Intervista a un reporter di guerra Italo-Svizzero: Luca Steinmann

Un’occasione speciale si è presentata lo scorso 30 marzo presso l’attivissimo Centro Svizzero di Milano, su iniziativa del Consolato generale di Svizzera a Milano, alla presenza della Console generale Sabrina Dallafior e in collaborazione con la Società Svizzera e la Scuola Svizzera di Milano.

Il tema toccato è importante quanto serio: parlare della più grande crisi europea dalla Seconda Guerra Mondiale attraverso le testimonianze di due inviati di guerra su fronti opposti: Luca Steinmann sul fronte russo e Nello Scavo sul fronte ucraino, entrambi autori di due originali volumi sulla loro esperienza:

Luca Steinmann, Il Fronte Russo, la guerra in Ucraina raccontata dall’inviato tra i soldati di Putin, Rizzoli  

Nello Scavo, Kiev, il conflitto che sta sconvolgendo l’Europa nel racconto di un grande inviato, Garzanti

Da questo confronto, abilmente moderato dalla giornalista e conduttrice svizzera Natasha Lucenti, emerge forte e chiaro il sentimento comune dei civili di dover subire una guerra fratricida, il dramma umano di due popoli molto legati fra loro che per ragioni storiche ed economiche si sono trovati a essere nemici sin dal 2014. E non è un caso che proprio dal 2014, la Russia abbia deciso di implementare le politiche economiche volte ad accrescere le dimensioni delle riserve della Banca Centrale russa e a renderle meno dipendenti dal dollaro. Citando uno studio dell’ISPI, Istituto degli Studi di Politica Internazionale, apprendiamo che si è «passati dai 509 miliardi del 2014, di cui il 40% era in dollari, ai 630 miliardi attuali di cui solo il 16% è in valuta statunitense».

Al di là quindi delle considerazioni ideologiche di ciascuno di noi, sui torti e le ragioni di entrambe le parti, ci è sembrata umana questa visione comune e Luca Steinmann, nell’intervista che abbiamo realizzato, sottolinea la dimensione di guerra civile di questo conflitto.

  1. Come mai hai scelto di andare sul fronte russo anziché su quello ucraino, come la maggior parte dei tuoi colleghi, inviati di guerra?

Perché da anni lavoro in territori in tutto il mondo in cui sono presenti i russi. Questa non è stata una mia scelta, ma occupandomi io di zone di guerra e di crisi mi sono ritrovato nel corso del tempo a incontrare molti russi che lì operano, sia militari che giornalisti. Tra questi ultimi ho stretto amicizia con Sasha, un inviato di guerra molto equilibrato e preparato che nel gennaio del 2022 mi consigliò di recarmi nel Donbass dove sarebbe potuto succedere qualcosa. Così, a differenza della quasi totalità dei colleghi mi sono fatto trovare nei territori ucraini sotto il controllo dei russi subito prima dell’inizio della guerra. Dal punto di vista giornalistico è stata una scelta molto azzeccata perché mi ha permesso di diventare quasi l’unico testimone di quanto avveniva “sul lato nemico”.

  1. Prima di partire avevi una tua idea personale circa le ragioni delle due parti in conflitto e questa idea si è poi modificata a distanza di oltre un anno dal suo inizio?

Pensavo fosse una guerra iniziata nel 2014 che si combatte su due dimensioni. Da un lato è una guerra civile che vede contrapposto lo Stato ucraino salito in quell’anno al potere contro le milizie filorusse armate e sostenute dalla Russia, che ormai sono diventate parte integrante dell’esercito di Mosca. Dall’altra è una guerra internazionale tra la Russia e l’Occidente, di cui alcuni Stati armano e addestrano l’esercito di Kiev dal 2014. Questa doppia dimensione è valida ancora oggi e si è anzi inasprita molto a partire dal 24 febbraio 2022.

  1. Quale stato d’animo hai potuto percepire nei soldati russi e nel popolo?

Parlando con i soldati e con la popolazione si percepisce ancora di più quanto questa sia anche una guerra civile. Sia tra i primi che tra i secondi ho trovato tante famiglie spaccate tra chi sostiene la guerra e chi invece la rifiuta o addirittura si schiera con Kiev. In molti hanno parenti o amici ucraini che spesso combattono addirittura contro di loro. Per molti è difficilissimo accettare questa situazione. 

  1. Hai subito delle limitazioni o censure dal governo russo durante il tuo lavoro di inviato?

Sì, ma limitazioni che fanno parte della quotidianità del lavoro di un corrispondente di guerra in ogni contesto in cui opera. Nel momento in cui si combatte è inevitabile che un inviato che segue l’esercito debba attenersi ad alcune restrizioni per questioni di sicurezza.

Al contempo sapevo che i russi monitoravano attentamente tutto ciò che pubblicavo e in due occasioni ho dovuto lasciare il Donbass per questioni legate appunto al mio lavoro, riuscendo per fortuna a tornarvi dopo poco. Devo però dire che sul lato dei russi mi è possibile lavorare in una certa libertà, che è anche inaspettata.

  1. Dal confronto con i colleghi sul fronte ucraino è emersa una visione completamente opposta o a tratti ci sono state delle convergenze di vedute?

Ci sono convergenze di vedute con molti colleghi, soprattutto con quelli che operano sull’altro fronte rispetto al mio ma negli stessi territori. Per esempio, mi sono sempre trovato in linea con molti di loro constatando gli umori delle popolazioni di quei territori. I soldati e i governi cambiano ma il popolo rimane lo stesso.

  1. Dal punto di vista umano e non politico, c’è un episodio che ti ha particolarmente colpito e che ci vuoi raccontare?

Più che un episodio vorrei raccontare un aspetto che mi fa sempre impressione. Ovvero la sofferenza delle persone anziane. Noi lettori occidentali siamo giustamente abituati a compatire soprattutto i bambini che vediamo fotografati nelle zone di guerra, ma spesso non ci rendiamo conto di quanto enorme possa essere la sofferenza di una persona che si vede sradicata dal villaggio in cui ha vissuto tutta la vita o vede distrutta la propria casa.

  1. Il fatto di avere il passaporto svizzero ti ha agevolato nel tuo incarico di inviato di guerra?

Sì, essere svizzeri è una garanzia in tutto il mondo. Non mi è mai capitato in nessun luogo di essere malvisto in quanto svizzero, a differenza di quanto avviene per molti colleghi americani o francesi, per esempio. Tuttavia, la nazionalità non basta per avere una buona reputazione che permetta all’inviato di lavorare con successo. Servono conoscenze, competenze, empatia e costruzione di contatti e fiducia che si ottengono solo nel tempo.

  1. Cosa ti è mancato di più mentre vivevi in Russia? La pizza o la fonduta?

Sicuramente entrambe, anche se il bello di viaggiare è proprio la scoperta anche di sapori nuovi. In Russia e in Ucraina ho mangiato piatti molto diversi, con però sempre la stessa bevanda ad accompagnarli: la vodka!

Antonella Amodio
Società Svizzera di Milano

Nello Scavo, Kiev, il conflitto che sta sconvolgendo l’Europa nel racconto di un grande inviato, Garzanti.

Luca Steinmann, Il Fronte Russo, la guerra in Ucraina raccontata dall’inviato tra i soldati di Putin, Rizzoli.