“Il peggio (non) è passato: aneddoti di una mamma italiana in Svizzera” di Linda Fallea Buscemi – Islandbooks
Nonostante mi trovi nel mezzo del cammin di nostra vita (anche un po’ prima, spero) ci sono delle volte in cui mi sento antica: non vecchia, antica… nel senso più bello della parola! Spesso si usa il termine “vecchio” per indicare una persona anziana, un oggetto che non si usa più, un capo d’abbigliamento logoro, non più alla moda e quant’altro. In effetti, il più delle volte, la parola vecchio porta con sé un’accezione negativa e talora addirittura dispregiativa. Non facendo ancora parte di questa bella fetta della popolazione, ma ormai lontana comunque dalla più radiosa gioventù, devo ammettere che mi fa onore talvolta riconoscere in certi miei modi qualcosa di antico, qualcosa che solitamente deriva dalla propria famiglia e dal tipo di educazione che i genitori, o chi per loro, hanno voluto impartire. Mi riferisco principalmente alle cosiddette buone maniere: a certe accortezze, per esempio nei confronti delle persone anziane o delle donne, e a tutti quei modi destinati – ahimè! – sempre più palesemente a scomparire. Parlo di aprire lo sportello dell’auto ad una signora, di cederle il passo davanti alla porta, di alzarsi per far sedere una persona anziana, darle del “lei” e trasmettere tutto ciò ai propri figli. Mi trovo in Ticino e mentre passeggio tra le affascinanti viuzze del centro, il mio sguardo fa capolino su un bellissimo paio di scarpe esposto veramente ad arte. Come? – esclamerete – Tra le innumerevoli meraviglie del Ticino, si sofferma su un paio di scarpe??! Lo so, lo so … ma sono belle, non costano molto e soprattutto mi sembrano veramente comode, anche se solitamente le scarpe più sono femminili, più sono scomode; queste però meritano di essere quantomeno provate. Dalla prima gravidanza ho smesso, per un lungo periodo, di portare i tacchi alti (la pancia che squilibra verso avanti, le scale, la pioggia … il freddo di Zurigo, mi hanno fatto eliminare le scarpe col tacco dalla scarpiera di casa e allora via, giù: tutte in cantina!); questo mi sembra proprio il momento buono per ricominciare. Entro in questa deliziosa boutique e solerte mi viene incontro una donna molto curata e gentile che subito mi accoglie, facendomi accomodare. Avrà all’incirca qualche anno in meno di me e in più non so quanti bracciali. Mi tratta come se fossi una cliente davvero speciale, cosa che mi piace e mi lusinga parecchio (tra le tecniche di vendita, quella di fare sentire la cliente importante gioca un ruolo, molto spesso, determinante). Pochi minuti e la parte della principessa che fa acquisti comincia a starmi stretta: la signora, infatti, non solo esordisce dandomi del “tu” ma presto si rivolge a me appellandomi … tesoro!!! Stento a credere che possa farlo nonostante io continui ad insistere con il “lei”. Non so se ridere della intraprendenza che spropositatamente la signora mostra nei miei confronti, ritenermi lusingata dalla valanga di complimenti e attenzioni o se sentirmi letteralmente presa per i fondelli. Mi verrebbe da chiederle se dice sul serio o se sta scherzando (della serie … ma c’è o ci fa?). Provo a calzare una scarpa, mentre l’ansia – per l’attesa – dipinta sul volto della signora mi ricorda quella del paggetto che porge a Cenerentola la scarpina di cristallo. Tutto ciò m’imbarazza parecchio, mentre la signora decide autonomamente di tirare fuori non so quanti altri modelli. Comincia, dunque, a sfoderare tutta una serie di superlativi assoluti che evidenziano il massimo grado della qualità, della bellezza e della “comodità senza confronto di questi ultimissimi arrivi”! Mi sto stufando e vorrei scappare, anche perché quelle scarpe adesso, una volta calzate, tanto comode non mi risultano. Lei continua a dirmi che sono sciccosissime, mentre io continuo a giustificarmi dicendo che, per quanto belle siano, sono pur sempre delle scarpe e che, in quanto tali, è nella loro funzione portarmi in giro: insomma, con queste scarpe devo camminare, non riporle in vetrina come delle suppellettili. Proprio non riesco a farla smettere! La mia mente è già via, ma lei continua a parlare … parlare, incatenandomi. Pone domande anche personali, risultando di una invadenza esagerata. In tutto questo, insiste nel darmi del tu mentre io continuo a darle del lei. Si stupisce che io desideri scarpe comode, quasi che … chi bella vuole apparire un po’ deve soffrire, ma io un paio di scarpe che mi fanno male appena calzate non le metto neppure se mi pagano! Non glielo dico certo in questi termini, ma la signora sarebbe capace di vendere ghiaccio agli eschimesi ed io, con la massima delicatezza, cerco di motivare il mio rifiuto. Finalmente riesco ad uscire dal negozio con il mio portafogli intatto ma soprattutto con i piedi contenti per essere ritornati nelle loro belle scarpe, conosciute e comode. Passeggio, ma l’insistenza e l’arroganza della signora mi restano ancora addosso, tanto che mi guardo bene dall’entrare nel prossimo negozio; mi è passata la voglia. Punto una panchina per riposare un po’ i piedi e ancora di più le orecchie. Lì è seduto un signore anziano al quale sorrido per salutare, chiedendo se il posto vicino è libero. Lui ricambia il sorriso e con le dita affusolate tocca leggermente il suo cappello, accennando ad un minimo movimento verso l’alto, come se stesse per sollevarlo. Ma che meraviglia! E come mi è familiare: lo faceva sempre mio padre … Quel gesto gentile soffia subito via l’arroganza della commessa; il cuore mi si gonfia e gli occhi si commuovono. È un gesto di riverenza nei miei confronti, un gesto antico che quasi nessuno fa più. Quella che un tempo veniva chiamata “cavalleria” sembra, oggigiorno, aver lasciato il posto alla più sciatta indifferenza e se adesso noi genitori non insegniamo le vecchie buone maniere ai nostri figli, allora quando gli anziani saranno andati via … con loro se ne sarà andata anche la sfumatura più bella e cortese dei modi gentili che sublimano ogni incontro!
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