L’industria d’armamento svizzera è sulla difensiva

L’armamento militare internazionale sta generando un boom dell’industria svizzera delle armi. Ma le esportazioni di armi sono giustificabili per un paese neutrale con un’immagine umanitaria? La pressione della società civile costringe la sfera politica ad agire.

Il 21 novembre 2022, prenderanno il via in Qatar i Mondiali di calcio. Per proteggere gli stadi e il paese, il ricco emirato petrolifero si sta aggiornando su vasta scala. L’emirato si è lanciato in una serie di acquisti in Svizzera ordinando dei sistemi di difesa antiaerea all’azienda Rheinmetall Air Defence per un valore di quasi 200 milioni di franchi. I cannoni, sviluppati e costruiti a Zurigo, eliminano droni e missili nemici con una precisione millimetrica. Il Consiglio federale ne ha autorizzato l’esportazione, benché il rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione sollevi delle questioni, in particolare per quanto concerne l’utilizzo dei lavoratori stranieri sui cantieri dei Mondiali. Ancora nel 2019, durante una valutazione, il Dipartimento federale degli affari esteri era giunto alla conclusione che in Qatar i diritti dell’uomo venivano sistematicamente e gravemente ignorati. Poteva trattarsi di un motivo di esclusione dell’esportazione di materiale bellico. Ma il Consiglio federale aveva invocato una clausola d’eccezione decretata nel 2014: se vi è un rischio minimo che le armi siano utilizzate nel paese di destinazione per commettere violazioni dei diritti umani, l’esportazione resta possibile. O, secondo l’interpretazione delle autorità: i cannoni di difesa antiaerea difficilmente sono adatti per opprimere la propria popolazione.

Armi in mani sbagliate
L’esportazione di materiale bellico si scontra con la crescente incomprensione della popolazione civile svizzera. A ciò si aggiunge il fatto che, in questi ultimi anni, la stampa ha rivelato sempre più casi nei quali le armi regolarmente fornite dalla Svizzera sono arrivate nelle mani sbagliate. Ad esempio, delle granate a mano che erano state vendute nel 2003 agli Emirati arabi sono riapparse anni dopo nella guerra civile in Siria. Il Qatar, da parte sua, aveva fornito illegalmente, dieci anni fa, delle munizioni svizzere a dei ribelli libici, il che aveva comportato una sospensione delle esportazioni. Per le persone critiche nei confronti della politica svizzera, questi esempi mostrano che le esportazioni di armi comportano numerosi rischi, anche per la reputazione della Svizzera in quanto difensore dei diritti dell’uomo.

Nel 2018, una vasta coalizione di organizzazioni di diritti dell’uomo, di organizzazioni di assistenza e di partiti ha lanciato l’iniziativa detta «correttrice». Essa prevedeva di iscrivere nella Costituzione le linee rosse da non superare in occasione dell’esportazione di armi: niente forniture ai paesi che violano sistematicamente i diritti umani o che sono implicati nelle guerre civili o in conflitti armati. Gli iniziativisti volevano così evitare che il Consiglio federale cedesse alla pressione del settore dell’armamento per facilitare le esportazioni. Sono comunque riusciti a raccogliere ben più delle 100’000 firme necessarie per una votazione popolare. La votazione non ha poi avuto luogo poiché il Parlamento, avendo captato il segnale della società civile, ha inserito direttamente nella legge criteri d’esportazione più severi. Gli autori dell’iniziativa si sono dichiarati soddisfatti e l’hanno ritirata.

Maggiori controlli democratici
«"L'iniziativa correttrice" ha soprattutto permesso di evitare che la situazione sfuggisse di mano», afferma uno dei suoi autori Josef Lang. L’ex consigliere nazionale dei Verdi e cofondatore del Gruppo per una Svizzera senza Esercito (GSsE) preferirebbe evidentemente un divieto totale delle esportazioni di materiale bellico. Ma il popolo svizzero non è di questo parere: nel 2009, un’iniziativa popolare in tal senso è stata respinta con il 68% dei voti. Nel 2020, è fallito un nuovo tentativo che voleva vietare il finanziamento dei produttori di materiale bellico: quasi il 58% degli Svizzeri ha espresso il proprio rifiuto in votazione popolare.

Secondo Josef Lang, "L'iniziativa correttrice" costituisce comunque un netto progresso: «Il controllo democratico è rafforzato e il Consiglio federale faticherà maggiormente a concedere agevolazioni». Se, finora, il governo poteva modificare i criteri applicati all’esportazione di armi, spetta ora al Parlamento esprimersi e in ultima istanza decide il popolo, sottolinea Lang. Il Parlamento non ha voluto concedere pieni poteri al Consiglio federale, che chiedeva di poter in ogni caso autorizzare delle eccezioni per «salvaguardare gli interessi del paese».

«Il controllo democratico è rafforzato e il Consiglio federale faticherà maggiormente a concedere agevolazioni in materia di disposizioni di esportazione».

Non si è molto contenti delle decisioni parlamentari: «Le conseguenze sono immense», ribadisce Matthias Zoller, direttore del Centro di lavoro sicurezza e tecniche di difesa, che rappresenta gli interessi delle aziende di materiale bellico. A medio termine, l’industria bellica lascerà la Svizzera, profetizza egli, per trasferirsi nell’Unione europea. L’UE investe otto miliardi di euro in un programma di insediamento dell’industria bellica: «Le imprese svizzere sono le benvenute in qualsiasi momento». Il futuro regime d’esportazioni non permetterà più di esportare verso i paesi implicati in un conflitto armato. «In caso di interpretazione restrittiva, come è lecito attendersi, non si potrà più esportare nemmeno negli Stati Uniti, in Francia o in Danimarca», nota Mathias Zoller. Il settore si aspetta dunque dalla Confederazione una certezza in materia di pianificazione e una «dichiarazione chiara secondo la quale le esportazioni verso i paesi amici e la cooperazione con essi restino possibili».

Sono interessate dalle restrizioni circa 200 imprese che chiedono regolarmente allo Stato autorizzazioni per esportare materiale bellico. L’industria di sicurezza e delle tecniche di difesa svizzere occupa secondo le stime ufficiali, fornitori compresi, tra le 10’000 e le 20’000 persone. Essa produce beni militari che non sono classificati come materiale bellico, poiché non sono utilizzati in maniera offensiva in guerra. Ne fanno parte, ad esempio, gli aerei di allenamento dell’aviazione svizzera Pilatus. Questi aerei possono dunque essere forniti perfino a Stati come gli Emirati Arabi Uniti, la Giordania o l’Arabia Saudita, che sono alle prese con la guerra dello Yemen.

Il Qatar potrà continuare a ordinare dei cannoni “Swiss made”? Ciò dipenderà dal modo con cui il Consiglio federale valuterà la situazione dei diritti umani nel paese in occasione delle nuove richieste di esportazione. In questo momento, il Qatar non è coinvolto in guerre come quella dello Yemen. Secondo gli esperti del Vicino Oriente, questo ricco stato del Golfo Persico ambisce però a divenire una potenza regionale. Questo aumenta il rischio che esso venga implicato in futuri conflitti, il che potrebbe suscitare violazioni del diritto internazionale umanitario. La Svizzera, paese depositario delle Convenzioni di Ginevra, non ha interesse a che ciò avvenga.

Schweizer Revue
Theodora Peter

Un bene d’esportazione svizzero molto richiesto: il veicolo blindato Piranha del costruttore Mowag. Foto Keystone

I cannoni ad alta precisione svizzeri, come qui il sistema di difesa antiaerea del tipo Oerlikon Skyshield, sono uno dei prodotti d’esportazione dell’azienda d’armamento Rheinmetall. Foto: Rheinmetall Air Defence

Sviluppo delle esportazioni di materiale bellico dal 2010 al 2020 in milioni di CHF

Gli Svizzeri negli eserciti stranieri

Il know how militare ha una lunga tradizione in Svizzera. Fino al XIX secolo, centinaia di migliaia di Confederati erano impegnati al servizio di potenze straniere. Si è dovuta attendere la fondazione dello Stato federale moderno per vedere la fine della pratica del mercenariato.

Per molto tempo i vecchi Confederati intendevano conquistare essi stessi delle terre straniere. Ciò è cambiato nel 1515 con la battaglia di Marignano. I Confederati persero la guerra per il Granducato di Milano e dovettero seppellire i loro desideri espansionistici. Invece di combattere come soldati per il loro paese, i figli dei contadini ebbero il diritto di partecipare a guerre straniere. Il sistema mercenario conobbe il suo periodo d’oro tra il XV e il XVIII secolo. I servizi presso eserciti stranieri sono stati a lungo il secondo settore economico più importante della Svizzera dopo l’agricoltura. I contadini venivano allora reclutati da ufficiali svizzeri. Questi hanno combattuto per Francia, Spagna, Austria, Savoia, Ungheria o nei Paesi Bassi. La Guardia Svizzera del Vaticano, responsabile della sicurezza del Papa dall’inizio del XVI secolo, è ancora in servizio.

Fuggire dalla miseria e cercare l’avventura
Con la fondazione dello Stato federale nel 1848, il servizio militare a beneficio delle potenze straniere è continuamente scemato. Ma la Legione straniera francese ha continuato a reclutare decine di migliaia di soldati. Se la Svizzera ha vietato la promozione di tali servizi nel 1859, l’arruolamento è rimasto ancora tollerato fino agli anni 1920. Anche altre potenze coloniali come l’Olanda hanno utilizzato dei mercenari svizzeri. Secondo lo storico Philipp Krauer, quasi 7’600 soldati elvetici si sono così battuti nell’esercito coloniale olandese nella regione dell’attuale Indonesia tra il 1815 e il 1914. Philipp Krauer conduce delle ricerche sulla loro storia nell’ambito del progetto “Swiss Tool of Empire”. Di fronte alla miseria e all’emigrazione, numerosi politici erano sollevati, all’epoca, di vedere «gli Svizzeri più poveri scegliere la via poco dispendiosa dell’esercito coloniale», scrive lo storico. Oltre a voler fuggire dalla miseria, numerosi mercenari cercavano anche l’avventura. La rappresentazione romantica del servizio sotto i tropici si è ben presto scontrata con la dura realtà. In Indonesia, quasi la metà dei mercenari perì durante il servizio. E gli Svizzeri impegnati all’estero non avevano la possibilità di effettuare una carriera militare. Deplorando la loro scelta, numerosi di essi si rivolgevano al consolato svizzero nella speranza di poter annullare il loro contratto, spesso invano.

Dal 1927, il Codice penale militare vieta il servizio straniero. Dopo la Seconda Guerra mondiale, quasi 240 soldati sono stati rinviati ogni anno a giudizio, poiché nonostante questo divieto, si erano impegnati nella Legione straniera. Anche gli 800 combattenti volontari che si impegnarono dal 1936 al 1939 a fianco dei Repubblicani contro il fascismo nella guerra civile spagnola sono stati duramente condannati dalla giustizia. 70 anni più tardi, il Parlamento ha riabilitato questi uomini che si sono battuti per la libertà e la democrazia.

Vietate le imprese di mercenari
Dopo il 2013, le imprese di mercenari sono inoltre esplicitamente vietate in Svizzera. Le imprese di sicurezza svizzere non hanno né il diritto di prendere parte alle ostilità nell’ambito dei conflitti armati all’estero, né di reclutare personale per questo. La Svizzera ha dunque assunto le proprie responsabilità, come ha sottolineato l’ex ministro della giustizia Simonetta Sommaruga (PS) presentando la legge: «Ciò che fanno le imprese la cui sede è in Svizzera non può esserci indifferente».

Schweizer Revue
Theodora Peter

Per approfondire questa tematica, i Soldati svizzeri del Servizio straniero (Archivi federali): revue.link/soldats Les mercenaires suisses en Indonésie (Musée national): revue.link/mercenaires

Una professione sanguinaria in abiti eleganti: il mercenario Gall von Unterwalden. Incisione su legno colorato datata del 1520–1530. Foto Keystone