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Eiger, brividi di panico sulla celebre parete nord

    Definita l’orco, il mostro, il gigante oscuro… Storia di una montagna bernese che si volle conquistare a costo di molte vite

    Lugano – Tra le alpi più particolari della Svizzera si erge fiera l’Eiger: una montagna che ha attirato gli arrampicatori duri e puri di tutti i tempi.

    Esattamente 100 anni fa, nel 1924, vi si svolse la prima salita di sci alpino, e tanti altri traguardi, come raggiungere la cima si erano susseguiti fin dal 1800 in una gara a chi arrivava prima. Ma si trattava di gareggiare sui lati sud est ovest, quelli più affrontabili della maestosa montagna.

    Tutt’altra storia fu cercare di affrontare il versante nord, impresa in cui si cimentarono gli alpinisti più arditi fin dai primi decenni del 1900. E non sempre finì bene. Sulle loro storie vi sono libri e film, oltre al documentario disponibile sul web “L’eco del silenzio”.

    L’INACCESSIBILE PARETE NORD

    L'Eiger, alta 3'967 metri, insieme alle sorelle Mönch e Jungfrau situate nell’Oberland Bernese, sono da sempre meta dei più appassionati alpinisti. Ma l’Eiger è famosa per la sua parete Nord: talmente problematica da divenire uno dei principali grattacapi per molti alpinisti degli anni Trenta provenienti da tutta Europa. È descritta come una parete “himalayana” per i suoi oltre1’800 metri praticamente in verticale!

    Essendo assai poco baciata dal sole è costellata da zone di neve perenne e ghiaccio, con la possibilità di franamenti. Una sfida ardua e rischiosa anche per i più esperti arrampicatori.

    Da qualunque punto si iniziasse, alla ricerca di un percorso di arrampicata favorevole, non si riusciva a salire.

    LA TRAGICA ODISSEA DI TONI KURTZ

    In quell’epoca l’equipaggiamento era quello che era, non esistevano certo tutti gli accessori e i materiali termici odierni che proteggono il corpo e che tengono caldi, ammesso che possano servire nelle circostanze più estreme e sfortunate.

    I tentativi di scalata erano infruttuosi, ma si continuò a provarci a rischio della vita.

    Toni Kurtz e i suoi compagni Andreas Hinterstoisser, Edi Rainer e Willi Angerer morirono sull'Eiger nel luglio del 1936, provando a scalare la parete Nord.

    Si erano formate due cordate separate, quella tedesca con Kurtz e Hinterstoisser e quella austriaca con Rainer e Angerer. Incontratisi sulla parete decisero di unirsi e proseguire insieme, quando una caduta di pietre ferì alla testa Angerer. Dopo quattro giorni, le condizioni dell’austriaco e il peggioramento del tempo fecero desistere il gruppo dal proseguire e iniziarono la discesa. Dovettero prendere una via diversa dall’andata, molto più rischiosa. Investiti da una valanga, tre morirono presto violentemente, mentre Toni Kurtz sopravvisse. Rimase appeso alla corda tra due compagni morti, gridando aiuto. Fu sentito da un guardiano della ferrovia che chiamò i soccorsi.

    A POCHI METRI DALLA SALVEZZA

    Tre soccorritori arrivarono a circa 100 metri da Kurtz ma non riuscirono a raggiungerlo a causa del tempo inclemente.

    Dissero a Kurtz che sarebbero tornati all’alba del giorno seguente, mentre l’alpinista disperato continuava a gridare di aiutarlo.

    Il giorno dopo i soccorritori si avvicinarono a 40 metri da Kurtz, miracolosamente scampato alla gelida nottata. Perduto il guanto sinistro, aveva il braccio completamente congelato e quindi bloccato.

    La squadra non poteva salire fino a lui perché la parete verticale era una lastra di ghiaccio, perciò dissero a lui di scendere. Egli riuscì con sforzo sovrumano, durato 5 ore, a tagliare la corda troppo corta legando insieme dei pezzi recisi in modo da allungarla.

    Dopo infinite manovre nel vuoto e nel gelo, assistito dai soccorritori che lo incoraggiavano a resistere, Toni Kurtz si fermò definitivamente e disse: «Non ne posso più!». Morì poco dopo.

    VITTORIE E FALLIMENTI FATALI

    Quello accennato sopra è il caso più eclatante, più ricordato e raccontato, ma altri ne seguirono.

    Prima degli anni Trenta la parete Nord non fu mai affrontata proprio perché pericolosissima. Poi, forse per l’arrivo di nuovi materiali con funi un poco più robuste unitamente allo spirito maschile di padroneggiare ad ogni costo anche sulla più inaccessibile Natura, iniziarono le scalate.

    Nel 1934 si ebbe la prima cordata, tedesca, arrivata a quota di 2’900 metri dovette arrendersi e tornare indietro. L’anno dopo altra cordata di due tedeschi che a 3’300 metri trovarono la morte e il posto dove furono costretti a fermarsi venne chiamato “bivacco della morte”.

    Dopo la tragedia di Toni Kurtz e compagni del ’35, persero la vita altri alpinisti tra cui gli italiani Bortolo Sandri e Mario Menti, nel 1938.

    Tuttavia, in quell’anno, si registrò il primo faticosissimo successo: una cordata austro-tedesca raggiunse la cima e l’impresa fu ben sfruttata nella propaganda nazista.

    Negli anni seguenti la scalata fu ripetuta tra vittorie e fallimenti mortali come quello occorso nel 1957 dove perirono italiani e tedeschi in vari punti della parete Nord.

    DIVIETI INASCOLTATI

    La parete Nord fu cosi conquistata anche se a caro prezzo. All’inizio, fu raccomandato da varie autorità di non provare la scalata. In particolare, il comandante militare (esperto alpinista) di Kurz e Hinterstoisser inviò loro un preciso divieto, ma i due si erano già avviati sulla parete.

    Come riportato da fonti storiche: «La parete veniva considerata talmente pericolosa che un comunicato del Comitato Centrale del Club Alpino Svizzero riferiva che le guide non dovevano sentirsi obbligate ad andare in soccorso di chi si fosse trovato in condizioni critiche sulla parete».

    Come non essere d’accordo? Con il dovuto rispetto e provando sincera pena per le vittime, le passioni per gli sport estremi sono lecite con un “ma” più gigantesco dell'Eiger: esse non giustificano il mettere a repentaglio la vita altrui.

    I soccorritori dovrebbero essere chiamati in situazioni di emergenza comune, invece succede che si feriscano o decedano per aiutare chi si diletta in amene attività dichiaratamente pericolose.

    L’avventura è bella, ma anche di più il lieto fine.

    Annamaria Lorefice

    Bellissima e maestosa, forse la montagna Eiger è un simbolo della Natura che avrebbe diritto a mantenere inaccessibili all’uomo alcune sue parti, semplicemente da ammirare in silenzioso rispetto. Sulla sua pericolosa parete Nord sono avvenuti molti incidenti fatali a partire dagli anni Trenta del secolo scorso. Molti alpinisti europei hanno voluto sfidare la sua verticalità che presenta zone di neve perenne, ghiaccio e frequenti frane. Con le attrezzature più moderne cominciarono i primi successi. La prima salita femminile avvenne nel 1964 con l'alpinista tedesca Daisy Voog, mentre la francese Catherine Destivelle salì in solitaria invernale nel 1992. Foto Esquire

    La vicenda di Toni Kurz è descritta nel libro di Heinrich Harrer “Il ragno bianco” di Heinrich Harrer del 1959. Da un secondo libro, “The Beckoning Silence” (2003) di Joe Simpson, è scaturito il documentario “L’eco del silenzio” della regista Louise Osmond, vedibile gratuitamente sul web. Il film tedesco North Face – Una storia vera (2008) del regista Philipp Stölzl è dedicato alla stessa vicenda. Il “castigo dell'Eiger”, storia thriller, basata su una scalata dell'Eiger, dal quale nel 1975 Clint Eastwood trasse e diresse il film “Assassinio sull'Eiger”, dove lui è anche l’attore protagonista.

    Luglio 1936. Il povero alpinista tedesco Toni Kurz appeso e semi-congelato in attesa dei soccorsi.

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