Francesco Borromini, tormentato genio che realizzò uno stupefacente Barocco

Celebrata fino a marzo l’arte inarrivabile dell’architetto ticinese, a 350 anni dalla sua tragica morte

Roma - Chiusura e apertura d’anno in ricordo di Francesco Borromini a 350 anni dalla sua morte (1667), con eventi che si protrarranno fino al prossimo marzo. Si terranno una grande mostra, vari convegni e visite itineranti. Le celebrazioni dell’architetto ticinese – ineguagliabile figura di punta del barocco capitolino – sono promosse dai Musei Vaticani, l’Accademia Nazionale di San Luca e la Facoltà di Architettura dell’Università La Sapienza di Roma, con la partecipazione dell’Istituto Svizzero di Roma e il MAXXI.
Il Borromini nacque in Canton Ticino a Bissone sulle sponde del lago di Lugano, il suo cognome in realtà era Castelli, ma egli più tardi scelse di chiamarsi Borromini, forse per devozione a San Carlo Borromeo. Ciò gli servì per distinguersi dai tanti artigiani e artisti di nome Castelli presenti a Roma.
Francesco era nipote di un altro insigne architetto ticinese, nato a Melide vicino a Bissone, Carlo Maderno, a sua volta nipote dell’illustre Domenico Fontana anch’egli di Melide. Lasciarono a Roma e in altre regioni italiane innumerevoli opere, famose nel mondo, come la navata longitudinale della basilica di San Pietro (Maderno) o la la progettazione del nuovo Palazzo Reale (Fontana).
D’altronde è notorio che la terra ticinese fornì maestranze in campo artistico-urbanistico di primo livello con opere famose non solo in Italia ma anche in Europa e fino in Russia.

Con lo zio Carlo Maderno
Il piccolo Borromini imparò come intagliare abilmente le pietre e il marmo a Milano, lavorando anche nell’immenso cantiere del Duomo; aveva solo nove anni, poiché era usanza mandare i giovani “lapicidi” ticinesi ad apprendere quest’arte nella città ambrosiana, arte che gli fu preziosa per le opere che compirà in seguito.
Borromini, ormai ventenne, giunse a piedi a Roma dove lavorò per breve tempo presso il parente Leone Gravo, ottimo capomastro scalpellino, fino alla morte accidentale di quest’ultimo per passare poi alle dipendenze dello zio Carlo Maderno, architetto di spicco a Roma e stimatissimo da Paolo V Borghese. Intanto Francesco ebbe modo di esibire le sue doti e si fece subito strada diventando capomastro: il Maderno, afflitto da gravi problemi alla vista, mise in mano al nipote la direzione dei suoi cantieri compresi quelli di San Pietro e di Palazzo Barberini.

L’antagonismo con Bernini
È leggendario il feroce antagonismo del Borromini con l’architetto, e artista poliedrico, Gian Lorenzo Bernini, uno dei massimi protagonisti del Barocco in Europa. Quando si conobbero, alla fabbrica del palazzo del cardinale Barberini, Borromini vi progettava lo scenografico scalone elicoidale. Bernini era pressoché suo coetaneo ma già famoso e prediletto dal nuovo papa, Urbano VIII. Mentre Borromini era di carattere intransigente e orgoglioso, l’altro era più ragionevole, malleabile e divenne il continuatore del Maderno nonostante non eccellesse in architettura e ingegneria, i campi che, dopo un duro lavoro iniziato da bambino, padroneggiava invece il Borromini. Probabilmente l’amor proprio del Borromini ricevette un grave colpo quando, morendo lo zio Carlo Maderno nel 1629, dovette lavorare sotto il Bernini che nel frattempo aveva preso la direzione della Fabbrica di San Pietro in Vaticano, assurgendo alla massima celebrità con conseguente fortuna economica. Forse per questo umore di fondo, unitamente alle insofferenze caratteriali e ad una differente visione artistica, il rapporto tra i due degenerò in insanabili conflitti e rivalità.
Ciò non impedì al Borromini di proseguire con grande successo la sua carriera come testimonia, ad esempio, il contributo architettonico fornito alla realizzazione del Baldacchino di San Pietro, con le volute a dorso di delfino e le statue superiori da lui disegnate.
Il “confronto” tra questi due meravigliosi artisti prosegue bonariamente anche oggi ad opera degli estimatori. Sul web si possono trovare commenti del tipo: “Bernini non sarebbe stato nulla senza Borromini e viceversa... La rivalità è stata un fantastico carburante per la produttività di entrambi”. Oppure: “Borromini è un genio così sottovalutato rispetto al Bernini”, e ancora: “Per me il vincitore è Borromini, senza alcuna ombra di dubbio!” e così via.
Esistono diversi documentari e video sul web che raccontano questa rivalità insieme alle stupefacenti opere create dai due protagonisti dell’arte barocca.

Delitto a San Giovanni in Laterano?
Nel 1646 Papa Innocenzo X si preparava con una certa ansia al giubileo del 1650, a causa dello stato in cui versava l’Arcibasilica di San Giovanni in Laterano, in rovina per incendi, smottamenti e furti. I lavori di restauro furono affidati al Borromini che dovette darsi da fare alacremente per terminare tutto entro il 1649 in tempo per i festeggiamenti. I suoi detrattori malignavano che non ce l’avrebbe mai fatta e che, definendolo “un pazzo”, avrebbe fatto crollare l’opera vista la quantità di seri danni che presentava l’edificio.

Invece, ogni ostacolo fu da lui egregiamente superato e l’opera conclusa con splendide soluzioni nei tempi previsti, lasciando di stucco soprattutto i suoi nemici. Intanto una brutta vicenda era accaduta: si narra che tale Marco Antonio Bussoni fu ritrovato cadavere nella Basilica a causa del pestaggio ordinato dal Borromini ai suoi lavoranti, per punirlo dopo averlo sorpreso a danneggiare alcuni ornamenti (ma si narra anche che egli ordinò solamente di lasciarlo legato in una stanza). Il papa lo assolse ma lo pose in un esilio, ad Orvieto, che durò meno di quanto stabilito al processo. Infine, nel 1652, Innocenzo X gli pose al collo la croce d’oro di cavaliere, lodandolo per i suoi meriti.

Stile unico e tragica dipartita
Impossibile qui elencare i suoi capolavori di cui diamo qualche traccia nelle foto, quale invito a visitare quest’opere dal vivo; basti dire che il Barocco del Borromini colpisce oggi, così come ieri provocò tanta ammirazione per le sue innovazioni, quanto altrettanto sgomento, nei suoi nemici tradizionalisti, per le arditezze di cui l’artista fu prodigo nell’insieme e nei dettagli di ogni sua realizzazione: strutture ad elica, spirali, lanterne slanciate verso il cielo, forme concave che abbracciano lo spazio, spregiudicate linee, strabilianti effetti luminosi in chiese, biblioteche, sculture, piazze, facciate, fontane, campanili, cupole, logge disegnate da geniale e inconfondibile mano. “Chi segue altri non gli va mai inanzi. Ed io al certo non mi sarei posto a questa professione col fine d’esser solo copista“, tenne a dire lui stesso.
Chissà quali tormenti spinsero Francesco Borromini a suicidarsi, nonostante una vita di gloriosa arte. Si pugnalò ma non morì subito, e il suo valletto tentò in ogni modo di salvarlo. Morì dopo tre giorni di agonia il 3 agosto 1667.
È sepolto nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini. Giace a fianco del suo amato zio Carlo Maderno, come da lui desiderato.

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