L’invisibile sforzo delle donne

“Il peggio (non) è passato: aneddoti di una mamma italiana in Svizzera” di Linda Fallea Buscemi – Islandbooks

Mi presento puntuale all’appuntamento, un pochino in anticipo. Mi sono “sistemata” per benino: vestita con gusto, non troppo elegante, neppure troppo sportiva; in realtà… ci tengo a che il mio aspetto sia curato. Giunta al colloquio, sfodero un sorriso sereno e molto cordiale per trasmettere gentilezza e disponibilità; la competenza e le varie esperienze in campo professionale - ne sono certa - verranno fuori durante il colloquio. Ma se col rewind (il tasto che usavamo per riavvolgere il nastro delle audio-videocassette) provassimo a catapultarci all’ora prima dell’appuntamento, sarebbe strabiliante vedere cosa precede quel sorriso a cento denti, rivolto a chi si appresta ad intervistarmi al colloquio di lavoro. Assistereste ad una scena rocambolesca, piena di stressanti impedimenti, di corse contro il tempo, di capi di abbigliamento che una volta indossati fanno sentire a disagio… quando sulla porta, non c’è più tempo di cambiarmi d’abito per l’ennesima volta e lo specchio tradisce una decorazione luccicante di troppo sulla parte “posteriore” del pantalone; quando ormai sul pianerottolo i bambini aspettano pazienti, perché non si sa a che ora finirà questo benedetto colloquio e sono ancora piccoli per restare soli in casa a lungo; … quando ogni secondo sembra un’ora e, pronti sulle scale, i bimbi dicono ho sete e allora mi tocca riaprire la porta per andare a prendere l’acqua. Le chiavi di casa ci sono ma non quelle della macchina; e il cellulare dove è? Occorre chiamare dal telefono di casa per farlo squillare: suona! È dentro la borsa, ma le borse delle donne, si sa, sono caverne dove ci si può perdere e dove si trova di tutto - anche quello che sembrava sparito da tempo e che finalmente salta fuori, quando ogni speranza di ritrovamento sembrava perduta -. Allora... pronti, partenza, via! Verso la macchina senza rispondere al telefono, che frattanto comincia a squillare imperterrito (... e se fosse importante?). In tutto questo tafferuglio, ad alzare la tensione ci si mette persino un fastidioso insetto che inesorabilmente dal parabrezza si sposta, passeggiando pacifico verso il cruscotto, sempre più pericolosamente verso il volante, cosa che mi costringe ad accostare l’auto per far andare via l’ospite indesiderato; ciò grazie al provvidenziale intervento del mio figlioletto, maggiormente avvezzo alla vista degli insetti (qui a Zurigo, all’asilo glieli fanno prendere con delicatezza così da poterli osservare; in Italia le madri si mobiliterebbero, chiamando subito una ditta per la disinfestazione). L’appuntamento è con mio marito alla stazione, dove ho organizzato di incontrarlo pochi minuti prima del colloquio, all’ora di pranzo - appositamente durante la sua pausa - per “consegnargli” in blocco macchina e figli: tutti e tre sono bellissimi mentre mi sorridono e mi salutano con il naso schiacciato contro i finestrini, le manine accanto al viso per farmi ridere e infondermi l’energia necessaria ad affrontare il colloquio di lavoro, al quale tengo particolarmente. Consegno a mio marito l’auto con figli a bordo, mi allontano e sento tutto il loro sostegno come uno scialle caldo e morbido sulle mie spalle (loro sono certi che andrà bene). Eccomi all’appuntamento: un bel respiro e… finge niente, sfodero il mio sorrisone! Quante persone si riconoscono in una scena simile? Quante madri, mogli e in una parola … donne, si ritrovano a correre qui e lì, destreggiandosi tra un impegno di lavoro e l’altro di famiglia, sforzandosi oltre ogni possibilità di organizzare tutto per tutti (ma nel migliore dei modi, naturalmente)! Questa avventurosa scena non è la prima né l’ultima nella quale una donna è costretta a barcamenarsi in tempi, come questi, nei quali la società si aspetta da lei di tutto e di più. Non è un caso che, in mille faccende affaccendata, la donna venga spesso raffigurata come un octopus: un polpo che con i tentacoli tiene un’aspirapolvere, una pentola, un’agenda, un computer, un telefono, i libri dei figli, i vestiti da lavare, il calendario, le chiavi dell’auto, i biglietti per il teatro, il libretto della salute dei bambini, ma anche trucchi e belletti per essere sempre “a posto” e perché no… una torta profumata! Che poi, per la verità, molto spesso è la donna a mettersi sotto pressione, a pretendere sempre di più da se stessa, a tirare i suoi nervi come le corde di un violino! Molte donne - tanti uomini ne sanno qualche cosa - tendono per natura ad essere perfezioniste e tutto quello che rientra nelle loro competenze vogliono farlo in modo estremamente preciso e scrupoloso, ineccepibile. Rammento le parole della sociologa Marina Piazza a proposito del “lavoro di cura” delle donne, parole che mi sono rimaste scolpite nella mente, estremamente potenti per la forza della verità che, in modo semplice, ne viene fuori. Lei sottolinea che le donne, nel lavoro professionale, portano una serie di competenze trasversali: dal lavoro materiale della casa - per definizione invisibile, visibile solo quando non è fatto o quando viene riconosciuto dall’altro - portano la capacità riparativa, la sublime arte del rammendo, tanto più perfetto quanto più è invisibile; quella capacità, cioè, di fare in modo che tutto vada per il verso giusto senza attirare l’attenzione. Mi piace riconoscere che, dal loro procedere quotidiano, le donne portano nella professione fuori casa una intelligenza organizzativa che deriva direttamente dal lavoro di cura invisibile e non riconosciuto. Ah, quanto è vero! L’estenuante lavoro di cura delle donne è INVISIBILE! VISIBILE SOLO QUANDO NON È FATTO! Basti pensare a cosa succede in famiglia quando una donna parte, si ammala oppure semplicemente - senza per forza arrivare alle tragedie greche - si trova inchiodata a letto con l’influenza: apriti cielo! Si accatastano cose, faccende… situazioni la cui risoluzione è data normalmente per scontata! In assenza della donna, solo allora, si riconosce il preziosissimo apporto che, ogni giorno, silenziosamente lei è in grado di dare! Ci rifletto e (per quanto non facilissimo) mi sento davvero fiera di essere una donna...

lindafallea.buscemi@hotmail.com
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