Quando i ghiacci eterni si sciolgono le grandi cime delle Alpi vacillano

Preoccupazioni in Svizzera a causa del rialzo delle temperature.

Nulla lasciava presagire, lo scorso 23 agosto 2017, che la giornata sarebbe stata diversa dalle altre nelle Alpi grigionesi. Era un giorno caldo d’estate. Alle 9.30 una massa rocciosa di 3 milioni di metri cubi si è staccata dal Pizzo Cengalo a 3’369 metri di altezza e si è rovesciata nella valle esplodendo in mille pezzi. Di colpo uno strato dai 10 ai 15 metri di spessore del ghiacciaio che si trovava nella zona della caduta è stato polverizzato. I frantumi si sono mischiati con la roccia in movimento, satura di acqua di sorgente ai piedi della montagna, provocando una colata spessa e potente di fango e rocce che trascinava con sé grossi blocchi lungo la valle. La colata è progredita a una velocità di 40 km/orari, invadendo il villaggio di Bondo, situato a circa 5 km di distanza.

L’incidente è costato la vita a 8 turisti considerati tuttora dispersi. Grazie al fatto che il Pizzo Cengalo era sotto sorveglianza a causa di precedenti franamenti e perché era stato istallato un sistema d’allarme sopra il villaggio, nessun ferito è stato contato a Bondo: il sistema d’allarme ha funzionato, dando così il tempo agli abitanti di mettersi in salvo prima di essere colpiti dal torrente di fango e pietre.
Appena una settimana più tardi, un’importante massa rocciosa si è nuovamente staccata dal Pizzo Cengalo durante un temporale notturno, per cui una nuova colata di fango ha invaso la valle. Il 15 settembre si è prodotto un terzo franamento. Durante due ore parecchie centinaia di migliaia di metri cubi sono caduti nel vuoto. Gli abitanti di Bondo sono coscienti che oltre 1 milione e mezzo di metri cubi di roccia potrebbero ancora staccarsi dal Pizzo Cengalo.

Prima la montagna, dopo il ghiacciaio…
Il ghiacciaio del Trift, in vetta al Weissmies, a 4’000 metri di altezza, si sposta normalmente nella valle nella misura di 15 centimetri al giorno. Ma la frana di Bondo ha fatto ancora parlare di sé, nella misura in cui il movimento della massa di ghiaccio del Trift – sotto sorveglianza permanente – si è accelerato. La sua velocità di spostamento può raggiungere dai 2 ai 4 metri al giorno. Un ritmo spaventoso per il ghiacciaio. Gli esperti e le autorità hanno dato l’allarme il 9 settembre e ordinato ai 220 abitanti di Saas Grund di abbandonare le loro case. Alle 18.00 gli abitanti erano evacuati e il settore escursionistico era stato chiuso. Come previsto, nelle prime ore del giorno dopo, la lingua del ghiacciaio sotto osservazione si è frantumata ed è franata lungo le alte pareti rocciose, finendo di esplodere al momento dell’impatto in granulati di ghiaccio. Non ci sono stati feriti.

… e per finire interi fianchi della valle
Il Moosfluh, che culmina a 2’234 metri, non lontano da Bettmeralp, offre una veduta panoramica eccezionale sul ghiacciaio dell’Aletsch. Ma il fianco della montagna direttamente a contatto con il ghiacciaio non è più una zona sicura per escursioni. Cartelli di avvertimento vietano l’accesso agli escursionisti poiché, come spiega il responsabile della sicurezza del settore, “Si può cadere in grandi buche del sentiero come in un crepaccio di ghiacciaio”. La segnalazione non è certo esagerata poiché si sa che oltre 160 milioni di metri cubi di roccia sono qui in movimento. Registriamo il più importante spostamento di rocce di tutta la Svizzera e anche il più veloce. Il Moosfluh si muoveva soltanto di alcuni millimetri all’anno, in media, nel corso dell’ultimo millennio, ma improvvisamente ha percorso quasi 30 metri nel 2016. Queste velocità di spostamento spaventose si verificano soltanto nelle Alpi. I solchi profondi e le crepe sul terreno, larghe talvolta parecchi metri, mostrano che qui sono in movimento masse molto più importanti di quelle di Bondo e minacciano di cadere.

Il Cengalo, il ghiacciaio del Trift, il Moosfluh sono tre siti che chiedono di sapere se il cambiamento climatico è all’origine del grande franamento e se in futuro dobbiamo considerare le Alpi come “potenti e spaventose” e non più soltanto come “potenti e belle”.

Temperature in rialzo
Il geologo Hugo Raetzo, della divisione Prevenzione dei pericoli dell’Ufficio federale dell’ambiente, ci mette di fronte all’evidenza: “Abbiamo temperature più elevate in alta montagna”. La regione alpina si è riscaldata a una velocità doppia a partire dalla fine del 19esimo secolo rispetto alla media mondiale. In questi ultimi decenni, il rialzo della temperatura in alta montagna si è accelerato. E Hugo Raetzo aggiunge: “Questo rialzo di temperatura ha naturalmente conseguenze sui ghiacciai, nonché sul sottosuolo gelato in permanenza e quindi stabilizzante, che definiamo permafrost. Al riscaldamento generale, che agisce sul permafrost, si aggiungono estati canicolari particolarmente intense in questi ultimi anni”.
La canicola può essere l’elemento scatenante delle cadute di rocce. Le cadute di pietre e i franamenti si sono già moltiplicati durante le estati 2003 e 2015, che hanno fatto registrare temperature superiori alla media.

Il Pizzo Cengalo è una montagna situata nella zona del permafrost. È forse l’esempio tipico di una montagna che si sgretola quando la temperatura è troppo elevata in altitudine? Secondo Hugo Raetzo le cose non sono così semplici. I rapporti da causa a effetto sono spesso molto più complessi e l’evoluzione attraverso i secoli ha un ruolo importante. La rete di misura del permafrost in Svizzera indica che la temperatura aumenta considerevolmente. La stazione di misurazione del Corvatsch, per esempio, costata che la temperatura, a dieci metri di profondità, è oggi superiore di un grado a quella di trent’anni fa. A 20 metri, laddove le variazioni stagionali hanno un impatto debole, le temperature sono pure in aumento. Hugo Raetzo dice: “Non tutte le montagne si comportano nello stesso modo. Il rischio di scoscendimento è più o meno pronunciato a seconda della situazione geologica. Un esempio semplice: se il sottosuolo fonde, è necessario un grado di inclinazione minima per far sì che le rocce comincino a scivolare”.

Crepacci e crepe pieni d’acqua
Il Pizzo Cengalo è veramente ripido. Tuttavia, in questo caso concreto, non esistono analisi concludenti delle cause. Gli abitanti di Bondo hanno però un’idea dell’origine dello scoscendimento del Pizzo Cengalo. La guida Siffredo Negrini se ne fa una ragione. Egli evita la montagna da tempo. Perché? “Perché il ghiaccio e la neve fondono rapidamente e l’acqua riempie i crepacci e le crepe. Quando gela, la roccia si rompe”. Hugo Raetzo ci ricorda allora il fenomeno generale che si produce nelle alte montagne svizzere: “Il permafrost si riscalda e i ghiacciai si ritirano; le acque di sorgente più calde e abbondanti in estate si infiltrano nelle profondità. Questo modifica la situazione e talvolta anche la stabilità”.
Nel caso del ghiacciaio del Trift, le abbondanti acque di sorgente si mischiano con quelle del ghiacciaio. Secondo Raetzo, in caso di canicola, una parte delle acque di sorgente scorre ai piedi del ghiacciaio e apportano calore proprio laddove il ghiacciaio viene fermato – o dovrebbe essere fermato - dalla roccia. Gli esperti considerano unanimemente che il crollo del ghiacciaio del 9 settembre è una conseguenza delle forti temperature estive. Martin Funk, glaciologo alla Scuola politecnica federale di Zurigo dichiara: “Un simile evento può prodursi soltanto in estate”. Si tratta qui di un influsso diretto del clima sul ghiacciaio.
Entro fine secolo la maggior parte dei ghiacciai delle Alpi sarà praticamente scomparsa. La Svizzera deve quindi prepararsi a importanti cambiamenti. Per i profani: le masse di ghiaccio fondono e con esse scompaiono le forze stabilizzatrici. Il crollo di tutta una lingua del ghiacciaio del Trift è quindi stato possibile perché non c’erano più gli stabilizzatori. In origine, le masse profonde nel ghiaccio stabilizzavano la parte più ripida del ghiacciaio del Trift. Ma oggi si sono sciolte.

Il fianco della montagna non è più trattenuto
Se i pilastri cadono, il processo viene accelerato. È proprio quanto è avvenuto al Moosfluh. È il ghiacciaio dell’Aletsch che trattiene – o tratteneva – i fianchi delle montagne vicine. Dal 1850 questo ghiacciaio ha perso circa 3 km in lunghezza e 400 metri in altezza al livello della lingua ghiacciale attuale. Questa perdita di massa diminuisce la pressione del ghiaccio sui fianchi. La pressione iniziale era di 35 bar, oggi “non c’è più”, precisa Hugo Raetzo, il che spiega perfettamente lo spostamento del Moosfluh.
È vero che se i ghiacciai fondono, le montagne perdono i loro pilastri, ma le conseguenze non sono sempre così drammatiche quanto intorno al ghiacciaio dell’Aletsch. Secondo Hugo Raetzo la “situazione geologica” ha pure un ruolo: fenomeni geologici antichi sarebbero sicuramente responsabili di “zone di debolezza e degli scoscendimenti” nelle montagne.

I processi di rottura del sottosuolo che permettono ormai una interazione particolarmente dinamica a livello della meccanica delle rocce, avrebbero quindi un’origine molto più anziana. In altri termini: se il “ghiaccio eterno” sostiene una montagna, già di per sé friabile, lo scioglimento del ghiaccio sarà fatale.
Dopo gli avvenimenti drammatici dell’estate 2017, una causa è sicura: che si tratti dello scoscendimento del Pizzo Cengalo o dello scioglimento del ghiacciaio del Trift, la Svizzera non è stata colpita totalmente di sorpresa. Il comune di Bondo ha costruito già da alcuni anni un muro di protezione con un importante bacino di contenimento per evitare le lave torrentizie, salvando così il villaggio dalla distruzione. Il ghiacciaio del Trift è pure sorvegliato da parecchi anni, così come il ghiacciaio di Bis nella valle di Matter.
Per quanto concerne il Moosfluh, nessuna micro-scossa sfugge agli esperti, poiché la montagna è sorvegliata per mezzo di sistemi radar, di GPS, di procedure di valutazione ottica e altre tecniche di misurazione. La Svizzera sembra essere tecnologicamente molto avanzata nel campo della sorveglianza dei pericoli. Hugo Raetzo conferma: “Conosciamo con precisione i movimenti nelle zone di sorveglianza e ci siamo dotati di un bagaglio tecnico di alto livello”.

Nelle zone pilota dell’Alto Vallese, le autorità nazionali e cantonali responsabili dell’ambiente e le alte scuole testano congiuntamente le reti di sorveglianza attraverso il GPS: i sensori GPS istallati nelle zone instabili hanno fornito in tempo reale i dati sui movimenti. “Nel confronto internazionale, i nostri lavori sui sistemi di rilevamento precoce si situano a un livello elevato”, afferma Hugo Raetzo. Egli richiama tuttavia all’umiltà della nostra condizione: “Qualunque sia la tecnica utilizzata, non potremo mai controllare la natura, né oggi, né domani”.

La presidente della Confederazione Doris Leuthard è stata ancora più esplicita a Bondo, davanti alle telecamere: “Avremo in futuro altri incidenti. Il permafrost, le lave torrentizie e i cambiamenti climatici sono già una realtà, anche se qualcuno rifiuta ancora di crederci”.

Marc Lettau
Revue Suisse

Il ghiacciaio dell’Aletsch non sostiene più i fianchi delle montagne vicine.

Il geologo Hugo Raetzo dà l’allarme: “La regione alpina si è riscaldata a velocità doppia rispetto alla media mondiale a partire dal 19esimo secolo”.

Gli abitanti di Bondo costatano i danni provocati dal fango, dai detriti e dalla ghiaia.