«Il carattere nostalgico e introspettivo rimane ancora oggi una delle componenti importanti delle mie composizioni»

Intervista esclusiva della Gazzetta Svizzera a Sebalter

Sebastiano Pau-Lessi, in arte Sebalter. Chi è Sebalter e come è mutato nel corso degli anni e cosa invece lo accompagna dalla “nascita”.
Sebalter è nato nel mio periodo liceale come alter ego musicale di Sebastiano Paù-Lessi. Sono sempre stato uno studente ligio e interessato alle materie scolastiche (ma non tutte, avevo una predisposizione per le materie umanistiche, ed ero invece molto più restio ad apprendere le discipline scientifiche) e con questo alter ego ho voluto creare uno spazio creativo dove potessi liberare il mio lato più artistico e selvaggio. Quegli anni (a partire dai 15-16 anni) sono stati molto importanti dal punto di vista musicale. Iniziai a suonare il violino in tenera età (sei anni, in prima elementare) e cominciai a muovermi nel mondo dei cantautori verso i 14 anni, ma solamente ad inizio liceo ho iniziato a coltivare sogni musicali impellenti. In quegli anni ho scritto le mie prime canzoni, ho fondato le mie prime band, ho imparato a suonare la chitarra, strumento che mi ha aiutato moltissimo nella composizione delle mie canzoni. Sempre in quel periodo ho scoperto la musica irlandese, e sono riuscito a trovare uno spazio per il violino che esulasse dal mondo della musica classica. Quello è stato il momento della nascita, un insieme di circostanze che hanno innescato un processo musicale che perdura tuttora. All’inizio ero molto affascinato dalla potenza, e dall’esuberanza che la musica mi trasmetteva. Suonavo in gruppi Metal e adoravo fare assoli velocissimi con il violino. Un’altra componente molto forte era quella del romanticismo e della nostalgia. Credo che negli anni abbia un po’ lasciato il mondo della velocità e della potenza, mentre il carattere nostalgico e introspettivo è rimasto, si è evoluto, e rimane ancora oggi una delle componenti importanti delle mie composizioni. Un altro elemento che rimane è quello della melodia. Le melodie sono importantissime per me, devono sempre avere una sorta di risonanza, devono incollarsi alle pareti delle orecchie per non abbandonarle mai. È così dal principio, e così rimane tutt’oggi. Dal punto di vista dei testi, ho sempre scritto molto, moltissimo, e tutto parte dalle domande che uno si pone. La chiave è la curiosità. Sono sempre stato molto curioso, e ho sempre cercato di capire. Il processo della comprensione è tortuoso, perché l’umanità è complicata. E quindi le domande rimangono, si sommano, mutano consistenza. Tutto ciò si riflette anche nei testi, che sono uno specchio delle mie domande, più che una risposta. Più mi pongo le domande, e più fatico a trovare le risposte, e in questo processo la scrittura è molto importante. Parlo di scrittura, perché non sempre le canzoni riescono a racchiudere tutto ciò di cui si vorrebbe parlare. Allora mi affido alla stesura di racconti, riflessioni, che però tengo per me.

Dal punto di vista musicale, ho sempre partorito le mie canzoni partendo da commistioni musicali di generi diversi. Questo è sempre rimasto. A pensarci, è un processo naturale. Sono cresciuto con la musica classica, e grazie ai miei genitori ho ascoltato moltissimo cantautorato inglese e italiano nel corso della mia infanzia, per poi avvicinarmi al rock e al Metal nel corso dell’adolescenza. D’altra parte, il mio strumento principale è sempre stato il violino e l’esigenza di inserirlo in contesti diversi dalla musica classica mi ha portato inevitabilmente a sperimentare. All’inizio è stato difficile, vi era scetticismo nei confronti del mio strumento. Cercavo di suonarlo nelle band rock, ma quando ero ragazzo tutti suonavano la chitarra elettrica o la batteria, e il violino era visto come uno strumento un po’ “sfigato”. Però ho perseverato, e ne è scaturito un sound che credo sia fresco e che ha permesso di valorizzare il potenziale di uno strumento come il violino.

Nella sua carriera ha fatto molti concerti per diverse fasce di pubblico: a teatro, con orchestre o quale cornice a Music on Ice (spettacolo di pattinaggio artistico). Facendo astrazione dall’Eurovision Contest, quale è stato il momento che è rimasto maggiormente nel suo cuore.
Senza ombra di dubbio, la più grande emozione musicale che io abbia mai vissuto è legata al concerto del 18 febbraio 2019 presso la sala da concerto LAC di Lugano, accompagnato dall’Orchestra della Svizzera italiana. È stato il coronamento di un sogno e il frutto di un grandissimo lavoro. Il progetto è nato da un sogno, e dalla voglia di creare qualcosa di nuovo, di diverso, per emozionare il pubblico ed emozionare me stesso e la mia band. Come tanti progetti, questo è nato attorno al tavolo di un bar, davanti a una birra fresca, quando io e il mio chitarrista ci siamo trovati a discutere del futuro dei nostri concerti. Era la fine del 2017, avevamo appena terminato un intenso tour legato all’album “Awakening”, che era uscito a gennaio 2017, e volevamo fare qualcosa di nuovo. Da subito mi sono attivato con l’Orchestra per capire se l’idea potesse essere attuabile, ed in effetti è stata accolta subito con entusiasmo. Da lì è seguito un lungo processo organizzativo, artistico e logistico che ci ha portati al concerto del 18 febbraio 2019. È molto complesso riuscire a fondere due mondi musicali diversi e unirli in un contesto live. Da una parte c’è un’orchestra sinfonica di 45 elementi, dall’altra una formazione live di stampo pop di 9 elementi. In mezzo, un direttore d’orchestra che deve necessariamente conoscere bene i due mondi ed essere in grado di coordinarli. Nel nostro caso, il direttore che ho ingaggiato è la stessa persona che ha curato gli arrangiamenti, e questo ci ha aiutato moltissimo. Il risultato è stato un concerto di due ore ricche di emozioni, in cui abbiamo suonato praticamente tutto il mio repertorio, inclusi i brani che solitamente non eseguiamo live ma che con l’orchestra hanno acquisito una profondità da pelle d’oca. Da cantautore e produttore dell’evento, è stata una soddisfazione enorme poter condividere queste due ore di concerti con le 1000 persone che hanno gremito la sala. Ne è nato tra l’altro anche un documentario, diffuso alla televisione della svizzera italiana, che documenta il processo di creazione, le prove e il concerto. Un’emozione pazzesca!

Mentre è possibile affermare che l’Eurovision Song Contest 2014 – dove ha rappresentato in finale i colori della Svizzera con il testo “Hunters of Stars” – sia stata un po’ l’emozione massima di Sebalter, vi sono stati altri momenti che ritiene particolarmente importanti? Cosa le è restato particolarmente impresso di questa esperienza e cosa farebbe diversamente se potesse rifarla?
Trovo che l’attività musicale sia un’emozione unica e costante. Dall’esterno è comprensibile che l’esperienza dell’Eurovision Song Contest possa essere vista come l’apogeo emozionale di una carriera. Tuttavia la realtà è fatta di eventi non cosi mediatizzati ma che racchiudono emozioni straordinarie. Penso semplicemente alla creazione di una canzone, che risuoni nel profondo di sé stessi, la consapevolezza di avere creato qualcosa di bello. E poi ancora, registrare quella canzone, registrare un album. Il processo di produzione di una canzone è straordinario. Prima di tutto perché, a differenza della creazione, che per me è una cosa molto intima e personale, il processo di produzione è un lavoro fatto in team. C’è quindi l’aspetto di condivisione e collaborazione che arricchisce ulteriormente il percorso musicale, che appunto ad ogni tappa presenta emozioni diverse. Infine, abbiamo la condivisione con il pubblico e i concerti live, che necessitano di una preparazione diversa, una coordinazione con i membri della band. Sono grandi emozioni. Ci sono stati momenti che nonostante non fossero circondanti dal clamore di un enorme concorso come l’Eurovision, sono stati densi di emozioni. Penso ad esempio a quando qualche anno fa ho aperto un concerto di Battiato, suonando solamente con il mio pianista, quindi in formazione pianoforte, voce e violino. È stato un momento carico di emozione.

Dell’esperienza dell’eurovisione mi è rimasta impressa la poca competitività che regnava tra i partecipanti e l’entusiasmo che imperava tra i team di produzione. Credo che tutti noi fossimo consapevoli del grande privilegio che ci era stato concesso ed eravamo pronti a gustarcelo tutti insieme. Certo, è stato un periodo molto impegnativo, tra i più intensi che io abbia mai vissuto. Allora lavoravo al 100% come avvocato ed ero molto sollecitato sui due fronti. Forse, se potessi rifare questa esperienza, la prenderei con un po’ più di leggerezza. Sono una persona molto esigente con sé stessa, e ho vissuto in quel periodo momenti di grande tensione, spesso indotta dalla mia attitudine seria. Certo, poi tutto ha pagato, ma forse con un po’ più di leggerezza non sarebbe cambiato poi molto, e io mi sarei potuto rilassare di più.

Lei dice di sé stesso che prova ad uscire regolarmente dalla zona di confort. Quanto secondo lei è importante cercare “nuove” sfide nella vita?
Direi che è molto importante, premesso che questa ricerca di nuove sfide non sia fine a se stessa o frutto di qualche pressione indotta dall’esterno. La vita è movimento costante, e le sfide traducono questo movimento. C’è una bellezza incredibile in questo mondo e ci sono molti aspetti che si possono conoscere. L’importante secondo me è mai sentirsi arrivati, così da continuare a restare in movimento.

Il Coronavirus ha limitato tutti gli amanti della vita. Come ha vissuto questo momento e vissuto i suoi momenti musicali durante la fase di “chiusura totale” (instagram)?
Penso che la migliore parola per descrivere come ho vissuto e sto vivendo questo momento, è adattabilità. Gli uomini sono esseri viventi molto adattabili e credo che ci siamo abituati piuttosto rapidamente a vivere in una situazione così fuori dall’ordinario. È chiaramente difficile, soprattutto se la propria professione richiede che le persone siano assembrate. Da questo punto di vista mancano molto i concerti e il contatto con il pubblico. Chiaramente Instagram può offrire una sorta di vita musicale surrogata, ma non è evidentemente la stessa cosa. Ho tenuto regolarmente delle dirette Instagram, per comunicare con il pubblico, suonare qualche brano live e interagire con altri musicisti e raccontarsi questi momenti. Con i miei musicisti inoltre abbiamo creato dei video dove tutti noi, nelle rispettive abitazioni, suoniamo alcuni miei brani. Trovo sia un bel modo per mantenere una finestra di dialogo diretta con il pubblico, e offrire un piccolo scorcio su come vivo questo periodo a casa mia. Chiaramente è, come dicevo, un surrogato, e attendo con impazienza di ricominciare a esibirmi su un palco. Il 22 maggio in ogni caso uscirà il mio nuovo album, e ho previsto di fare personalmente le consegne del CD autografato a chi lo desidera, presso il proprio domicilio (ovviamente solo nella Svizzera italiana, chi lo ordina dall’Italia e dal resto della Svizzera lo riceverà per posta). Cerco comunque di offrire delle iniziative che mi permettano di mantenere il contatto con il pubblico in attesa della ripresa dei concerti.

E Sebastiano Pau-Lessi, non il cantante, chi è nella vita reale e come riesce a conciliare le due figure?
Ammetto di non staccare molto, e la mia vita è impregnata delle attività legate alla musica. Nel tempo libero amo moltissimo leggere e fare passeggiate o corsette nel bosco.

© Foto Stefano Sala

© Foto Stefano Sala

SEBALTER Sebastiano Paù-Lessi (a.k.a. Sebalter)

E' un cantautore e violinista proveniente dalla regione italiana della Svizzera.

Nel 2014 ha rappresentato la Svizzera durante l’Eurovision song contest 2014 a Copenhagen, con una canzone da lui interamente scritta e prodotta, raggiungendo la finale.
La sua canzone “Hunter of Stars” si è inserita nelle classifiche di più di 20 nazioni, tra cui l’Inghilterra. Questo avvenimento l’ha portato a lasciare il lavoro per seguire la sua vocazione artistica costruendo, passo dopo passo, pezzo dopo pezzo, la sua attività di cantautore.

Ha diversi milioni di visualizzazioni su youtube e su Spotify e ha tenuto più di 500 concerti in tutta Svizzera, in Europa, in Brasile e in Camerun.

Nel febbraio 2019 ha tenuto un concerto con l’Orchestra della Svizzera italiana nella prestigiosa sala da concerti LAC di Lugano. Finora ha scritto e prodotto due album in inglese, oltre a lavori con precedenti band.

© Foto Alberto Eisenhardt