La pandemia dal punto di vista svizzero

La Svizzera ha attraversato la crisi del coronavirus in maniera disciplinata e privilegiata

La Svizzera ha sofferto, questo è innegabile. 2000(*) persone sono decedute di Covid-19. Decine di migliaia di lavoratori hanno perso il loro impiego o le loro prospettive di lavoro. Centinaia di migliaia risentiranno ancora per anni le conseguenze della pandemia sulla società e l’economia. Nel contempo, vi sono anche numerosi Svizzeri che ribadiscono che la crisi avrebbe anche potuto essere peggiore.

(*) Situazione al 1o luglio 2020 secondo l’analisi dell’Ufficio di statistica del canton Zurigo: 31 827 casi, 1965 decessi

L’ora del ritorno alla normalità è già suonata? Molti Svizzeri se lo sono chiesto all’inizio del mese di giugno. Mentre altrove, ad esempio in Brasile, il virus iniziava a paralizzare tutto, il Consiglio federale allentava rapidamente le restrizioni legate al coronavirus in Svizzera. I bar cittadini si sono subito rianimati, le rive dei fiumi e dei laghi si sono trasformate in ampie aree da picnic, i commerci hanno ricominciato ad attirare la clientela. Il tutto, impregnato del profumo austero dei prodotti disinfettanti.

Ma parlare di «ritorno alla normalità» è chiaramente sbagliato. La pandemia continua a condizionare la quotidianità in tutte le sue sfaccettature: oltre un terzo dei lavoratori ha ormai familiarità con il lavoro a orario ridotto; migliaia di persone hanno perso completamente il lavoro; e rimane presente il timore che la prima ondata di coronavirus possa essere seguita da una seconda ondata. Gli sconvolgimenti sociali e quelli economici causati dalla pandemia potrebbero avere ripercussioni ancora per anni. È troppo presto per tracciare un bilancio finale.

Come ha fatto la Svizzera a superare il picco epidemico della crisi? Globalmente, si potrebbe affermare che se essa è stata seriamente scossa, ha comunque attraversato sorprendentemente bene questa dura prova e, nonostante tutte le sofferenze, in maniera disciplinata. L’orrore suscitato dall’aumento galoppante del numero dei casi era pari a quello registrato altrove. Ma le condizioni di vita sono rimaste piuttosto clementi, poiché la maggioranza della popolazione ha seguito le normative imposte dalle autorità e drasticamente ridotto gli spostamenti, Parallelamente sono nate varie forme di sostegno tra la gente.

Alla fine, il Consiglio federale ha creato le condizioni per questo tipo di comportamento. Già dall’inizio della crisi, è apparso unito, ha riposto tutta la sua fiducia nei suoi esperti in epidemie ed è rimasto prevedibile e comprensibile. Ha fatto appello alla responsabilità individuale, anche per quanto riguarda la libertà di movimento e le misure di protezione: non è stato decretato né il confinamento totale né l'obbligo della mascherina. E in occasione delle sue numerose apparizioni, il governo è riuscito a dare un’immagine emblematica: da un lato il ministro della sanità Alain Berset, che ripeteva costantemente il suo mantra «Restate a casa!», dall’altro il medico Daniel Koch, epidemiologo capo della Confederazione, che spiegava con calma e sobrietà ciò di cui era a conoscenza e, ancora più importante, ciò di cui non si era a conoscenza.

L’esempio della Svizzera mostra anche fino a quale punto la sicurezza materiale sia importante in periodo di crisi. La rete di sicurezza sociale che si è dispiegata è stata solida. Gli aiuti statali concessi sotto forma di indennità per lavoro ridotto vanno considerevolmente più lontano rispetto ad altri Paesi. E l’aiuto pubblico alle imprese in difficoltà è molto più sostanziale che non nell’Europa circostante: lo Stato garantisce al 100% le richieste di credito che le imprese hanno potuto chiedere alla loro banca senza complicazioni amministrative. I media stranieri hanno quasi applaudito. La rivista tedesca Focus, ad esempio, ha scritto: «I dirigenti tedeschi di imprese possono solo sognare simili condizioni.»

Tuttavia, questa non è una trasfigurazione appropriata: la Svizzera non era meglio preparata alla pandemia rispetto ad altri Paesi industrializzati. Il Paese disponeva un piano ospedaliero nazionale per l'eventualità di una pandemia. Ma i cantoni non avevano attuato questo piano – coscienti di dover risparmiare denaro. Gli stock di materiale medico di prima necessità erano solo in parte disponibili. E la disciplina degli Svizzeri stava per esaurirsi. A maggio, la pazienza ha cominciato a diminuire. Ma a giugno il Consiglio federale ha messo fine alla crescente impazienza.

Marc Lettau

Sempre sotto i riflettori: Alain Berset e Daniel Koch, i due volti della crisi del coronavirus in Svizzera.

Sempre nell’ombra: le squadre delle cure intense, come qui presso l’ospedale «La Carità» di Locarno, nel canton Ticino, che è stato particolarmente colpito. Foto Keystone