Intervista di Gazzetta Svizzera a Vania Alleva, presidente del sindacato Unia e vicepresidente dell’Unione sindacale svizzera
Alleva ha iniziato a lavorare per il mondo sindacale nel 1997. È stata eletta vicepresidente dell’Unione Sindacale Svizzera nel maggio 2009. Nel 2012, il Congresso di Unia l'ha eletta copresidente. Dal 20 giugno 2015 è la prima donna a guidare Unia come presidente unico. Al Congresso Unia del 2016 a Ginevra è stata confermata nella carica con oltre il 90% dei voti. Sollecitati dalle recenti crisi, Gazzetta Svizzera ha colto l’occasione per incontrare Vania Alleva per parlare di cosa la muove nel suo impegno, l’“autunno salariale” e il suo passato migratorio in Svizzera.
Vania Alleva, dal 2012 è a capo di UNIA, il principale sindacato in Svizzera. Cosa la muove ad impegnarsi a difesa dei lavoratori e cosa sono le sue priorità?
Il motore per il mio impegno è la lotta per la difesa dei diritti nonché la convinzione che insieme possiamo conquistare più giustizia sociale e porre così le basi per una vita e un lavoro dignitosi per tutti. Lo facciamo insieme alle lavoratrici e ai lavoratori. Le priorità sono i salari, le pensioni e il potere d’acquisto, nonché il raggiungimento di una parità di genere reale. Sul piano dei diritti c’è anche la questione del rapporto con l’UE e, dopo il fallimento dell’accordo quadro, la questione del contributo della Svizzera a un’Europa sociale.
Che valore dà al partenariato sociale svizzero e cosa fa UNIA per promuoverlo? Molto spesso rappresentanti o politici vicini a UNIA promuovono soluzioni “statali” (salari minimi, ecc..). Questo non sotterra e svuota di contenuto il partenariato sociale?
La via del partenariato sociale è quella da noi prediletta, ma quasi il 50% dei lavoratori e delle lavoratrici non sono tutelati da nessun Contratto collettivo e i rami professionali dove non esiste un partenariato sociale sono ancora tanti. La via legale, dunque, è complementare. La legge definisce inoltre le condizioni quadro in cui opera il partenariato sociale. Questo vale anche per la protezione della salute sul lavoro ancorata nella legge sul lavoro o per le misure di accompagnamento nel contesto degli accordi bilaterali con l’UE.
Al di là di tutto ciò, Unia è partner contrattuale in oltre 250 contratti collettivi di lavoro. Collaboriamo in maniera efficace e costruttiva in numerose commissioni paritetiche. La stessa cosa la facciamo in numerose commissioni federali e cantonali. Siamo un partner indipendente e a volte ci sono interessi contrastanti, ma attraverso il nostro profondo radicamento con i lavoratori e le lavoratrici abbiamo in ogni caso un mandato chiaro. I contratti collettivi sono e restano uno strumento importante per garantire in maniera durevole delle condizioni salariali e di lavoro. Il salario minimo legale, dunque, non è un’alternativa al CCL ma è complementare. Anche la nuova direttiva dell’UE invita gli Stati di definire un salario minimo e allo stesso tempo di promuovere una maggiore copertura dei CCL.
Lei è cittadina italo-svizzera e conosce bene le realtà di entrambi i paesi. Come e in cosa si differenzia il movimento sindacale italiano e quello svizzero e quali rispettivi vantaggi ritiene siano centrali nei due sistemi?
Innanzitutto, bisogna dire che le sfide sono simili per tutti i sindacati europei. Le diverse crisi (finanziaria, sanitaria, bellica, energetica) determinano fortemente il lavoro sindacale. Abbiamo attraversato la più grande crisi sanitaria ed economica degli ultimi trent'anni e come sindacato siamo fortemente sollecitati. A lungo termine è necessaria una maggiore solidarietà sociale per evitare una frattura sociale. Sia in Italia che in Svizzera il sindacato è confrontato a un incremento della precarizzazione delle condizioni di lavoro, accelerata dalla digitalizzazione e dalla globalizzazione.
In generale la capacità di lotta dei sindacati italiani, per cultura e per tradizione, è certamente maggiore. Anche se – per necessità e a causa della situazione – negli ultimi vent’anni anche noi sindacati svizzeri abbiamo migliorato notevolmente la nostra capacità d’azione. Riuscire a costruire un rapporto di forza è decisivo per difendere e migliorare i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Perché una cosa è certa: sia in Italia che in Svizzera ai lavoratori e alle lavoratrici non vengono fatti regali. Dall’altro lato un grande punto di forza del sindacato svizzero è che da oltre 50 anni ha dimostrato un enorme capacità d’integrazione di tutti i lavoratori e le lavoratrici indipendentemente dall’origine e provenienza. In questo penso che siamo veramente esemplari.
Tipicamente in autunno si accendono i dibattiti sui salari dell’anno successivo. Questo autunno è contraddistinto dal rischio di penuria energetica, l’esplosione di costi energetici – soprattutto per le aziende – e da un’inflazione che colpisce sia i lavoratori che le imprese. In questo contesto non è irresponsabile chiedere aumenti salariali, spingendo così ancor più al rialzo l’aumento dei costi e l’esistenza delle imprese stesse? Quanto è soddisfatta da questa “tornata” di contrattazioni?
Le trattative sono in corso nei vari rami professionali. I primi risultati sono promettenti: nella ristorazione abbiamo concordato un aumento che va oltre la compensazione del rincaro e anche nell’orologeria ci sarà il rincaro completo. Ma ciò non basta. È giunto il momento di aumenti reali e tangibili e l'economia può permetterselo. Negli ultimi anni gli alti salari sono aumentati ulteriormente mentre i salari medi e bassi stagnano. I salari reali sono rimasti indietro rispetto alla produttività. La forbice della disuguaglianza si sta allargando. A ciò si aggiunge l’inflazione e il forte aumento dei premi della cassa malati. Dall’altro lato c’è una forte carenza di manodopera, una buona situazione economica della maggior parte delle aziende svizzere, con buone prospettive occupazionali. Queste sono tutte ragioni concrete e solide per un aumento reale dei salari.
«Gli stranieri svolgono un ruolo decisivo nell'economia: sono fondamentali per interi settori che altrimenti non potrebbero funzionare»
In un’intervista di diversi anni fa ha denunciato il fatto che, come “Tschingg” in Svizzera, ha dovuto superare molti scogli nella sua infanzia/gioventù. A cosa si riferisce esattamente e ritiene che da allora la situazione sia cambiata? C’è ancora una discriminazione nei confronti degli italiani?
Purtroppo, a tutt’oggi questo Paese continua a non considerarsi paese d’immigrazione e a non riferirsi in maniera positiva a questa realtà e ricchezza della Svizzera. Viene ancora fatto politica con un numero mantenuto "artificialmente" alto di stranieri. Un quarto è la percentuale dei cosiddetti stranieri residenti. Se tutte le seconde e terze generazioni, tutti coloro che vivono in Svizzera da 10 o 20 anni, fossero naturalizzati, la percentuale di “stranieri” si ridurrebbe enormemente. Si persegue invece la politica del capro espiatorio e dell'esclusione. Un’assurdità che non corrisponde né alla realtà sociale né a quella economica. Gli stranieri svolgono un ruolo decisivo nell'economia: forniscono più di un terzo del volume di lavoro effettivo; sono fondamentali per interi settori che altrimenti non potrebbero funzionare; garantiscono la crescita economica nonostante l'invecchiamento demografico; contribuiscono alla preziosa "diversità" delle aziende innovative. Invece di politiche di esclusione c’è bisogno di rafforzare i diritti e le condizioni di lavoro per tutti i lavoratori e lavoratrici indipendentemente dall’origine.
Quale è il suo auspicio per la Svizzera nel 2023?
Il mio auspicio per la Svizzera e per tutti è che si possa trovare al più presto la pace in Ucraina, che la democrazia dei diritti non venga denigrata ma estesa e che si possa fare passi concreti nella riconversione eco-sociale dell’economia.
Angelo Geninazzi
Biografia
Vania Alleva, 53 anni, è diventata la prima donna a ricoprire il ruolo di presidente unico del sindacato Unia nel 2015.
Unia è il più grande sindacato della Svizzera con quasi 180’000 iscritti e oltre 1’200 dipendenti.
Vania Alleva è responsabile del “movimento sindacale strategico” e dei dipartimenti “Politica”, “Campagne e Comunicazione” e “Risorse umane e Formazione”.
È anche vicepresidente dell’Unione sindacale svizzera.
Prima di entrare nel sindacato, la storica dell'arte e specialista in comunicazione interculturale ha lavorato come giornalista, insegnante e specialista in migrazione.