La crisi del coronavirus e le persone anziane

Gli anziani definiti un «gruppo a rischio»

Le persone anziane in Svizzera hanno particolarmente sofferto dell’isolamento.
Se hanno potuto beneficiare della solidarietà di alcuni, hanno anche riscontrato le rimostranze di altri. L’epidemia ha messo a dura prova i rapporti intergenerazionali.

A metà maggio, quando la Svizzera ha iniziato ad allentare le misure di protezione, Pro Senectute ha lanciato una campagna. Un clip video mostrava delle persone anziane in azione: una donna di 66 anni leggeva una favola alla nipotina, un uomo di 84 anni tagliava la siepe dei vicini. «Ogni generazione rende dei servizi inestimabili», dice il messaggio. Da oltre 100 anni, l’associazione Pro Senectute si occupa in Svizzera di questioni relative alla vecchiaia. Con questa campagna, vuole mostrare che lo sguardo rivolto ai seniori si è radicalmente cambiato durante l’epidemia. Tutte le persone con oltre 65 anni di età sono state poste nella categoria di persone a rischio. All’inizio della crisi, l’Ufficio federale della sanità pubblica aveva del resto affermato: gli anziani sono in pericolo e devono essere protetti.

E le statistiche lo hanno confermato: più si è anziani e più aumenta il rischio di morire di Covid-19. Oggi, si sa però che il virus non ha colpito solo gli anziani. Quasi la metà degli ammalati che hanno soggiornato in un reparto di cure intense in Svizzera aveva meno di 60 anni. Ma a metà marzio, quando l’epidemia si era diffusa, non si sapevano ancora queste cose. Le autorità hanno dunque immediatamente invitato i seniori a restare a casa, ad evitare contatti e a non andare a fare la spesa. In tutto il Paese, la gente ha rispettato queste disposizioni, tranne poche eccezioni.

Collettivamente isolati
Ciò che era giustificato dal punto di vista medico ha avuto conseguenze sociali. Gli 1,6 milioni di ultrasessantacinquenni in Svizzera si sono visti relegati collettivamente in isolamento. Sono stati imposti divieti di visita alle case di cura. Questo ha causato molta sofferenza e non ha potuto impedire tutti i decessi legati al Covid-19. La stragrande maggioranza degli anziani in Svizzera vive a casa. Hanno dovuto festeggiare da soli il loro compleanno e la loro vita sociale è stata ridotta a zero da un giorno all’altro. I pensionati non hanno più potuto svolgere il loro ruolo sociale: i nonni non hanno più la possibilità di curare i loro nipotini, i conducenti dei servizi di trasporto di pubblica utilità non hanno più potuto svolgere il loro lavoro, nei negozi della Caritas mancavano i volontari.

Gran parte degli anziani svizzeri svolge un'attività di volontariato. Molti rimangono in forma e attivi per molto tempo dopo il pensionamento, anche grazie a una buona assistenza sanitaria e a condizioni di vita favorevoli. In un Paese che si basa molto sulla responsabilità individuale, il loro contributo sociale è importante. Ad esempio, grazie alla cura dei bambini da parte dei nonni le famiglie e lo Stato risparmiano ogni anno otto miliardi di franchi. In cambio, i lavoratori alimentano le rendite AVS con i loro contributi sociali da oltre 70 anni. Questo «contratto intergenerazionale» ha una lunga tradizione in Svizzera.

«Trovato un capro espiatorio»
La crisi ha portato a uno “Stresstest”. Il risultato è ambivalente. Da una parte, si è notata una grande disponibilità ad aiutare. In molti luoghi le persone anziane sono state sostenute spontaneamente. Spesso sono stati i giovani a fare la spesa per i vicini più anziani. D'altra parte, i cinici hanno presto calcolato che gli anziani sarebbero presto morti anche senza il coronavirus.

Queste voci erano poco numerose, certo, ma i politici e i media si sono presi la libertà di chiedersi se l'intera Svizzera dovesse davvero essere confinata per proteggere gli anziani a rischio. Alcuni hanno suggerito che i pensionati, con i loro redditi sicuri, pagassero una parte degli enormi costi dell'isolamento. Altrimenti le giovani generazioni avrebbero continuato a pagare il conto ancora per molto tempo.

Anche tra gli anziani è sorto un certo malcontento. Mentre molti di loro hanno sopportato con filosofia le restrizioni, soprattutto i giovani pensionati hanno faticato a interpretare il loro nuovo ruolo. Invece di essere dei pilastri della società, erano improvvisamente diventati un gruppo a rischio e un onere. Alcuni di loro sono stati rimproverati perché sono usciti di casa. Un uomo di 74 anni ha dichiarato ai media che per la prima volta nella sua vita si è sentito discriminato. Cosa è accaduto? Pasqualina Perrig-Chiello, specialista delle relazioni intergenerazionali, ha affermato: «Durante questo periodo difficile, gli anziani hanno funto da capro espiatorio». La crisi ha portato alla luce immagini negative latenti della vecchiaia.

Conseguenze per l’AVS?
Secondo Pasqualina Perrig-Chiello, le persone anziane hanno fatto le spese di una generalizzazione completa: tutti fragili, tutti ricchi. Ciò che non corrisponde alla realtà. La ricercatrice bernese critica che questa generalizzazione sia stata diffusa anche dai leader politici. L'impatto a lungo termine della crisi di coronavirus rimane aperto. In termini di politica sociale, i "conflitti generazionali" erano già oggetto di un intenso dibattito prima del virus. Dal punto di vista demografico, la Svizzera invecchia e si cercano soluzioni nel settore dei servizi sociali, dell'assistenza infermieristica e della previdenza vecchiaia. La «NZZ am Sonntag» prevede che il dibattito si inasprirà ulteriormente dopo il Covid-19 e nota che il contratto tra generazioni è fragile.

Pasqualina Perrig-Chiello ritiene piuttosto che l’epidemia abbia provato «fino a quale punto le generazioni si conoscano poco». Nel contempo, «nonostante tutti i discorsi dei media», la Svizzera ha visto nascere una forte solidarietà tra le generazioni. È un’opportunità da cogliere: «Il contratto intergenerazionale potrebbe essere rinegoziato su una base più concreta.» Anche durante l’epidemia, si è visto che gli anziani fanno anch’essi la loro parte. L’esempio più sorprendente è forse quello dei medici e infermieri pensionati che hanno aiutato il settore sanitario a fronteggiare questa situazione di emergenza.

Susanne Wenger

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