La questione cruciale dell’economia globalizzata

Le multinazionali svizzere devono rispondere dei danni causati agli esseri umani e all’ambiente in altre parti del mondo? È quanto esige l’iniziativa per imprese responsabili, depositata nel 2016. Dopo anni di dibattiti in Parlamento, il popolo svizzero avrà l’ultima parola alle urne il prossimo 29 novembre.

Nello Zambia, gli abitanti che vivono nelle vicinanze di una miniera di rame soffrono di malattie respiratorie a seguito delle nubi di gas sulfurei. In Australia, nella città mineraria di Mount Isa, un bambino su quattro presenta una concentrazione eccessiva di piombo nel sangue. Questi due esempi mettono in causa le emissioni nocive di imprese che appartengono in maggioranza a Glencore, gruppo svizzero di materie prime. Nel caso della miniera di rame dello Zambia, i valori limite dell’Organizzazione mondiale della sanità sono talvolta stati ampiamente superati. Nel frattempo, i dirigenti hanno chiuso il vecchio forno. In generale, Glencore sottolinea di aver già fatto molto per ridurre il proprio inquinamento. In Australia, il gruppo ha perfino finanziato degli spot televisivi che mostrano alle famiglie attraverso quali metodi di pulizia sbarazzarsi delle polveri contaminate. Gli osservatori critici affermano che si tratta solo di una semplice lotta contro i sintomi.

Altri gruppi svizzeri di materie prime sono regolarmente criticati per il loro operato. Non si esclude che l’oro grezzo provenga da miniere dubbiose, dove regnano condizioni di lavoro contrarie ai diritti umani.

Con l’iniziativa «Per imprese responsabili – a tutela dell’essere umano e dell’ambiente», una coalizione di 120 organizzazioni umanitarie, chiese, sindacati, organizzazioni di difesa dell’ambiente e dei diritti umani intendono costringere le multinazionali ad assumersi maggiormente le loro responsabilità. Sono toccate direttamente 1500 imprese.

Le multinazionali sarebbero così tenute non solo ad un dovere di diligenza, bensì dovrebbero anche rispondere dei danni che esse – o le imprese che controllano – causano violando i diritti umani o le norme ambientali. In concreto, le persone lese potrebbero chiedere un risarcimento presso una giurisdizione civile svizzera. Per sfuggire alla propria responsabilità, l’impresa accusata dovrebbe provare di aver fatto tutto il possibile per assolvere il suo dovere di diligenza.

Aspra lotta in Parlamento
L’iniziativa spaventa gli ambienti economici che vi vedono una minaccia per le loro attività internazionali e la libertà imprenditoriale. Secondo i primi sondaggi, la popolazione sembra però molto favorevole. In Parlamento si è innescata un’aspra lotta attorno una proposta di compromesso. Il Consiglio nazionale voleva andare nella direzione degli iniziativisti e iscrivere nuove regole di responsabilità per le imprese nel diritto delle società anonime.

Il Consiglio degli Stati, la cui maggioranza ritiene questa regolamentazione inutile e dannosa per l’economia, si era però opposto. Alla fine di lunghi dibattiti, le due Camere si sono messe d’accordo su un controprogetto indiretto. Quest’ultimo prevede che le imprese siano tenute ad indicare come adempiono i loro obblighi di diligenza nel loro rapporto d’attività. Questa regolamentazione è paragonabile all’obbligo di fare rapporto dell’Unione europea (cf. riquadro) ed entrerebbe automaticamente in vigore in caso di rifiuto dell’iniziativa.

«Un controprogetto alibi»
Dick Marty, copresidente dell’iniziativa, parla di un «controprogetto alibi inefficace». L’ex procuratore ticinese e consigliere agli Stati PLR ribadisce: «Tutti noi sappiamo che sono proprio le grandi multinazionali più spregiudicate che amano pubblicare opuscoli di carta patinata.» L’ex relatore speciale del Consiglio d’Europa sottolinea che «solo quando le violazioni dei diritti umani avranno delle conseguenze, le multinazionali agiranno in modo corretto».

Per i suoi oppositori degli ambienti economici e dei partiti borghesi, l’iniziativa va troppo lontano. Così, la consigliera agli Stati lucernese PPD Andrea Gmür si preoccupa in particolare dell’«inversione dell’onere della prova». Il fatto che le imprese debbano dimostrare la loro innocenza in una causa per responsabilità civile violerebbe i principi dello Stato di diritto e porterebbe ad azioni ricattatorie dall'estero. Non bisogna gettare dei «sospetti generalizzati sulle imprese», afferma la politica che fa parte della direzione dell’IHZ, la camera dell’industria e del commercio della Svizzera centrale.

Autunno bollente
La campagna politica entrerà nel vivo all’inizio di ottobre, dopo la votazione del 27 settembre. Oltre a quello del PS e dei Verdi, gli iniziativisti possono contare sul sostegno di un comitato cittadino che raggruppa membri provenienti da tutti i partiti. Con la creazione di comitati locali nei villaggi e nei quartieri, essi auspicano l’impegno di volontari della società civile.

Nel campo opposto, la potente associazione mantello economiesuisse orchestra la campagna del no. L’obiettivo è di correggere l’immagine delle multinazionali descritte come prive di scrupoli e di mostrare invece come le imprese svizzere contribuiscano alla creazione di impieghi e benessere nei paesi in via di sviluppo.

Theodora Peter

Il dovere di diligenza in altri paesi

Nell’ambito dell’Unione europea, le imprese devono dal 2018 redigere un rapporto sul modo con cui garantiscono la protezione dell’ambiente e dei diritti umani. La Commissione europea prevede però un inasprimento della direttiva in questione. Sempre più voci chiedono anche una legge sulla catena d’approvvigionamento, che obbligherebbe maggiormente le imprese ad evitare rischi in questo settore. In Germania, il governo ha presentato alla fine del 2019 una «legge sulla catena di valore» dopo il fallimento di un piano d’azione volontario. La Francia conta dal 2017 una legge sul dovere di vigilanza, che prevede anche procedure di indennizzo. Altri paesi europei prevedono di adottare delle leggi che chiedano alle imprese una diligenza ragionevole conforme alla direttiva europea. In Gran Bretagna, la Corte suprema ha riconosciuto nel 2019 l’ammissibilità dei ricorsi contro le imprese per violazioni dei diritti umani da parte di filiali all'estero. (TP)

Scena quotidiana nella città di Kankoyo, nello Zambia, dove gli abitanti vivono nelle vicinanze nella miniera di rame di Mopani. Immagine d’archivio 2015 Keystone

Sia gli oppositori che i sostenitori dell’iniziativa – qui, una delle loro bandiere – conducono una campagna molto attiva. Photo Keystone

Dick Marty: le multinazionali agiranno in modo corretto solo «quando le violazioni dei diritti umani avranno delle conseguenze». Foto parlament.ch

Andrea Gmür: l’iniziativa getta dei sospetti generalizzati sulle imprese e rende possibile delle «azioni ricattatorie».