trasferisce a Zurigo (città d’origine del marito), dove nascono i suoi due figli. Qui si diploma Consulente VAE (validazione degli apprendimenti esperienziali - IUFFP di Lugano) e in qualità di formatrice di adulti insegna italiano come lingua straniera e italiano giuridico-commerciale. È collaboratrice editoriale; la cultura italiana è la sua passione ed è per questo che organizza incontri legati alla sua diffusione nella Svizzera tedesca. Sempre a Zurigo, approfondisce le tecniche del Playback theatre -Teatro dell’improvvisazione- e si dedica al volontariato. Ama dipingere ad olio e la Sicilia è presente, oltre che nei suoi quadri, dentro ad ogni cosa che fa.

“Il peggio (non) è passato”: aneddoti di una mamma italiana in Svizzera – Islandbooks –
«Svizzerizzazione» di una mamma italiana

Lo so… lo so… in italiano non si dice svizzerizzazione, ma visto che l’Accademia della Crusca ha accettato petaloso – ossia pieno di petali – come un possibile nuovo termine da inserire nel vocabolario della lingua italiana, credo che svizzerizzazione possa ben indicare il processo di integrazione in terra elvetica e mi piace concedermi, dunque, tale bizzarria terminologica. Del resto -mi chiedo- perché sul vocabolario troviamo, per esempio, “francesizzazione” (che indica un adattamento agli usi o alle abitudini francesi) e non anche svizzerizzazione? Ho il difetto (o il pregio…) di mettere in discussione quasi tutto e tutti, soprattutto me stessa. Mi presento: sono Amelia!

A prescindere dalla cittadinanza svizzera – ottenuta senza grandi difficoltà, in quanto moglie di un italosvizzero –, ripensando al mio processo d’integrazione a Zurigo, devo riconoscere che questo si sia avviato dal mio ingresso per la prima volta in sala parto. Fino a quel momento avevo mantenuto pressoché intatta quasi ogni abitudine della mia vita precedente; ma attenzione… non sto parlando certo di reincarnazione: mi riferisco a quel bagaglio culturale fatto di tradizioni, abitudini, cicli che scandiscono il trascorrere degli anni e degli eventi della vita di una persona, in una terra piuttosto che in un’altra. Certo, quando si cambia paese da adulti, una sorta di rinascita c’è, anzi è auspicabile. L’integrazione, si sa, è un processo piuttosto lungo, ma ci vuole sempre un input che lo avvii e sono sicura che, nel mio caso, il motore si sia acceso nel giro di alcune ore (… alcune si fa per dire: oltre ventiquattro di travaglio!). Fatto sta che in quell’occasione ho visto cambiare tutto, ma proprio tutto, in una clinica bellissima… al contrario di me -trafelata, sguardo infuocato e riccioli per aria-. La “mutazione” fisica, cominciata nove mesi prima, era solo l’inizio dell’ineluttabile cambiamento di vita nel quale mi trovavo a scivolare pericolosamente e ad una velocità indescrivibile. In quella stanza che non sapeva di clinica (ma di hotel di lusso) tutto era bello e perfetto… l’esatto opposto di come invece mi sentivo io dentro. Ogni cosa sembrava pronta ad accogliere la mia piccola, oltre ai miei nove chili (per fortuna quasi tutti riposti nella pancia, che nell’ultimo mese costituiva una serissima minaccia per chiunque mi capitasse a tiro, dato che sembrava esplodere da un istante all’altro). Quel quattordici marzo, nella sala parto, ho capito davvero che non ci sarebbe stata mai più volta, nella mia vita, in cui addormentandomi non avrei pensato a mia figlia; ma credo di poter far risalire proprio a quel giorno anche il vero inizio del mio processo di svizzerizzazione. L’ansia di “partorire in tedesco” è l’unica paura di una donna in attesa che non ho trovato in nessuna -dico nessuna- delle migliaia di pagine che mi sono sciroppata durante i nove mesi di gravidanza! Ho letto di non so quante paure che tormentano le madri nel corso di questi benedetti 9 mesi, ma nulla sulla mia di trovarmi in sala parto a dover tradurre o chissà, forse piangere in lingua tedesca! Questa incredibile ansia (per esempio, che i medici, nel tafferuglio, potessero dire parole per me incomprensibili, ma magari di vitale importanza) trovandomi sul fatto, ha lasciato subito il posto all’istinto di sopravvivenza; così ho cominciato a respirare ritmicamente, con la precisione di un orologio svizzero, come una macchina costruita a bella posta per un fine determinato: mettere al mondo la mia creaturina. Sentivo il mio respiro forte e controllato, mentre mio marito (cianotico tendente al verdastro) sudava, guardandomi incredulo e completamente esterrefatto -penso sinceramente che l’incredibile energia sprigionata da una donna che partorisce possa schiaffeggiare a pieno diritto l’ego di qualsiasi uomo, senza più possibilità, per lui, di vera ripresa-. Ad un certo punto la levatrice (non la lavatrice… come diceva sempre la mia ginecologa!) mi ha detto, con l’accento di Papa Ratzinger, “BuonCiorno, signora! Lei può anche pianCere o Cridare”… Ho avuto la sensazione, ripensandoci, che in quella stanza, all’improvviso, tutta la mia italianità fosse letteralmente implosa e non capivo se ciò costituisse un bene o un guaio. La mia bambina, dal canto suo, è venuta al mondo senza piangere e senza gridare. È stato ascoltando il suo silenzio che ho capito come i suoi geni paterni (quelli svizzeri, intendo) si stessero manifestando fin da subito: niente urla, niente tragedie ed io che ne ero la madre, non volevo essere da meno. Inebetita all’idea che a quella creaturina, d’ora in poi, avrei dovuto pensarci io -in qualsiasi parte del mondo-, ho realizzato quale fosse il mio nuovo ruolo, quello di madre! Siccome, però, i guai di rado vengono da soli e sono come le ciliegie – uno tira l’altro –, quello che mi ha sconvolta di più è stato capire che non solo ero madre ma ero una mamma italiana nella Svizzera tedesca… Paura! Ricordo di avere provato una indescrivibile e profondissima paura! Tutto era diverso. La mia compagna di stanza – che aveva partorito il giorno prima – per dirmi che il suo bebè dormiva “come un ghiro” (così diremmo in Italia), sorrideva dicendo che era “come morto”… come mooorto??? Ma che dice questa? In Italia non te lo sogni neppure di mettere la parola morto nella stessa frase in cui parli di un neonato! Porta male e in ogni caso è di un impareggiabile cattivo gusto! L’assurdità della situazione mi ha fatto sentire un forte ronzio nelle orecchie, ma piano piano mi sono sorpresa a ridere con lei. Mi cominciava a piacere sorridere di cose per le quali, prima, mai al mondo avrei riso. Una calma improvvisa sembrava dirmi che è bello stare qui. Non c’erano fuori dalla stanza orde di persone, parenti che l’ultima volta ti hanno vista splendida e raggiante il giorno del matrimonio (in abito da sposa) e che ora restano impalati lì ad aspettare di vedere come allatti (che orrore!). Penso che in clinica quel ronzio nelle orecchie non fosse altro che l’accensione del motore… il via alla mia consapevole volontà di integrazione: l’inizio della mia svizzerizzazione, appunto! Integrarsi, senza mai snaturarsi, non è un guaio… anzi! Del resto, per dirla con Seneca, “non c’è vento favorevole per chi non sa in che porto vuole andare”.

lindafallea.buscemi@hotmail.com
Per comprare il libro www.islandbooks.ch

La città di Zurigo, città nella quale vive Amelia, la mamma italiana che racconta le sue avventure. teatro dell’integrazione della mamma italiana.