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Il tuo Paese vive, soffre, gioisce, cambia. Solo l’informazione può dirti come.

    Intervista esclusiva della Gazzetta Svizzera a Fabio Pontiggia, direttore del Corriere del Ticino

    Fabio Pontiggia, cosa significa essere oggi il direttore di un giornale in Svizzera?
    “Significa essere sopravvissuti ad uno tsunami, cioè all’onda anomala che ha investito il mondo della stampa con l’avvento di internet e dell’informazione nella Rete. Vale in Svizzera come vale negli altri Paesi. Nella Svizzera italiana c’è in più la peculiarità di operare in un mercato ristretto, molto piccolo, con numeri molto ridotti”.

    In cosa esattamente è consistita questa onda anomala?
    “Nell’aver messo in Rete gratuitamente il prodotto del nostro lavoro: le notizie. Vent’anni fa nessuno aveva immaginato l’impatto che quel passo, fatto inconsapevolmente, avrebbe avuto in poco tempo. Ricordo che il primo rudimentale sito online del Corriere del Ticino, aperto nel 1996, non era nemmeno curato da un giornalista. Un tipografo impaginatore inseriva quotidianamente a fine giornata un paio di notiziole, a sua completa discrezione. E tutto finiva lì. Poi è stato un continuo aggiungere e migliorare. Tutti gli editori hanno seguito più o meno questa traiettoria. E si è arrivati ai siti online odierni: completi, ricchi, attrattivi, anche se graficamente orribili, sebbene progettati ed elaborati da professionisti. Orribili per tre ragioni: lo scrolling interminabile, la titolazione senza criteri, il caos ripetitivo di notizie. A parte le immagini, la grafica è quella ottocentesca dei giornali cartacei. Uno scempio”.

    Ma le conseguenze dello tsunami quali sono state esattamente?
    “L’aver offerto un’informazione completa e di qualità senza far pagare nulla agli utenti/lettori ha messo in crisi il business model editoriale: crollo delle entrate pubblicitarie, calo delle copie vendute e degli abbonamenti, in presenza di elevati costi stabili, se non in aumento. Questo è avvenuto ovunque. Ed è stata crisi profonda. Uno tsunami, appunto”.

    Quali “colpe” ha la società odierna e quali invece il mondo dei media stesso?
    “Attenzione: digitalizzare l’informazione è stato giustissimo e necessario, pubblicare le notizie in tempo reale sulla Rete è stato un grandissimo progresso per la stampa. Ma è stato fatto l’errore storico del tutto gratis. Editori e giornalisti ne sono corresponsabili in egual misura. C’è stata la grande illusione secondo cui tanti clic sulle notizie online avrebbero portato tanta pubblicità agli editori di giornale. Così non è stato. Il tutto gratis ha tolto valore economico alla notizia. Il grosso della pubblicità è migrato verso i giganti della Rete: Google, Facebook, Twitter, Youtube, eccetera. Questi squali hanno utilizzato e utilizzano tuttora le notizie messe in Rete dagli editori e dai giornalisti, aggregandole per raccogliere pubblicità. In Svizzera si stima che abbiano sottratto alla stampa quasi due miliardi di franchi di budget pubblicitario annuale ai giornali. Un salasso micidiale. Con l’aggravante che una parte del pubblico si è abituata a ricevere informazione fatta bene senza pagare nulla e quindi ha perso l’abitudine ad abbonarsi o a comprare il giornale”.

    E come si pensa di uscirne?
    “Tornando a far pagare le notizie. Non c’è altra strada. È quel che stanno per fortuna facendo gli editori da qualche anno: paywall, abbonamenti online. Formule per ora ibride. Ma occorrerà tornare quanto prima a far pagare tutto. Il vero dilemma della stampa non è infatti carta o web, ma informazione gratuita o informazione a pagamento, indipendentemente dal supporto. Nessun’azienda sta in piedi regalando i suoi prodotti. C’è voluto un po’ di tempo per capirlo, troppo, ma fortunatamente si è preso coscienza del problema e si sa ora qual è la soluzione. Ci si arriverà, altrimenti il giornalismo non ha futuro”.

    Come è influenzato il mondo dei media – in particolare quello della Svizzera italiana – dalla vicina penisola? Come valuta questo tipo di influsso?
    “La nostra cultura giornalistica è italiana, così come la nostra lingua è la lingua di Dante e la nostra cultura, senza aggettivi, è italiana. I nostri media sono stati naturalmente influenzati, nel bene e nel male. Chi prende in mano un giornale ticinese, uno svizzero-tedesco e uno romando vede immediatamente le diverse peculiarità. Siamo federalisti anche in questo. Ed è un bene che sia così”.

    Quali differenze fondamentali vede tra la politica italiana – oltre ovviamente al sistema politico – e quella svizzera?
    “Sistema istituzionale a parte (il nostro è di gran lunga preferibile) vedo due differenze fondamentali: da noi c’è, nonostante tutti i cambiamenti intervenuti, più serietà e più responsabilità da parte del politico; e poi qui la politica costa meno, molto meno, grazie anche al sistema di milizia. Questo ci risparmia le degenerazioni che purtroppo vediamo nella politica italiana”.

    Sono passati pochi mesi dalle elezioni federali che hanno visto i Verdi trionfare oltre le più rosee aspettative. Cosa significa questo per la Svizzera dei prossimi quattro anni? Dal suo osservatorio privilegiato, considera la vittoria come conseguenza di una “moda” o è un movimento di popolo, a tutti gli effetti sostenibile a lungo termine?
    “Non faccio previsioni per il futuro: non è compito dei giornalisti, che devono riferire i fatti ed eventualmente analizzarli, interpretarli e commentarli, ma non fare profezie. Il successo degli ecologisti, Verdi e Verdi liberali, anche nel nostro Paese, è figlio dell’ondata climatista che ha travolto il mondo intero. Non parlerei di ecologismo, ma proprio di climatismo. Temo che questo possa portare ad una limitazione delle nostre libertà più elementari, perché sui cambiamenti climatici, che ci sono sempre stati sul nostro pianeta, anche quando l’uomo era di là da venire, c’è un atteggiamento molto integralista, che non tollera nemmeno più il confronto tra opinioni diverse e non ammette posizioni critiche. Si arriva addirittura a negare l’esistenza di scienziati che non seguono la teoria antropogenica dei cambiamenti climatici: una cosa incredibile”.

    Quale principale testata in lingua italiana, il Corriere del Ticino si rivolge anche agli svizzeri di lingua italiana all’estero. Per quali ragioni uno svizzero all’estero dovrebbe secondo lei informarsi di quello che succede in Svizzera leggendo il giornale?
    “Se ami il tuo Paese, lo devi conoscere. E per conoscerlo devi informarti. Non basta aver studiato la sua storia e la sua geografia sui libri di scuola. Devi sapere cosa succede giorno dopo giorno nella terra di cui sei figlio. Il tuo Paese non è una mummia: vive, palpita, soffre, gioisce, cambia. Solo l’informazione può dirti come”.

    Intervista Gazzetta Svizzera

    “Il tutto gratis ha tolto valore economico alla notizia.”

    1958, nasce il 23 dicembre a Sorengo. Scuole a Massagno, Lugano, Firenze.

    1981-1990, giornalista alla “Gazzetta Ticinese”

    1991-2000, giornalista al “Corriere del Ticino”

    1995 Cofondatore della Sezione Svizzera italiana dell’Associazione indipendente dei giornalisti svizzeri

    2000-2007 collaboratore di direzione al Dipartimento delle finanze e dell’economia del Canton Ticino.

    Dal 2008 prima vicedirettore, poi condirettore e infine, dal 1. gennaio 2016, direttore responsabile presso il Corriere del Ticino.