Un mondo di sapere, e tradizioni, un mondo di cercatori d’erba

«Sono l’uomo dei formaggi che si mette in competizione con voi, che rappresentate il paese del formaggio». Si è presentato così Francesco Gubert, agronomo ed esperto di agricoltura di montagna, che si giustifica però subito: «ma ho imparato a fare il formaggio in Svizzera, nel Canton Berna. L’ho imparato in un paese dove il pascolo è il motore che muove la società». Oggi, da agronomo, si occupa di cultura casearia: in entrata sottolinea lo stretto legame tra il Trentino e la Svizzera, soprattutto il Ticino. Nel dopoguerra, infatti, sono oltre 30'000 i trentini che si sono spostati nelle Alpi svizzere per praticare l’arte casearia e ancora oggi vi sono alpeggi elvetici gestiti da trentini.

Ma c’è un elemento che accomuna tutto l’arco alpino, dalla Slovenia alla Francia: è l’erba, che ci unisce e costituisce una fonte di sostentamento per l’uomo. E al contempo una sfida, poiché si tratta di una risorsa effimera che non mangiamo, e che va trasformata in qualcosa di nutriente. L’uomo, ripercorre storicamente Gubert, ha sempre seguito l’erba: in inverno nel fondovalle, in primavera sui versanti, in estate sull’alpe. Attorno ad essa si è sviluppato un mondo di sapere antichissimo e tradizioni, di cercatori di erba. Oggi il cercare l’erba è però qualcosa di sempre più raro, sempre più difficile nelle Alpi.

Un mondo moderno, in trasformazione ma con una grande speranza

Il mondo delle Alpi sta affrontando grandi trasformazioni: tanti, giovani o meno giovani chiudono le loro attività, abbandonano o lavorano con sempre meno animali. La gente si ritira dal territorio. In antitesi a questo sviluppo, sul fondovalle si punta sulla concentrazione, sull’allevamento intensivo, a dimostrare come si scontrano il troppo e il troppo poco. E poi c’è la conversione, con la vite e la mela che stanno prendendo quota in tutti i sensi: dove si faceva fieno ora si fa vite. Attenzione però, mette in guardia il giovane alpino, l’abbandono non è solo il bosco che si mangia il prato, ma rappresenta una perdita di cultura, di prodotto, di valori.

Ma non tutto sembrerebbe perso. Come consumatori ci rendiamo conto che non possiamo andare avanti così e che abbiamo bisogno di prodotti genuini in grado anche di dare un futuro alle persone che li producono. Come altri prodotti, il formaggio deve essere in un qualche modo etico, sostenibile, anche green. Gubert denuncia come oggi si lancino tutta una serie di concetti difficili, mentre l’alpeggio è lì quale scuola di modernità che ci può insegnare tantissimo. A suffragare questa tesi, vi sono vari giovani che investono in alta quota e trasformano il vecchio in nuovo, che si adattano ad un mondo che cambia, che integrano concetti aziendali prima di lanciarsi in avventure imprenditoriali.

Gubert conclude lo stesso con un appello ai giovani, invitandoli ad avvicinarsi per evitare l’isolamento. E rende coscienti che nella malga si fa fatica a trovare chi si impegna, chi si mette in gioco e chi vuole spendersi per questa causa.

Vogliamo te! Gubert lancia un appello ai giovani: la montagna e i suoi valori dipendono dalle loro fatiche

Esibizione del Coro della Società degli Alpinisti Tridentini

L’ha definito a giusta ragione “il valore aggiunto” di questo Congresso: un emozionato Pietro Germano che ha introdotto la decina di brani della Società degli Alpinisti Tridentini.

Al termine, Gian Franco Definti, a nome dell’OSE, ha conferito al Coro della SAT l’onorificenza «Amici della Svizzera». Il patrimonio culturale non conosce confini nazionali, ha affermato Definti al momento della consegna. Il bis concesso dal coro – con “La Montanara” – ha raccolto una convinta standing ovation da tutti i presenti.