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Continua inesorabile anche in Svizzera la concentrazione del mercato dei media

    In difficoltà anche l’Agenzia telegrafica svizzera e le piccole testate

    Dopo la SSR, l’Agenzia telegrafica svizzera (ats) è la seconda istituzione dei media svizzeri che si trova nella bufera. La concentrazione del mercato dei media continua inesorabile.

    In piena campagna referendaria attorno all’iniziativa No Billag, vari eventi si sono succeduti nel corso dei primi mesi e delle prime settimane dell’anno, mostrando che la crisi che travolge il paesaggio mediatico svizzero si è ancora aggravata. L’Agenzia telegrafica svizzera (ats) è in piena tempesta. Dopo la SSR, si tratta della seconda istituzione mediatica del servizio pubblico che si trova in questa situazione. A tal punto che un movimento di sciopero di parecchi giorni è stato decretato e seguito dalla redazione a fine gennaio – una situazione molto rara per i media svizzeri. Annunciando che avrebbe soppresso una quarantina di impieghi a tempo pieno sui 150 a breve termine, la direzione dell’agenzia ha messo il fuoco alle polveri. Il CEO Markus Schwab ha in seguito gettato olio sul fuoco con le dichiarazioni controverse nella stampa: “L’ats deve rendere conto solo ai suoi azionisti. Noi non siamo un’organizzazione a scopo non lucrativo”. Queste affermazioni contraddicono però quanto è stato affermato sul sito web: “L’ats non persegue obiettivi finanziari orientati verso il profitto”.

    Se l’ats è poco conosciuta dal grande pubblico, essa rimane nondimeno, nella sua qualità di agenzia di stampa nazionale, un attore insuperabile e centrale del giornalismo svizzero, quindi una componente indispensabile del servizio pubblico mediatico. L’ex consigliere federale PLR Kaspar Villiger aveva un giorno definito l’agenzia, con giusta ragione, quale “Förderband der Realität”, in altri termini di nastro trasportatore in cui i fatti sono presentati allo stato crudo. Essa diffonde le sue notizie 24 ore su 24 e fornisce contenuto a quasi tutta la stampa del paese, ma anche alle autorità, alle organizzazioni e alle imprese, e questo in tre lingue. Dato che l’agenzia copre in modo quasi esaustivo l’insieme dei dibattiti parlamentari e l’attualità politica ed economica del paese, essa riveste inoltre una funzione di archivio che è essenziale.

    Entrate in forte ribasso
    Per comprendere la posta in gioco molto complessa, si impone una panoramica sulla storia e la struttura dell’impresa. Fondata nel 1895 dagli editori svizzeri, l’ats è stata subito confrontata con un conflitto fondamentale: l’agenzia è la proprietà di gruppi di stampa che sono anche i suoi clienti. Mentre i proprietari hanno interesse a che l’agenzia prosperi, gli editori vogliono le tariffe più basse possibili. Finché il paesaggio mediatico era fiorente, queste contraddizioni non ponevano veri e propri problemi. Ma fino a poco tempo fa le tariffe erano tuttavia in funzione della tiratura dei giornali stampati. Le attuali disavventure dell’ats si spiegano in particolare con la diminuzione delle vendite nella stampa scritta. All’inizio dell’anno un nuovo sistema è stato creato. Invece della tiratura su carta, viene considerato un secondo elemento per le tariffe: la penetrazione dei media stampati e online.

    Tuttavia, la direzione ha ritenuto necessario sopprimere posti di lavoro a causa del forte crollo delle entrate a breve termine. La redazione ha rimproverato ai dirigenti di agire senza strategie. Essa si interroga sulle prestazioni che l’ats sarà in grado di fornire in futuro con un effettivo ridotto. Altra importante posta in gioco: i circa 2,7 milioni di franchi versati ogni anno dall’amministrazione federale, che è cliente dell’agenzia. Nasce un’altra questione di natura politica: la Confederazione deve continuare a sostenere finanziariamente l’ats in futuro?
    Parallelamente alla crisi che colpisce l’ats, i media tradizionali subiscono anch’essi profondi cambiamenti. Nel 2017 la diminuzione delle entrate pubblicitarie, principale fonte d’entrata dei gruppi di stampa, che va a vantaggio dei giganti di Internet, è stata un colpo duro. La diversità della stampa si impoverisce, mentre la concentrazione si intensifica. Le redazioni sono raggruppate e alimentano vari titoli di giornali in modo centralizzato.

    Questa tendenza è stata iniziata da Tamedia, il maggior gruppo di stampa elvetico. Nel 2017, esso ha messo in azione il movimento di concentrazione interna più spettacolare. Il gruppo continua a proporre le sue 14 testate giornalistiche, ma le rubriche politica nazionale, attualità estera, economia, cultura, società, scienza e sport sono state tutte raggruppate nell’ambito di una sola redazione centralizzata.
    Il presidente del consiglio d’amministrazione di Tamedia ed editore Pietro Supino è cosciente del fatto che il raggruppamento delle redazioni è un “punto sensibile”, poiché ne va dell’ “identità di ogni titolo”. Nella sua edizione speciale “125 anni Tamedia”, pubblicata all’inizio di marzo 2018, egli dichiara: “Per questo è essenziale che la nostra nuova struttura, con risorse raggruppate, dia nascita a un giornalismo migliore e a una nuova identità. Se dovessimo fallire, si direbbe – giustamente – che abbiamo distrutto i nostri valori. Ma se avremo successo, e noi siamo sulla buona strada, creeremo una base solida per il futuro del giornalismo in Svizzera.”

    “Funzionamento messo in pericolo”
    Questa evoluzione, i delegati delle redazioni la vedono con occhio critico, ritenendo che essa porti a situazioni grottesche: alcuni di questi settori centrali hanno degli effettivi esagerati poiché sono stati raggruppati giornalisti di varie testate. Per contro, nei settori locali che sono mantenuti per i vari giornali, manca talvolta del personale poiché i posti non sono stati occupati dopo le partenze. Secondo un osservatore privilegiato, il funzionamento delle redazioni sarebbe dunque messo in pericolo. Ad ogni modo, il gruppo conta sulle partenze naturali. Rimane il fatto che se il numero di partenze volontarie rimane insufficiente, un’ondata di licenziamenti è da temere in un futuro prossimo.
    Nel frattempo, il gruppo Tamedia ha lanciato la procedura di riscatto di Goldbach, società specializzata nella commercializzazione di spazi pubblicitari. Obiettivo: diventare una delle società di commercializzazione con la maggiore portata in Svizzera. Goldbach organizza la maggioranza della pubblicità delle reti televisive private tedesche presenti in Svizzera.

    Da aprile 2018, l’editore grigionese Somedia segue la stessa strada di Tamedia. I quotidiani Südostschweiz e Bündner Tagblatt, finora gestiti autonomamente, saranno ora pilotati da una redazione centrale. Sempre con lo stesso obiettivo: creare delle sinergie e realizzare dei risparmi – con possibili soppressioni di impieghi.

    Jürg Müller
    “Revue Suisse”

    Salvate l’Agenzia telegrafica svizzera: la protesta dei redattori.

    Scompare un’icona del mercato pubblicitario svizzero Moratoria concordataria anche per Publicitas

    Il Tribunale distrettuale di Bülach ha accettato la richiesta di moratoria concordataria inoltrata dalla società di commercializzazione pubblicitaria Publicitas. La decisione è dovuta al fatto che tutti i principali gruppi editoriali svizzeri le hanno voltate le spalle.
    Adducendo motivi di ritardo nei pagamenti, il gruppo Tamedia è stato il primo ad abbandonare Publicitas. Immediatamente dopo anche Ringier, Admeira (con SSR e Swisscom), Axel Springer Svizzera e il gruppo AZ Media e quello della NZZ si sono aggiunti.
    Qualche giorno dopo, i principali editori della Svizzera tedesca e il gruppo del Corriere del Ticino hanno fatto sapere di voler cercare una nuova società di commercializzazione pubblicitaria.

    La storia di Publicitas è riassumibile in alcune date importanti: nel 1868, i tedeschi Haasenstein e Vogler aprono una rappresentanza a Berna, nel 1890, il direttore Carl Georg acquista l’agenzia tedesca e fonda una propria ditta, che, nel 1916, diventa Publicitas. Nel 1928, la sede si sposta a Losanna e, nel 1965, occupa 1400 persone e serve 163 giornali. Nel 1957, diventa PubliGroupe SA. Nel 2014, entra nel gruppo Aurelius, che viene poi ceduto a Swisscom. Nel 2018, Publicitas, che impiega ormai solo 270 persone, chiede la moratoria concordataria con l’intenzione di salvare il salvabile. L’ambiente è però cambiato e la società è vittima delle concentrazioni (e anche della concorrenza dall’estero sul mercato TV) e perde la clientela. Scompare così un’icona del mercato pubblicitario elvetico.