“Sono contento che questa rivoluzione non abbia avuto luogo”

Intervista al professore pedagogista Fritz Osterwalder, nel 1968 marxista convinto

50 anni fa, anche in Svizzera, sembrava giunto il momento di cambiare profondamente il mondo. E Fritz Osterwalder ha vissuto gli avvenimenti del 1968, in quanto marxista, prima di diventare professore di pedagogia. Cosa resta di quest’epoca? Intervista sugli scontri e i progressi.

Signor Osterwalder, il cinquantenario del 68 è un avvenimento importante dell’anno. E per lei, si tratta di un capitolo della sua biografia personale. Che effetto fa osservare la propria gioventù in un museo?
Si può osservare che una cosa alla quale si ha partecipato è ormai terminata. Nel contempo, si trae un bilancio dagli avvenimenti.

Qual è?
Vi sono due aspetti. Avevamo delle preoccupazioni: l’equità sociale, la parità dei sessi, l’apertura della società. Da questo punto di vista, vi sono stati dei progressi importanti, il nostro impegno è stato utile. Dall’altra parte, desideravamo rivoluzionare interamente la società, con delle teorie del 19° secolo, marxiste, socialiste, trotskiste, ecc. Questo non è avvenuto, ed è meglio così.

Perché è meglio?
In Svizzera, le nostre idee non hanno avuto un grande impatto. In numerosi paesi dell’America latina invece le rivoluzioni marxiste si sono a volte concluse in maniera drammatica. Sono costate delle vite e anche quelle di marxisti. Così, in Europa, abbiamo vissuto gli avvenimenti del 68 in maniera privilegiata.

Perché nessuno ha dovuto assumere il sogno di rivoluzione?
Delle persone come me hanno perfino potuto fare carriera nell’ambito del sistema di educazione nazionale diventando professore.

Questo stesso sistema che lei pensava di rovesciare quando era marxista.
Esattamente. Le nostre idee, basate su una democrazia dei consigli o ancora l’economia pianificata, erano anche fondamentaliste e rudimentali, anzi ingenue. Questo avrebbe potuto girare male. Molto male.

Vuole dire in maniera antidemocratica?
Antidemocratica. Totalitaria. Caotica.

Nel 1968, lei aveva solo 21 anni. In seguito, ha fornito il suo aiuto durante la creazione della sezione zurighese della LMR, la “Lega marxista rivoluzionaria”, derivante da una scissione in seno al Partito operaio popolare.
Sì, ma era solo nel 1971. Nel 68, era diverso: un movimento vasto, molto variato, di anticonformisti, vale a dire di persone che non erano più soddisfatte dell’ordine sociale in vigore, hanno articolato questa insoddisfazione al di fuori delle strutture politiche tradizionali, e dunque anche al di fuori dei vecchi partiti di sinistra. Tutto questo movimento andava ben oltre un certo ambiente sociale. Questi anticonformisti raggruppavano anche delle persone che desideravano un cambiamento nella letteratura o nel teatro. Altri aspiravano a un’apertura del sistema educativo. E altri infine erano totalmente apolitici.

E come si sono organizzate all’epoca queste persone?
Ci si incontrava durante le manifestazioni, nei bistrot e nei gruppi d’azione che perseguivano determinati obiettivi, come ad esempio la solidarietà con il Vietnam, una partecipazione attiva ai sindacati o il rinnovamento del teatro. I gruppi politici non erano ancora molto strutturati. Da noi, in Turgovia, una cerchia di studenti, allievi ed apprendisti ma anche rappresentanti della “vecchia sinistra” si riunivano per discutere.

“1968” era dunque più di un semplice movimento di studenti.
Ero studente, e noi ci impegnavamo per le riforme studentesche ma anche per gli apprendisti o i lavoratori stranieri in Svizzera. Oggi, si fa fatica ad immaginare, ma all’epoca, fuori da Frauenfeld, vi era una discarica e, a lato, delle baracche dove abitavano i lavoratori immigrati dall’Italia, separati dalle loro famiglie che non potevano raggiungerli nel nostro paese. Ecco come li trattava la Svizzera. Desideravamo fare qualcosa contro questo.

Il sentimento di poter cambiare il mondo sembrava unire il movimento, al di là di tutte le differenze.
Sì, avevamo questo sentimento: ora vogliamo rinnovare tutto, rendere tutto migliore, soprattutto da un punto di vista morale. La morale era molto presente nel 1968. Piccoli gruppetti del movimento provenivano dal PS o dal Partito del lavoro. Ma una gran parte proveniva dalle cerchie religiose. Più solidarietà e giustizia per il terzo mondo, per i lavoratori immigrati, per le donne: tutto ciò si basava su fondamenti morali molto forti.

E qual è stato il ruolo delle proteste contro la guerra del Vietnam?
Questa guerra ha politicizzato molte persone, come pure la rivoluzione socialista a Cuba, la lotta di liberazione dell’Algeria occupata dalla Francia, ma anche i movimenti dissidenti nell’ambito del blocco dell’Est. Questi avvenimenti ci hanno fatto scoprire la resistenza emergente di fronte all’”imperialismo” e ai regimi dell’Europa dell’Est. E ci consideravamo come una componente di questa resistenza.

È anche così che i rappresentanti dell’ordine stabilito vi percepivano: le autorità hanno reagito alle proteste con la repressione.
Sì, era l’epoca della Guerra fredda, delle schedature e delle denunce. Ma non solo. Eravamo anche disposti a riflettere su noi stessi, sulle nostre esigenze e questa propensione concerneva anche l’ambiente delle élites tradizionali.

Veramente?
Alcune università testimoniavano una grande apertura. Le direzioni e numerosi professori volevano discutere con noi. In seguito, ho vissuto la stessa cosa in qualità di professore. Insegnavo in una scuola professionale zurighese per le persone sorde, il nostro direttore scolastico era il presidente di una sezione locale dell’UDC e nonostante tutto, ci riunivamo una volta alla settimana per discutere.

Le è stato vietato di svolgere la sua professione…
No, questo no. Non sono stato designato professore principale in un liceo di Winterthur e ho perso il mio posto per ragioni politiche, ma avevo il diritto di insegnare in altre scuole pubbliche.

Nel 1979, in un libro, lei spiegava la “via verso il socialismo in Svizzera”: si trattava di “rovesciare il capitalismo, di spezzare il potere della classe capitalista di disporre della grande maggioranza della popolazione”.
È così che ci esprimevamo all’epoca. Volevamo abolire la società borghese, la proprietà privata dei mezzi di produzione, volevamo una società paritaria, non solo da un punto di vista giuridico, ma anche sociale.

Le persone di sinistra come lei hanno perso l’occasione di analizzare il loro passato in modo critico, ha affermato la Weltwoche in un articolo in occasione dell’ultimo anniversario del 68, dieci anni fa.
Come ho già detto, sono contento che questa rivoluzione non abbia avuto luogo. Nel contempo, sono felice che molte delle nostre esigenze siano state concretizzate. Così, oggi, vi è maggiore parità tra i sessi, la situazione dei lavoratori stranieri in Svizzera è migliorata, la pensione è garantita per tutti.

E il capitalismo?
Alcune delle nostre idee sono ancora attuali. Ad esempio il peso dei capitali bancari operanti a un livello globale, che ha fatto sprofondare nel 2008 il mondo occidentale nella crisi. Ancora oggi, sarebbe interessante per la nostra società controllare questo potere democraticamente.

Lei era un pedagogo e un professore di pedagogia: quali sono state le conseguenze del 68 sulla scuola?
Da una parte, il sistema educativo è stato aperto. Avevamo 36 allievi nella nostra classe del liceo di Frauenfeld, di cui soltanto cinque ragazze. Oggi, vi sono più ragazze e più bambini delle classi sociali inferiori nelle scuole superiori. Inoltre, le punizioni corporali sono scomparse, ma non l’autorità, fortunatamente.

Oggi lei si sente un liberale?
Sì, potrei dire questo: social-liberale. Il liberalismo borghese era uno dei nemici del 68, ma ai nostri giorni, esso costituisce il fondamento di una società democratica. Lo si vede nella Russia attuale: una democrazia diventa autoritaria solo quando non vi è liberalismo.

I sessantottini sono cresciuti nella società del benessere e della crescita del periodo dopoguerra. Essi hanno in seguito dichiarato guerra a questa società e ai suoi valori. Questo non è paradossale?
No, è perfino piuttosto logico. Quando ci si deve battere per la propria esistenza, non si passa prioritariamente il proprio tempo a elaborare modelli alternativi, come noi all’epoca. E al contrario, quando si può bere la propria birra e mangiare il proprio filetto di carne, si può nonostante tutto riflettere. Ad esempio al fatto che questi agi non esistono nel terzo mondo. Simili differenze possono particolarmente svegliare le coscienze per quanto concerne le questioni di giustizia sociale.

A partire dal 1980, il vostro LMR si chiamava Partito socialista operaio. Esso ha ottenuto alcuni seggi nei cantoni e nei comuni ed ha inoltre lanciato un’iniziativa federale per la formazione professionale garantita, chiaramente respinta nel 1986. Nel 1987, il Partito socialista operaio ha concluso la propria attività, numerosi membri si sono uniti ai Verdi o al PS.
Sì, da parte mia, ne facevo parte già dall’inizio, ma in seguito non mi sono associato a nessun partito, perché i miei lavori scientifici mi interessavano di più. Tuttavia, mi sento ancora coinvolto rispetto a numerose nostre rivendicazioni.

Quali?
La democratizzazione, in particolare per numerose questioni economiche, le pari opportunità per donne e uomini oppure la sicurezza sociale.

Daniel De Falco
Giornalista presso “Der Bund” e storico

 

Fritz Osterwalder
Fritz Osterwalder, nato nel 1947 a Frauenfeld, studiava nel 1968 la storia e la letteratura tedesca a Zurigo. Oggi, egli è soprattutto conosciuto per le sue ricerche sulle relazioni tra le idee pedagogiche, la religione e lo Stato. Si è fatto conoscere in particolare a seguito del suo sguardo critico sulle “speranze di salvezza” che la società rivolge alla scuola e sul “culto” relativo ai riformatori della pedagogia quale Montessori, Steiner o Pestalozzi. Nel 2012 Osterwalder si è congedato dall’Istituto delle scienze dell’educazione dell’Università di Berna dove lavorava dal 2000. In precedenza, aveva insegnato pedagogia a Karlsruhe ed è stato insegnante nonché giornalista a Zurigo e Winterthur.
DDF

1968: Più di una semplice agitazione o scandalo

1968? Ai nostri giorni, gli storici evocano piuttosto gli “anni 68” per indicare che degli avvenimenti, anche in Svizzera, non si sono limitati a un solo anno. Vi è stata l’agitazione in occasione del concerto dei Rolling Stones all’Hallenstadion di Zurigo nel 1967, l’occupazione di un seminario di professori a Locarno nel marzo 1968, le lotte di strada di Zurigo del giugno 1968, denominate la sommossa del Globus, la grande dimostrazione femminile sulla piazza federale (“la marcia su Berna”) nel marzo 1969 o l’esposizione provocante di Harald Szeemann “When Attitude Becomes Form” alla Kunsthalle di Berna nel marzo/aprile 1969. Il movimento degli anni 68 era una rivolta contro l’autorità tradizionale ed esigeva l’autodeterminazione, la giustizia e la solidarietà. Nel contempo, un’evoluzione più globale è divenuta visibile nelle proteste mediatizzate: queste ultime costituivano il culmine di un rinnovamento sociale che era iniziato nel 1965 e che era durato un buon decennio. Questo rinnovamento è stato caratterizzato ad esempio dal numero crescente di divorzi, di diplomati universitari o di donne nel mercato del lavoro. Dall’altra parte il benessere, la cultura della gioventù e i media di massa hanno inoltre creato una dinamica che si opponeva sempre più ai valori conservatori che hanno plasmato l’era del dopoguerra in Svizzera. Ciò ha comportato una modernizzazione sociale sorprendente durante le proteste del 1968 e che è sfociata infine in riforme politiche, ma anche in una vasta liberalizzazione delle norme sociali: dal concubinato alla cultura del consumo, passando per il taglio dei capelli, i modi di vita accettati sono divenuti molto più diversificati. Così, numerose cose oggi evidenti derivano da questi “anni 68”.
DDF

Fritz Osterwalder, 50 anni dopo: “Il liberalismo borghese era uno dei nostri nemici, ma oggi esso costituisce il fondamento di una società democratica”.
(Photo Adrian Moser)

Osterwalder (secondo partendo da destra) e altri membri della Lega marxista rivoluzionaria (LMR) fanno sapere nel 1975 che il partito si presenterà alle elezioni del Consiglio nazionale in dodici cantoni. (Photo Keystone)

La sommossa del Globus dell’estate 1968 a Zurigo ha dato luogo a delle lotte di strada. (Photo Keystone)