Archeologa di I fascia
L’archeologia è una scienza tanto affascinante quanto misteriosa che ci permette di varcare la linea che separa la nostra vita da quella di chi ci ha preceduti.
Quella dell’archeologo è una figura importante, in quanto erede del passato e custode di una memoria collettiva, un ponte fondamentale tra le tracce antiche e il nostro presente, capace di illuminare il futuro attraverso la conoscenza delle radici della nostra storia.
In questo numero di GIOVANI E FUTURO ci immergeremo in un mondo spesso sconosciuto ai più, accompagnati da Adelaide Caprara, una giovane archeologa che, con passione, dedizione e tenacia, è riuscita a trasformare il suo sogno in realtà, offrendoci uno sguardo unico sulla sua meravigliosa professione.
– Ciao Adelaide, com’è nata questa tua passione per l’archeologia?
L’amore nei confronti dell’archeologia è nato e si è sviluppato durante l’infanzia grazie alla mia famiglia: visite ai musei e alle chiese, documentari e libri di storia e archeologia non sono mai mancati. La mia passione è stata assecondata e mi ha portata a voler tentare fortemente, una volta raggiunta la maggiore età, la via dell’archeologia.
– Quale iter accademico e professionale hai intrapreso?
Dopo la maturità classica ho frequentato la laurea triennale in Beni culturali ad indirizzo archeologico alla quale hanno fatto seguito la laurea magistrale in Archeologia e culture del mondo antico e infine una specializzazione post-lauream di due anni in Archeologia medievale. Durante gli anni universitari ogni estate ho partecipato a scavi archeologici organizzati da varie università imparando sul campo le tecniche di scavo, di riconoscimento e catalogazione dei reperti. Terminata la laurea magistrale sono partita per l’Inghilterra per poter mettere in pratica le mie conoscenze sul campo ed imparare nuovi metodi di lavoro e nuove tecniche di approccio all’indagine archeologica. Nove mesi dopo, l’arrivo di un’ottima offerta per un lavoro di scavo in Italia mi ha fatto tornare e da lì il lavoro sui cantieri non si è mai fermato, anzi è aumentato sempre di più negli anni.
– Ogni archeologo è specializzato in un’epoca. Qual è la tua e perché hai scelto proprio questa?
Ho iniziato l’università con l’idea di specializzarmi negli studi sul mondo etrusco; il mio primo scavo archeologico di età medievale, presso un castello, mi ha fatto cambiare strada. Ho sentito per la prima volta il medioevo come un’epoca distante nel tempo ma vicina come idee: la voglia di progresso e miglioramento continuo, la ricerca e l’esplorazione. L’amore verso il medioevo è cresciuto rafforzandosi grazie ad altri scavi presso chiese, monasteri e cimiteri medievali e grazie alle ricerche documentarie, archivistiche, topografiche affrontate per la preparazione delle tesi.
– Quali altri sbocchi professionali può avere un archeologo?
Un archeologo può organizzare ed eseguire perizie di beni archeologici, anche in ambito giudiziario, può progettare, e dirigere attività di scavo archeologico, attività di inventariazione, catalogazione, e gestione di banche dati inerenti beni ed effettuare pianificazione e programmazione urbanistica e territoriale. Si possono inoltre svolgere attività ispettive e di vigilanza sui beni, contesti monumenti e siti archeologici, dirigere, curare e coordinare musei e mostre in ambito archeologico e svolgere attività didattica nel campo dell’educazione al patrimonio culturale in musei, parchi archeologici e scuole.
– In cosa consiste il tuo lavoro? E com’è la tua giornata tipo?
La maggior parte delle mie giornate sono impegnata a fornire assistenza archeologica presso scavi per la posa o la sostituzione di opere pubbliche (acqua, gas, elettricità) o per scavi di edilizia pubblica (strade, piazze, edilizia popolare). Il mio lavoro consiste nel fornire la mia esperienza in archeologia alle squadre di operai impegnati nelle attività di scavo: la mia giornata si svolge fotografando, annotando e misurando le attività svolte, il tipo di morfologia del terreno e segnalando la presenza di anomalie, di reperti o di beni. La mia presenza in cantiere garantisce di poter documentare la situazione archeologica di una certa area e intervenire in caso di necessità per mettere in sicurezza i beni presenti. A volte l’attività di assistenza archeologica, in presenza di beni da preservare e documentare, si trasforma in un vero e proprio scavo archeologico e intervengo direttamente scavando manualmente e con l’utilizzo dei miei amati strumenti del mestiere: pala, piccone, pennelli, specilli e in particolare la trowel (la cazzuola dell’archeologo).
– Quali sono le scoperte che hai fatto? Ne hai una alla quale sei più legata?
In fatto di ritrovamenti sicuramente ciò che più mi piace è riscoprire materiale legato alla vita quotidiana: oggetti cambiati veramente poco nell’arco di secoli o addirittura millenni mi fanno sempre sentire vicina alle persone che hanno abitato certe aree e posseduto quegli oggetti. Un cavallino giocattolo in bucchero risalente al VI sec a.C. e una moneta bronzea forata usata come pendaglio nel XV sec d.C. sono i ritrovamenti che ricordo con più affetto perché li trovo specchio di una vita temporalmente molto lontana ma allo stesso tempo vicina.
– Come vedi la figura dell’archeologo in Italia e attualmente com’è il rapporto domanda offerta?
Io ho avuto un pizzico di fortuna a laurearmi ed iniziare subito a lavorare ma sono stata disposta a spostarmi per lavoro, fare molti chilometri ogni giorno, a lavorare senza orari e senza garanzie sul futuro. I primi anni ho vissuto un po’ alla giornata non sapendo se il lavoro sarebbe continuato. Dopo anni, posso dire che il lavoro non è mai mancato e la perseveranza mi ha ripagata non solo economicamente ma anche con notevoli soddisfazioni personali. Ora sembra, almeno in nord Italia, che la ricerca di archeologi abbia superato il numero di operatori a disposizione, il lavoro non manca e le norme e le tutele dei lavoratori stanno procedendo anche se lentamente. La presenza di archeologi sui cantieri pubblici, a mio avviso, è finalmente un primo segnale per far percepire a tutti che l’archeologo è una professione ed è giusto che venga finalmente riconosciuto il nostro ruolo come utile e necessario alla comunità e non più visto come una bella passione o addirittura un ostacolo ai lavori.
– Quali consigli ti sentiresti di dare alla nuova generazione che si vuole affacciare al mondo dell’archeologia?
Non mi sono mai pentita della scelta di intraprendere gli studi in archeologia e se tornassi indietro rifarei la stessa scelta, ma con più consapevolezza di cosa significhi fare il mestiere e crescere professionalmente nella direzione migliore. L’università italiana è ancora legata a metodi di insegnamento e a corsi di laurea fortemente teorici e umanistici. Negli ultimi anni sono stati introdotti laboratori e corsi pratici ma non è ancora abbastanza: il mondo dell’università è ancora troppo lontano e diverso da quello del lavoro e il primo impatto tra l’uno e l’altro può essere spaesante e portare a pensare di non essere in grado di trasformare in pratica ciò che si è studiato. L’archeologia moderna si avvale di strumenti tecnologici sia durante lo scavo sia nelle fasi che lo procedono e lo seguono grazie all’uso di programmi di geolocalizzazione, ricostruzione grafica e catalogazione; inoltre, lo studio dei reperti si avvale dell’uso di laboratori per analisi chimiche e fisiche. A chi si volesse approcciare all’archeologia consiglierei di cercare università con programmi che prevedano molti scavi e laboratori e di frequentare gli scavi anche di altre università per fare esperienza con metodi e tecniche differenti. Consiglierei poi di cercare subito di inserirsi nel mondo dei cantieri pubblici inviando curricula alle ditte e alle cooperative archeologiche.
– Cosa ti augureresti di scoprire. Hai un “tesoro nel cassetto”?
Si sa ancora troppo poco della presenza e della collocazione dei centri abitati di origine longobarda nel nord Italia e nell’arco alpino e i ritrovamenti sono sempre scarsi e sporadici. Mi piacerebbe trovare e scavare un abitato longobardo così da immergermi, grazie ai reperti materiali, nella loro vita quotidiana.
di Nicola Magni
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