“Il paradiso di Cuno Amiet” al Museo d’Arte di Mendrisio

Da Gauguin a Hodler, da Kirchner a Matisse fino al 28 gennaio 2018

Cuno Amiet è tra le personalità più rappresentative dell’arte svizzera della prima metà del Novecento, probabilmente dopo Hodler anche la più conosciuta.
Se, da una parte, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, Hodler è portatore con il suo simbolismo di una secolare tradizione tedesca. Amiet può essere annoverato quale maggiore esponente svizzero di una tradizione francese, impressionista e postimpressionista. Per un verso o per l’altro, entrambi sono da considerare i padri della pittura moderna svizzera.
Partito giovanissimo in compagnia di Giovanni Giacometti alla volta di Parigi e poi della Bretagna, dove vive l’esperienza Nabis a Pont-Aven sulle tracce di Gauguin, Amiet si farà conoscere per le sue straordinarie qualità di colorista.

Nel corso dei primi due decenni del Novecento, la sua opera rappresenta la punta di diamante dell’avanguardia artistica svizzera. Non solo Amiet si ritrova nel cuore delle nuove tendenze francesi, tra simbolisti e neoimpressionisti, ma pochi anni dopo anche tra i fondatori, con Kirchner, Heckel e alcuni altri del gruppo “Die Brücke”, all’origine dell’espressionismo tedesco. Nei primi due decenni il suo lavoro si contraddistingue per la continua sperimentazione, le innovative scelte compositive e soprattutto cromatiche.
Amiet è anche noto per i suoi oggetti – i suoi paesaggi, le sue figure, le sue nature morte – sempre improntati a un forte senso di armonia e serenità.

Influenzato dalla forte spiritualità gauguiniana e Nabis, in una sorta di sacra unione uomo e natura e in parallelo all’esperienza francese dei Fauves, vissuta all’insegna della ben nota joie de vivre, Amiet sviluppa nel tempo, senza mai venirne meno, un proprio codice di valori positivi, incentrato sul sentimento di pienezza e di felicità che si gode in un’esistenza trascorsa in armonia con il mondo esterno, pienamente appagata dalla bellezza della natura, dalle sue innumerevoli manifestazioni di luci e colori.
Per gran parte della sua vita Amiet dipinge nella campagna bernese, a Oschwand, in un ambiente di intatta bellezza agreste. Figure, paesaggi, gli stessi interni e le nature morte, riportano sempre alla mente – attraverso colori, luci e tagli compositivi – un’impressione di Arcadia, di paradiso terrestre, che viene scandito dai rapporti umani, dal lavoro nei campi, dall’amore verso il prossimo e la famiglia, dall’immergersi dell’uomo nella natura. È un sentimento di fondo basilare nell’opera di Amiet, coerente e riscontrabile lungo tutto il suo percorso.

D’altronde uno dei capolavori dell’estrema maturità, quando già aveva perso la compagna di una vita, si intitola Paradiso (Paradies) e rappresenta una scena angelica in un’atmosfera bucolica, connotata da un’intensissima luminosità dorata.

La rassegna del Museo d’arte di Mendrisio, la prima in Ticino e in area italiana, composta da circa settanta dipinti e una sessantina di opere su carta, ricostruisce il lungo e ricchissimo percorso pittorico di Amiet. Capolavori provenienti dalla Fondazione Amiet di Oschwand e da svariati tra i maggiori istituti museali della Svizzera: prima di tutti il Kunstmuseum di Soletta, il quale vanta nelle sue collezioni alcuni tra i più significativi dipinti del pittore, seguito dal Kirchner Museum di Davos, il Kunstmuseum di Berna, il Kunsthaus di Zurigo, il Musée d’art e d’histoire di Friburgo, la Collection Pictet di Ginevra, l’Aargauer Kunsthaus, il Kunstmuseum di Olten, tra gli altri.

Amiet era senza dubbio, con Hodler, una delle figure di riferimento in ambito confederato, non solo per i suoi contemporanei, ma pure per artisti di una o due generazioni più giovani. All’interno del percorso della mostra, il ruolo centrale occupato da Amiet nella storia artistica svizzera è testimoniato da una decina di puntuali confronti con artisti del panorama europeo, da Paul Gauguin e Emile Bernard a Henri Matisse, da Giovanni Giacometti e Ferdinand Hodler a Ernst Ludwig Kirchner, da Alexej von Jawslensky e Marianne Werefkin a Auguste Macke, da Gabriele Münter a Ernst Morgenthaler, così da poter ricreare nelle sale il clima nel quale si è mossa l’intera carriera di Amiet.

La qualità del suo colorismo, la sua inesauribile inventiva nella scelta e nella variazione dei soggetti, che lo avevano visto in prima fila nei radicali sviluppi dell’arte d’inizio Novecento, hanno attratto anche non pochi pittori ticinesi d’inizio secolo. Primo fra tutti Pietro Chiesa, ammiratore sia dei suoi temi, sia della sua linea stilistica, con il quale Amiet espose nel 1953 a Olten in una mostra di grande successo e che è ugualmente presente anche nella retrospettiva di Mendrisio.

La rassegna di Mendrisio, organizzata insieme alla Fondazione Amiet di Oschwand, si avvale della presenza nel Comitato Scientifico di Franz Müller, curatore del catalogo ragionato dell’opera di Cuno Amiet dagli esordi fino al 1960 per le edizioni ISEA / SIK, e di Aurora Scotti, tra i maggiori esperti di pittura italiana ed europea di fine secolo, entrambi anche autori di importanti contributi in catalogo. Questo viene completato da un saggio di Simone Soldini, un testo sull’opera grafica a cura di Viola Radlach e dal consueto corpus di apparati a cura dei collaboratori scientifici del Museo d’arte Mendrisio.

i.b.