Una promessa d’impegno piena di interrogativi

Gli Svizzeri sono favorevoli al partenariato con l’Unione europea. Ma il modo con cui questa relazione bilaterale deve svilupparsi è meno chiaro. Le riserve su un nuovo accordo quadro perturbano l’armonia.

La votazione popolare più importante di questi ultimi anni in materia di politica europea è sfociata, il 27 settembre 2020, in un chiaro verdetto: il 61,7% dei votanti ha bocciato l’iniziativa per la limitazione con la quale l’UDC voleva porre fine alla libera circolazione delle persone con l’Unione europea (UE). Questo «no» era anche un «sì» a favore del proseguimento delle relazioni con l’UE: la maggioranza degli Svizzeri non ha voluto mettere in pericolo la via bilaterale con il principale partner commerciale del paese. Poiché una disdetta della libera circolazione delle persone con l’UE avrebbe, a seguito di una «clausola ghigliottina», comportato la fine degli altri accordi bilaterali. Questa decisione senza appello del popolo è una sconfitta per il più grande partito politico svizzero, tanto più che concerne il suo tema centrale.
Secondo il suo nuovo presidente, il consigliere agli Stati ticinese Marco Chiesa, il fatto che il suo cantone sia il solo ad aver accettato l’iniziativa è stata una magra consolazione. Ancora sei anni fa, la maggioranza dei cantoni e del popolo aveva accettato l’iniziativa dell’UDC «contro l’immigrazione di massa», che chiedeva l’introduzione di contingenti in materia. Il Parlamento ha però faticato non poco ad applicarla alla lettera senza violare l’accordo sulla libera circolazione delle persone. Contro la volontà dell’UDC, è infine stato introdotto solo un dispositivo di «preferenza nazionale» per i posti vacanti. In seguito, i settori che registrano un tasso di disoccupazione superiore alla media devono privilegiare l’assunzione dei residenti rispetto agli stranieri.

Il punto cruciale della sovranità
Nonostante il suo fallimento in occasione dell’ultima votazione popolare, l’UDC si sta già preparando per la prossima battaglia contro l’UE e i suoi «giudici stranieri». Il suo obiettivo è l’accordo quadro istituzionale sulla base del quale la Svizzera e l’UE intendono rafforzare le loro relazioni bilaterali. Già dal 2018 è sul tavolo un progetto. L’UDC non è la sola ad opporsi a questo nuovo accordo quadro: la maggior parte degli altri partiti – di destra e di sinistra – si dimostrano scettici nei confronti dei risultati dei negoziati o vi si oppongono risolutamente.
Il punto cruciale è il conflitto di interessi tra la sovranità della Svizzera e il ruolo della Corte di giustizia dell’UE. Certo, il progetto di accordo prevede che in caso di litigio tra Berna e Bruxelles, spetti ad un tribunale indipendente decidere. Ma se sono in gioco questioni relative al diritto europeo, ciò che potrebbe sovente essere il caso, il tribunale arbitrale sarebbe sottoposto alle decisioni della Corte di giustizia europea. Anche il presidente del PPD, Gerhard Pfister, critica il ruolo «tossico» svolto dalla Corte di giustizia dell’UE nell’accordo quadro. In un’intervista alla stampa, egli dichiara che non è normale che una «Corte europea decida le relazioni tra l’UE e uno Stato non-membro». Il politico di centro teme in particolare che la Corte di giustizia dell’UE possa un giorno forzare la Svizzera ad adottare la direttiva europea sulla cittadinanza, che faciliterebbe l’accesso all’aiuto sociale in Svizzera per i cittadini dell’UE. Questa direttiva non è però esplicitamente menzionata nell’accordo quadro.
I partner sociali respingono invece l’accordo preoccupandosi della protezione dei salari. Secondo loro, la Svizzera deve potersi proteggere da sola contro il dumping salariale, come è oggi il caso con le misure di accompagnamento. Anche i sindacati vedono con occhio critico il ruolo della Corte di giustizia dell’UE. Essi ritengono che le sentenze decretate in questi ultimi anni abbiano indebolito il diritto collettivo del lavoro, in particolare a proposito delle convenzioni collettive e del diritto di sciopero.

Il Consiglio federale intende rinegoziare
Soltanto i Verdi liberali, il PBD, e il PLR (partito del consigliere federale e ministro degli affari esteri Ignazio Cassis), sostengono l’accordo quadro. Ma anche presso i Liberali-radicali, il fronte dei sostenitori si sta sbriciolando. L’ex consigliere federale PLR Johann Schneider-Ammann ha espresso sulla «Neue Zürcher Zeitung» il suo timore di una perdita di sovranità: in questo progetto l’equilibrio trovato negli accordi bilaterali tra la sovranità statale e l’accesso al mercato interno europeo è, secondo l’ex ministro dell’economia, «andato perso a scapito della Svizzera». Secondo lui, questa «sottomissione di fatto» del tribunale arbitrale alla Corte di giustizia dell’UE va troppo oltre.
Il Consiglio federale aveva già annunciato di voler riprendere i negoziati con l’UE sulle «questioni aperte», in particolare la direttiva sulla cittadinanza e la protezione dei salari. A metà ottobre, esso ha nominato una nuova responsabile dei negoziati. La segretaria di Stato Livia Leu, ex ambasciatrice a Parigi, è già la quinta diplomatica di alto rango ad occuparsi del complesso dossier europeo. Con questa nomina, il Consiglio federale spera di infondere un nuovo dinamismo alle relazioni attualmente in una fase di stallo. Quale sarà il margine di manovra di Livia Leu nei negoziati con Bruxelles? La questione era ancora aperta alla chiusura della redazione.

Crescente impazienza a Bruxelles
Dal lato dell’Europa, le esitazioni della Svizzera sono sempre meno capite. Dopo la bocciatura da parte del popolo dell’iniziativa per la limitazione, l’UE partiva dal presupposto che la via fosse infine finalmente per sottoscrivere l’accordo quadro che considerava come concluso. La domenica dello scrutinio, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, sottolineava ancora una volta che Bruxelles era pronta ad alcuni “chiarimenti”, ma attendeva anche dal Consiglio federale rapidi progressi in vista della ratifica dell’accordo. È però possibile che dietro le quinte vengano fatte concessioni per aiutare il Consiglio federale a rendere l’accordo accettabile per la maggioranza dei partiti. Dopo il Parlamento, sarà di fatto il popolo ad avere l’ultima parola su questo accordo.
Gli accordi bilaterali esistenti restano validi fintanto che non sarà firmato un nuovo accordo quadro. Ma l’UE potrebbe rifiutare di rinnovarlo, ciò che sarebbe dannoso, ad esempio, per il settore della tecnica medica svizzera, che rischierebbe di perdere il suo accesso al libero mercato interno europeo. Anche la partecipazione della Svizzera al programma di ricerca europeo «Horizon Europa» potrebbe essere penalizzata. Da parte sua, la Svizzera ha anche una sua carta da giocare: a fine 2019, il Parlamento ha bloccato il versamento del nuovo miliardo di coesione destinato all’aiuto allo sviluppo degli Stati europei strutturalmente deboli. In altre parole, fintanto che non sarà ratificato un nuovo accordo di partenariato tra Berna e Bruxelles, bisogna ancora superare diverse crisi relazionali.

Questo articolo riflette lo stato della situazione a metà ottobre

Theodora Peter

Sia gli oppositori sia i sostenitori dell’iniziativa per la limitazione hanno scelto degli slogan eloquenti. Il risultato della votazione si è rivelato essere uno choc anche per il nuovo presidente dell’UDC, Marco Chiesa. Foto Keystone

Il disegno di Max Spring per la «Gazzetta Svizzera».

Le conseguenze dell’accordo quadro sui salari e la sicurezza dell’impiego restano un tema sensibile. Foto Keystone

Nuova misura sociale per i disoccupati anziani

I disoccupati anziani che non trovano un nuovo impiego beneficeranno in futuro di una prestazione transitoria fino all’età della pensione. Questa nuova prestazione sociale concernerà le persone che hanno più di 60 anni e che sono giunte alla fine del diritto nell’assicurazione disoccupazione dopo aver cercato di reinserirsi senza successo nel mondo del lavoro. Questa rendita-ponte coprirà così il periodo che rimane fino a che queste persone riceveranno una rendita AVS ordinaria. La nuova misura sociale aiuterà 3400 seniori a non cadere nella povertà. Essa costerà allo Stato quasi 150 milioni di franchi all’anno.

Con l’idea di creare questa prestazione transitoria, il Consiglio federale ha lanciato già lo scorso anno un segnale di politica interna a favore della libera circolazione delle persone. Temendo di essere allontanati dal mercato del lavoro da parte degli immigrati, numerose persone con oltre 50 anni di età avevano di fatto votato nel 2014 a favore dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa dell’UDC. Con questa nuova misura sociale, il governo ha voluto rispondere ai loro timori. Aveva dapprima proposto una regolamentazione più generosa, che avrebbe favorito quasi 4600 persone. Ma il Parlamento ha ridotto la cerchia dei beneficiari e fissato un tetto massimo all’importo della rendita-ponte. L’UDC ha preso posizione contro la nuova prestazione transitoria, affermando che essa potrebbe incitare le imprese a licenziare i loro collaboratori più anziani. Tuttavia, il partito non è riuscito a raccogliere un numero sufficiente di firme per un referendum. (TP)

La «Quinta Svizzera» difende la mobilità internazionale

Quasi l’80% degli Svizzeri all’estero ha bocciato l’iniziativa per la limitazione. La disdetta della libera circolazione delle persone richiesta dall’UDC avrebbe colpito in pieno i 460’000 Svizzeri che vivono nell’Unione europea.

Il tasso di rifiuto da parte della «Quinta Svizzera» (78%) ha superato di quasi il 16% il risultato del paese intero (61,7%). È quanto dimostra l’analisi di dodici cantoni che contano separatamente i voti degli Svizzeri all’estero (cf. grafico). Le cifre degli altri cantoni non sono noti, ma questi dodici cantoni formano un quadro rappresentativo poiché contabilizzano, in generale, oltre il 70% degli Svizzeri all’estero iscritti in un registro elettorale, ossia 133’000 su un totale di 181’000.
Nei cantoni rurali, il tasso di rifiuto degli Svizzeri all’estero nei confronti dell’iniziativa per la limitazione ha perfino superato di oltre il 30% la media svizzera. Ciò è stato il caso, ad esempio, a Uri e in Appenzello interno. Quest’ultimo è uno dei quattro cantoni, con Svitto, Glarona e il Ticino, ad aver sostenuto l’iniziativa.
Questa presa di posizione della «Quinta Svizzera» non sorprende Remo Gysin, presidente dell’Organizzazione degli Svizzeri all’estero (OSE): «Essa sottolinea l’importanza della libertà di insediamento e della mobilità internazionale.» Ed è proprio grazie alla libera circolazione delle persone, e unicamente grazie ad essa, che gli Svizzeri possono lavorare in qualunque paese dell’UE e abitarvi. Remo Gysin rileva che questa mobilità transfrontaliera dovrebbe del resto interessare tutti gli Svizzeri, «sia che vivano in questo momento in Svizzera o all’estero». Oltre alla sicurezza sociale ed economica, la parità di trattamento con i cittadini dell’UE è di importanza capitale, a livello professionale come pure su quello delle imposte e delle prestazioni sociali. Anche il diritto di restare in un paese europeo dopo la fine di un’attività professionale ne fa parte.

Un gran numero di Svizzeri all’estero non ha potuto votare
Mentre che in Svizzera il tasso di partecipazione alla votazione del 27 settembre ha raggiunto quasi il 60%, il tasso di partecipazione degli Svizzeri all’estero è stato solo di circa il 30%. Dopo la domenica dello scrutinio, l’OSE ha ricevuto un gran numero di lamentele da parte di cittadini svizzeri frustrati di aver ricevuto troppo tardi i loro documenti di voto. Soprattutto oltremare, numerosi Svizzeri all’estero iscritti sono così stati privati dell’esercizio dei loro diritti politici. L’OSE è di conseguenza intervenuta presso 26 cantoni per esortarli a sfruttare interamente i termini legali tollerati e ad inviare agli Svizzeri all’estero i loro documenti di voto cinque settimane prima delle votazioni. Secondo i dati dell’OSE, soltanto due cantoni lo hanno fatto per la votazione del 27 settembre.
Dei 770900 cittadini svizzeri domiciliati all’estero, quasi 460000 vivono in un paese dell’UE. Un quarto degli Svizzeri all’estero (199 800) vivono in Francia, il secondo paese sulla lista è la Germania (92 200), seguita dagli Stati Uniti (81100).

Theodora Peter

Soltanto i cantoni indicati sopra contabilizzano separatamente i voti degli Svizzeri all’estero. Le cifre evidenziate costituiscono dei valori record.