Accolti e respinti: ebrei in fuga dall’Italia verso la Svizzera dopo l’annuncio dell’armistizio nel 1943

Un importante evento al Centro Svizzero di Milano

«Secondo il Rapporto Bergier la Svizzera, e in particolare i suoi responsabili politici, non risposero ogni volta in maniera adeguata alle esigenze umanitarie. Un dato di fatto che vale in primo luogo per la politica in materia di rifugiati.

Se è vero che durante la Seconda guerra mondiale la Svizzera ha offerto rifugio a un numero maggiore di persone perseguitate di quante non ne abbia respinte [….] ciò non attenua le responsabilità della Svizzera verso quelle persone che ha rifiutato di accogliere.

La paura della Germania nazista, il timore di un'immigrazione di massa e le preoccupazioni per l'impulso politico di un antisemitismo presente anche in Svizzera hanno talvolta prevalso sui nostri valori e sulla nostra tradizione umanitaria. Per questi errori il Consiglio federale si è scusato ripetutamente.

Stasera io – quale rappresentante ufficiale del mio Paese tanto quanto cittadina svizzera – reitero queste scuse nei confronti della Senatrice Segre.

Senatrice, le rivolgo le mie scuse per l’accaduto, per quanto subìto, con la consapevolezza che è impossibile correggere pienamente gli errori commessi e porre rimedio a determinate omissioni.

Tuttavia, spero che il confronto con l’accaduto, nonché i tanti provvedimenti adottati da allora, ci impediscano di ripetere gli stessi errori e possano renderci sensibili ai nostri obblighi almeno verso le vittime di oggi».

Con queste accorate scuse, di certo non facili da pronunciare, la Console Generale Sabrina Dallafior ha aperto l’incontro, che si può definire memorabile, organizzato lo scorso 6 febbraio dal Consolato Generale di Svizzera in collaborazione con la Società Svizzera di Milano, alla presenza della Senatrice Liliana Segre e delle autorità cittadine.

Il Presidente della Società Svizzera di Milano avv. Markus Wiget, in una sala Meili gremita di ospiti, ha sottolineato come questo incontro rispondesse ad un «bisogno di conoscenza, di sapere storico, di nutrire la memoria e di comprensione umana e delle umane vicende, per evitare gli stessi errori», ma avvertendo anche come non possano essere «aridi numeri a mutare il giudizio morale su tali fatti o a dare le risposte che i nostri cuori vorrebbero, e per i quali anche un solo respingimento in quelle circostanze ci appare una immane tragedia, un atto di disumanità, di cui la stessa Senatrice Segre è stata “testimone involontaria” – ed anzi vittima inconsapevole ed innocente». Ha poi introdotto la visione del documentario realizzato dal regista Ruben Rossello della Radio Televisione Svizzera, “Arzo 1943”, in cui è raccontata la vicenda personale della tredicenne Liliana Segre, respinta alla frontiera svizzera l’8 dicembre del 1943 insieme al padre Alberto e a due anziani cugini, Rino e Giulio Ravenna.

Ad Arzo, un piccolo villaggio del Mendrisiotto confinante con le province di Como e Varese, quella mattina dell’8 dicembre 1943 un imperturbabile ufficiale svizzero esegue l’ordine di arresto e a nulla valgono le lacrime versate dall’allora bambina Liliana che si getta ai suoi piedi implorandolo… I Segre sono dunque rimandati indietro, al confine, catturati dalla guardia di finanza della Repubblica di Salò e successivamente deportati dai tedeschi ad Auschwitz, dove, come è noto, soltanto Liliana sarebbe sopravvissuta.

L’arrivo al campo di concentramento è ricordato nel filmato dalla Senatrice con queste precise parole: Entrai, senza capire cosa mi stesse succedendo, a Birkenau. Era una città di donne, una situazione talmente incredibile in cui le nuove arrivate sopportavano il tatuaggio sul braccio ed erano rasate a zero …eravamo tutte dei personaggi completamente diversi da quelli scesi dal treno due ore prima! Entrai nella prima baracca e alcune ragazze francesi, che erano lì da 15 giorni, ci dissero di imparare immediatamente il numero in tedesco perché tante sono morte per essere state sorde e mute alla lingua dei nostri padroni. Ubbidite, non guardate mai in faccia i soldati, cercate di essere invisibili, non domandate, fate quello che vi si dice… E queste ragazze che già non piangevano più, perché ci volevano almeno 15 giorni per smettere di piangere, ci dissero: quelli che avete lasciato al treno non li rivedrete più perché sono già passati per il camino, sono già bruciati…!”

78 anni dopo l’orrore di Birkenau, i figli della Senatrice, Alberto e Luciano, ripercorrono il cammino nei boschi del confine tra Italia e Svizzera dove si era riversata una folla in fuga dall’apparato nazista e si era consumato il dramma di molti italiani di origine ebraica. Ma perché - ci domandiamo nel silenzio innaturale della sala - i Segre vennero respinti?

«Non è mai stato chiarito chi abbia deciso il perché di questo respingimento – spiega il regista Rossello – così difficile da spiegare perché la prassi faceva sì che tutti i minori di 14 anni potessero entrare accompagnati dai genitori insieme alle persone oltre i 65 anni».

 

Il cortometraggio ricostruisce filologicamente i dettagli dell’accaduto e racconta le atroci responsabilità che portarono a tale respingimento, mettendo però anche in luce i dati emersi dalle ricerche più recenti effettuate grazie al ritrovamento dei registri delle dogane che danno conto di un’accoglienza ben maggiore di quanto ipotizzato finora.

I respinti dalla Svizzera non furono 20'000, come sostenuto dal citato rapporto Bergier, bensì alcune centinaia. Il Canton Ticino, infatti fece pressioni sul governo di Berna in nome del buon rapporto di amicizia verso l’Italia, ciò permise l’accoglimento di migliaia di rifugiati, tra i quali militari ed ex prigionieri di guerra antifascisti, ma anche importanti esponenti della classe dirigente dell’epoca[1]. Ce lo hanno ben spiegato nel corso dell’interessante approfondimento gli storici presenti in sala Adriano Bazzocco e Liliana Picciotto, responsabile della ricerca presso il Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano CDEC e autorevole storica della Shoah in Italia.

Queste, per certi versi, sconvolgenti novità storiografiche, illustrano chiaramente che ciò che ha portato al tragico epilogo della famiglia Segre fu una sfortunatissima coincidenza di fatti: l’ordine emanato pochi giorni prima dalla Confederazione Elvetica di effettuare una stretta nelle maglie dell’accoglienza e l’arrivo ad Arzo – proprio quel giorno – del Consigliere di Stato Richard Corboz per un’improvvisa ispezione. «Soprattutto quest’ultima circostanza fece sì che quel giorno non vennero rispettate le procedure di accoglimento» precisa lo storico Marino Viganò, presente in sala tra i relatori.

La banalità del male, per dirla con Hannah Arendt, ci ricorda di fare i conti con la nostra storia poiché la libertà non si conquista dimenticando o rimuovendo, ma ricordando, sempre.

L’importanza di tenere viva la memoria è stata ben sottolineata dall’Assessore alla Cultura del Comune di Milano, Tommaso Sacchi, che ha ricordato la testimonianza della Senatrice resa lo scorso 27 gennaio in una diretta televisiva nella trasmissione di Fabio Fazio al Binario 21 della Stazione Centrale di Milano. In quell’occasione il sindaco Sala aveva consegnato l’Ambrogino d’Oro alla memoria di Alberto Segre, il più alto riconoscimento della città nell’ambito del progetto “Milano è Memoria”. Questo si compone di molte iniziative in omaggio alle vittime dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico, e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, con lo scopo di mantenere il ricordo di questi fatti storici. «Ecco, questa serata – ha dichiarato l’Assessore Sacchi – è un pezzo di “Milano è Memoria”, in cui Milano fa la sua parte e partecipa a quel tessuto connettivo portatore di memoria, che ci impone di continuare a raccontare a noi e soprattutto alle nuove generazioni quello che è accaduto per non dimenticare, mai».

Il doveroso ricordo di questi avvenimenti, dell’indifferenza che allora ha ucciso e che continua a farlo ancora oggi a due passi da casa, così come il riconoscimento dei propri errori sono condizioni fondamentali per apprendere dalle tragedie della guerra per evitare (forse) che si ripetano e difendere i nostri valori: pace, libertà, diritti umani e democrazia.

Il profondo senso di ingiustizia e frustrazione che abbiamo provato stasera ci ha però arricchito del sentimento della consapevolezza. Un lungo applauso, che è anche il nostro, accompagna l’uscita dalla sala Meili della Senatrice Liliana Segre visibilmente emozionata.

Antonella Amodio
Società Svizzera di Milano

[1] Segno tangibile della riconoscenza dei servigi resi a tanti fuggitivi italiani durante la guerra civile e la resistenza è la donazione fatta della Repubblica italiana alla Confederazione elvetica del terreno sul quale sorge oggi a Milano il Palazzo Svizzero.