Le relazioni tra Svizzera ed Europa ad un bivio

Il 27 settembre 2020 il popolo svizzero è chiamato a chiarire il suo rapporto con l’Unione europea. Si tratta dell’ennesima di una serie di decisioni… decisive.

L’iniziativa “Per un’immigrazione moderata” (Iniziativa per la limitazione), sottoscritta da oltre 116’139 cittadini viene sottoposta in votazione popolare in settembre. Si tratta di un momento cruciale per le relazioni Svizzera-UE, non il primo, dal momento che il testo esige la disdetta dell’accordo sulla libera circolazione e di conseguenza il pacchetto degli accordi bilaterali. Questi accordi sono frutto di una serie di decisioni elvetiche, volte in particolare a garantirsi l’accesso al mercato unico.

Infatti nel 1985, momento in cui l’UE ha posto le basi per la creazione del mercato unico europeo, la nostra nazione ha iniziato a interrogarsi sul suo futuro ruolo e sulla sua posizione in Europa. Pochi anni dopo l’Unione europea ha proposto ai paesi dell’Associazione europea di libero scambio (AELS) – di cui fa parte anche la Svizzera – e che non hanno voluto aderire all’Unione stessa, il progetto di uno Spazio economico europeo (SEE), alfine di permettere loro di partecipare al mercato unico europeo, di grande interesse per le imprese esportatrici. La politica svizzera di allora ha ritenuto la proposta una valida alternativa all’adesione all’UE. Nel maggio del 1992 il Consiglio federale ha sottoscritto l’Accordo SEE e contemporaneamente ha depositato a Bruxelles una domanda per l’avvio di trattative per l’adesione all’UE. Ma il 6 dicembre 1992 il 50,3% del popolo svizzero e 18 Cantoni su 26 hanno respinto l’adesione al SEE dopo una campagna memorabile e particolarmente accesa.

A seguito di questa decisione la politica ha cercato vie alternative a quelle dello SEE e dell’adesione. La via bilaterale è stata considerata in seguito dalla classe politica e dal popolo la via di mezzo tra l’isolamento e l’associazione a spazi economici o unioni politiche. A cavallo del millennio la Svizzera trova così un suo equilibrio nelle relazioni con l’UE in fase di espansione e plasma le proprie relazioni con accordi settoriali. In una prima fase, il 1° giugno 1999 si concludono le negoziazioni dei sette Accordi bilaterali I, i quali sono stati accettati il 21 maggio 2000 in una votazione popolare con il 67,2% di voti favorevoli. Di questi testi, vincolati tra di essi con una clausola ghigliottina, fa parte anche l’Accordo sulla libera circolazione delle persone che è oggetto dell’iniziativa per la limitazione. Nel giugno del 2001 la Svizzera e l’UE si accordano per avviare una seconda tornata di negoziati bilaterali – gli 8 Accordi bilaterali II – che completano a livello politico gli Accordi bilaterali I, in larga misura incentrati sull’apertura del mercato. Anche questi vengono approvati in votazione popolare nel 2004. La via bilaterale viene successivamente confermata a più riprese ad esempio in occasione dell’approvazione degli Accordi di Schengen e Dublino, al momento dell’estensione della libera circolazione a Romania e Bulgaria nel 2009.

L’ultima conferma indiretta in ordine cronologico risale all’anno scorso quando la popolazione si è pronunciata favorevolmente alla ripresa della direttiva sulle armi. Un No avrebbe avuto conseguenze sull’accordo di Schengen. Complessivamente la Svizzera e l’UE hanno stipulato circa 20 accordi principali e più di 100 altri accordi.

Nel 2009 il popolo ha approvato l’estensione della libera circolazione delle persone a Romania e Bulgaria e confermato di fatto la via bilaterale.

Una delle campagne più combattuta nella storia recente della Svizzera: l’adesione allo SEE bocciata dal popolo nel 1992.

Nel 2009 il popolo ha approvato l’estensione della libera circolazione delle persone a Romania e Bulgaria e confermato di fatto la via bilaterale.

Perché votare NO

Monika Rühl,
Presidente della Direzione generale di economiesuisse

Perché votare NO all’iniziativa contro gli Accordi bilaterali?
Il 27 settembre il popolo e i Cantoni saranno chiamati alle urne per pronunciarsi sull’iniziativa contro gli Accordi bilaterali; da un punto di vista economico, questa è la votazione più importante di quest’anno. In breve, l’iniziativa chiede che l’immigrazione degli stranieri sia disciplinata in maniera autonoma senza l’accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC), ma attraverso dei contingenti fissati dalle autorità.

L’iniziativa non prende di mira solo l’ALC, ma l’insieme degli Accordi bilaterali I stipulati con l’UE. Gli iniziativisti ci illudono prevedendo un periodo di un anno per negoziare la disdetta dell’ALC, ma in realtà non c’è nulla da negoziare, visto che questo accordo è giuridicamente legato agli altri accordi dei Bilaterali I, attraverso la “clausola ghigliottina”. Essa prevede, che se un accordo venisse denunciato, cadrebbero automaticamente anche tutti gli altri sei. Inoltre, anche qualora ci fosse un margine per condurre dei negoziati, un anno è un lasso di tempo del tutto irrealistico. Entro la fine del 2021 la Svizzera si ritroverebbe quindi senza Accordi bilaterali I. Tuttavia, quest’ultimi non sono i soli accordi ad essere in pericolo. Infatti, anche gli accordi Schengen/Dublino (Accordi bilaterali II) sono minacciati dall’iniziativa, visto che nelle trattative per la partecipazione della Svizzera allo spazio Schengen, l’UE aveva considerato l’ALC quale presupposto imprescindibile. In effetti, è impensabile un’applicazione dell’accordo Schengen senza ALC.

L’iniziativa, oltre a mettere in serio pericolo la via bilaterale della Svizzera, non propone nessun’altra alternativa valida. Senza questi accordi, la Svizzera perderebbe il suo accesso su misura al mercato interno europeo, di cui beneficia da quasi 17 anni. Oltre la metà del commercio estero della Svizzera passa oggi attraverso l’UE e anche un commercio più intenso con altri partner non potrebbe mai compensare questa perdita. A titolo d’esempio, in una giornata lavorativa la Svizzera scambia 1 miliardo di franchi con l’UE, mentre solo 0,7 miliardi di franchi con il resto del mondo. Inoltre, con un’accettazione dell’iniziativa la Svizzera rischia di essere danneggiata dal punto di vista della ricerca, della formazione e dell’innovazione. Negli ultimi anni, il nostro Paese è stato uno dei leader mondiali in questi campi, in cui il collegamento ad una rete internazionale gioca un ruolo fondamentale. Una continua partecipazione ai programmi quadro di ricerca europei è un prerequisito importantissimo per il successo di queste reti, in quanto esse permettono di gestire numerosi progetti ai quali partecipano anche le PMI. Abbandonare l’accordo sulla ricerca farebbe quindi perdere alla Svizzera miliardi di franchi e metterebbe a repentaglio la posizione eccellente quale centro di ricerca e innovazione. In conclusione, vista e considerata anche la situazione difficile in cui ci troviamo dopo la crisi del Coronavirus votiamo no a quest’iniziativa e sosteniamo con convinzione la via bilaterale, una soluzione di successo a cui non possiamo rinunciare.

Photo: franknader.com

Perché votare SI

Piero Marchesi,
Consigliere nazionale e Presidente UDC Ticino

Un’iniziativa che è un toccasana anche per le aziende
“Quando è troppo è troppo”, questo è lo slogan utilizzato dagli iniziativisti per spiegare la situazione nella quale si trova oggi la Svizzera. Negli ultimi 13 anni, a causa della Libera circolazione, 1 milione di nuovi stranieri si sono insediati in Svizzera. A questo dato vanno aggiunti i 320’000 frontalieri che ogni giorno varcano il confine per venire a lavorare nel nostro paese. L’immigrazione incontrollata ha di fatto provocato un abbassamento generale dei salari – il Ticino, Cantone più toccato dalla Libera circolazione, ha salari anche del 25% inferiori alla Svizzera centrale – l’aumento del traffico e inquinamento, l’aumento dei prezzi dei terreni e degli immobili e la necessità di adeguare il paese a questa ondata migratoria. Nuovi ospedali, strade, infrastrutture ferroviarie, sistemi di raccolta e gestione rifiuti, sono solo alcune delle conseguenze negative all’aumento repentino della popolazione e che sono sulle spalle di cittadini e aziende svizzere. L’aumento della popolazione provoca nuovi bisogni e di conseguenza ha pure un impatto sull’ambiente. Fenomeno che la politica federale cerca di combattere approvando leggi ridicole - come quella recente sulla CO2 - che di fatto chiamerà pesantemente alla cassa cittadini e aziende per cercare di ridurre l’impatto ambientale del paese, quando di fatto non si tiene in considerazione che la popolazione del paese è aumentata di quasi il 15% in poco più di 10 anni. Quando nel 2000 si trattò di votare sui Bilaterali 1, di cui la Libera circolazione fa parte, il Consiglio federale promise al popolo che il saldo migratorio annuo non avrebbe superato le 8’000 persone. La media dei 13 anni supera invece le 76’000 unità, dieci volte tanto. È evidente che le promesse fatte a suo tempo dalle Istituzioni e dai partiti che ora combattono l’iniziativa, siano ancora una volta poco credibili. Abolendo l’accordo di libera circolazione delle persone si tornerebbe finalmente a gestire l’immigrazione in modo intelligente, con tetti massimi, contingenti e preferenza indigena. Non si vuole eliminare l’immigrazione, semmai gestirla con un sistema che ben conosciamo perché era in vigore fino a una quindicina d’anni fa, quando è entrata in vigore la libera circolazione delle persone. A onor del vero questa iniziativa non sarebbe neppure stata necessaria se la politica federale avesse applicato quanto deciso da popolo e Cantoni il 9 febbraio 2014 con l’approvazione dell’iniziativa “Per un’immigrazione moderata”, che di fatto all’art. 121a ha iscritto nella Costituzione federale il ritorno al regime precedente la libera circolazione. Il successivo sabotaggio politico ha obbligato l’UDC a lanciare una nuova iniziativa per finalmente eliminare ogni possibilità di intralciare il volere popolare.

L’economia non deve temere l’insufficienza di manodopera estera. Non è mai mancata e non mancherà neppure in caso di approvazione dell’iniziativa. La Svizzera è un paese con un’economia innovativa che necessita di profili formati e dinamici, ma questo non vuol dire che non si debba privilegiare il mercato interno. Negli ultimi anni per molte aziende si è rivelato più facile attingere alla manodopera estera, già formata e pronta a essere impiegata a condizioni economiche più vantaggiose dei lavoratori svizzeri. Questo per le aziende è probabilmente un vantaggio nel corto termine - perché abbatte i costi di formazione, riduce i costi per il personale, aumenta magari anche i dividendi per gli azionisti - ma sul medio termine provoca un danno importante alla società e dunque pure all’economia. I dati sulla disoccupazione - quella reale e non quella parziale della Seco - parlano chiaro. L’aumento della sottoccupazione - i lavoratori impiegati a tempo parziale e che vorrebbero lavorare a tempo pieno ma che non ne hanno l’occasione - in Ticino sono pressoché triplicati. Le persone in assistenza - sempre più ex impiegati del settore terziario - sono praticamente raddoppiate. I costi sociali provocati da questo fenomeno sono pagati anche dalle aziende, che attraverso le imposte sostengono i costi della socialità. Non sarebbe più lungimirante occupare maggiormente i lavoratori svizzeri piuttosto che far capo in modo sistematico ai lavoratori stranieri? Certo, poi è importante investire nella formazione dei lavoratori indigeni e meglio orientarli al mercato del lavoro al termine della scuola dell’obbligo. E poi diciamocelo, ad alcuni di loro bisogna anche far capire che il mondo del lavoro non è più quello di 20 anni fa, dove forse si cercava prima il posto che il lavoro. È però il cane che si morde la coda e ancora una volta a pagarne il conto saranno cittadini e aziende. Un ritorno a una gestione intelligente dell’immigrazione, con strumenti che ben conosciamo perché in vigore fino a pochi anni fa, sarà un toccasana per tutto il paese, aziende comprese.