“Durante lo stato di emergenza c’è sempre il rischio di un accaparramento eccessivo del potere”

Sono numerose le nazioni attualmente gestite sulla base del diritto di emergenza, che per sua natura limita fortemente il coinvolgimento democratico dei parlamenti e quindi dei rappresentanti del popolo. A livello svizzero soffre anche la democrazia diretta e tutto quanto ad essa legato.

Come molti Paesi occidentali, la Svizzera sta affrontando la grave crisi sanitaria con misure inedite ordinate dal Consiglio federale che compromettono le libertà fondamentali dell’individuo: limitazione degli spostamenti, divieto di assembramenti. Giustamente, per poter rispondere più rapidamente all’evoluzione della pandemia e adottare disposizioni supplementari, l’esecutivo ha decretato il 16 marzo la “situazione straordinaria” prevista dalla legge sulle epidemie e si è conferito pieni poteri. Tra i “vantaggi” di questa legge vi è il fatto che l’autorità federale non deve più consultare i Cantoni prima di introdurre nuovi provvedimenti.

Durante tutta questa fase il parlamento non ha avuto voce in capitolo. Anzi, in occasione delle tre settimane di sessione primaverile ha interrotto le sue deliberazioni, data l’impossibilità di riunire i deputati nello stesso luogo a causa del rischio di contagio. Secondo il professore e ricercatore all’Istituto di studi politici dell’Università di Losanna Antoine Chollet, questa assenza di controllo e di validazione del legislativo costituisce un problema dal punto di vista democratico. Secondo lui è problematico, tra le altre cose, che l’organo che dichiara lo stato straordinario sia lo stesso che gestisce la situazione di emergenza. Sotto questo aspetto, sostiene Chollet, il Consiglio federale avrebbe dovuto chiedere l’avallo del parlamento prima di proclamare questa “situazione straordinaria”. O alternativamente sarebbe possibile anche far validare le decisioni a posteriori dall’Assemblea federale. In ogni modo, dal momento che la pandemia impedisce al parlamento di riunirsi, sarebbe perlomeno opportuno che dei rappresentanti del legislativo siano tenuti al corrente e validino in un modo o nell’altro le decisioni del governo. Ci sono argomenti ben chiari per la separazione dei poteri prevista nel nostro ordinamento costituzionale e il controllo reciproco che esercitano gli uni sugli altri. C’è infatti sempre il rischio che uno dei poteri oltrepassi i suoi diritti e, ancor più grave, che delle decisioni prese durante lo stato di emergenza vengano iscritte nella legislazione ordinaria. È il motivo per cui bisogna distinguere chiaramente i momenti che rientrano nella situazione ordinaria e quelli che rientrano nella situazione eccezionale. Secondo il professore romando a livello svizzero si aggiunge una problematica supplementare: “Il problema della Svizzera è che lo Stato centrale è sempre stato debole, per ragioni storiche. Si ritrova all’improvviso in una situazione in cui deve diventare forte e sviluppare delle capacità d’azione molto più importanti di quanto fosse abituato”.

Ferma anche la democrazia diretta
Dal 21 marzo è completamente ferma anche la democrazia diretta: il Consiglio federale ha rinviato a settembre la votazione di domenica 17 maggio 2020 sull’iniziativa per la limitazione dell’UDC e ha sospeso la raccolta di firme di tutte le iniziative in corso fino al 31 maggio 2021. Un time-out di 72 giorni, che sta anche mettendo completamente in subbuglio la fitta agenda della politica economica. Ad esempio sono in stallo le intense e per certi versi urgenti discussioni sull’accordo quadro istituzionale tra la Svizzera e l’UE. Nel frattempo, si intravvede una luce in fondo al… blocco democratico. Nella seconda settimana di maggio è prevista una sessione straordinaria del Parlamento, mentre è stata confermata la sessione estiva di inizio giugno.

Angelo Geninazzi e swissinfo.ch

Antoine Chollet è professore e ricercatore all’Istituto di studi politici dell’Università di Losanna.

Impossibile in tempo di coronavirus: la raccolta firme per iniziative popolari.