Alcuni ricercatori se ne vanno, altri esitano a lavorare nelle università svizzere, gli studenti ne fanno le spese: il settore svizzero della ricerca vive un periodo difficile. La ragione? La confusione che regna nelle relazioni tra la Svizzera e l’UE. Nella ricerca europea, la Svizzera è diventata un «paese terzo» senza privilegi.
«Siamo un piccolo paese, che si è sempre basato sul reclutamento di ricercatori stranieri», afferma Michael Hengartner, presidente del Consiglio dei Politecnici federali. Per questo le università svizzere vivono in un clima internazionale, favorevole all’integrazione delle persone giunte dall’estero.
Un ecosistema per la ricerca di punta
Il sapere e la formazione fanno parte delle principali risorse della Svizzera. Questo si riflette in un sistema di formazione efficiente, un’infrastruttura di prim’ordine e alte scuole che sono regolarmente ai vertici delle classifiche internazionali. Michael Hengartner parla di un vero “ecosistema”, che promuove la ricerca di punta e dispone di un sistema di finanziamento solido, flessibile e concorrenziale. «Naturalmente, siamo anche in grado di offrire ottime condizioni di lavoro», completa Martin Vetterli, presidente del Politecnico federale di Losanna. Così, la densità di ricercatori famosi in Svizzera è ben superiore alla media, ciò che permette di attirare giovani talenti nel nostro paese, ribadisce Martin Vetterli. O si dovrebbe invece dire che “permetteva”?
La Svizzera perde l’accesso alla «Champions League»
L’abbandono dei negoziati con l’UE su un accordo quadro è intriso di conseguenze per la ricerca. Nel suo programma quadro di ricerca, l’UE ha degradato la Svizzera al rango di “paese terzo non associato”. Nell’ambito di Horizon Europa, la Svizzera perde così la posizione che occupava e l’influenza che aveva finora. Ora, Horizon Europa è il più grande programma mondiale per la ricerca e l’innovazione, con un budget di quasi 100 miliardi di euro per un periodo di sette anni (2021-2027). La sua dotazione finanziaria è ulteriormente aumentata rispetto ai 79 miliardi di euro del programma precedente, Horizon 2020, in seno al quale la Svizzera era ancora partner associato.
Certo, la Svizzera non è totalmente esclusa dalla collaborazione con il suo principale partner di ricerca. Tuttavia, i ricercatori svizzeri non possono più dirigere grandi progetti di cooperazione e non ricevono più sovvenzioni dal Consiglio europeo della ricerca (ERC). Michael Hengartner descrive queste borse dell’ERC come la «Champions League della ricerca». Il Presidente del Politecnico di Losanna, Martin Vetterli, le conosce bene: «Senza la sovvenzione dell’ERC, che era di quasi due milioni di euro su cinque anni, non sarei potuto andare così lontano con la mia ricerca nel campo dell’elaborazione digitale dei segnali». Yves Flückiger, presidente delle università svizzere (swissuniversities), aggiunge che i ricercatori svizzeri sono completamente esclusi da diversi settori di ricerca importanti. Egli menziona l’iniziativa faro sulle tecnologie quantistiche, che ha un’importanza strategica per lo sviluppo della digitalizzazione, la costruzione del reattore a fusione nucleare internazionale ITER, un progetto che la Svizzera copilotava dal 2007, e il programma per un’Europa digitale (Digital Europe), basato sul calcolo ad alte prestazioni, l’intelligenza artificiale e la cybersicurezza.
L’erosione è già iniziata
Secondo Vetterli, la ricerca svizzera è stata tra le più attive tra i paesi associati alla ricerca dell’UE, soprattutto nei settori della salute, dell’ambiente, del clima e della tecnologia quantistica. Ora è stata messa in disparte per oltre un anno, nonostante gli 1,2 miliardi di franchi che la Confederazione ha messo a disposizione per le misure transitorie in Svizzera. Vetterli riferisce di start-up che sono sorte nel campus del Politecnico federale di Losanna e ora stanno aprendo uffici in Europa per assicurarsi di continuare ad attirare talenti e a beneficiare dei vantaggi europei. Yves Flückiger conosce alcuni ricercatori che hanno lasciato la Svizzera per recarsi in Francia, Austria e Belgio con le loro borse dell’ERC. E Michael Hengartner costata che i candidati ai posti di professore nei due politecnici si interrogano ora sulle prospettive della Svizzera e le sue opportunità nei confronti dei programmi dell’UE.
Lavorare isolati? Nel mondo della ricerca questo è impensabile. Anche nel mondo dell’innovazione: in risposta alla mancata associazione della Svizzera, la rinomata azienda ginevrina ID Quantique ha aperto una filiale a Vienna. per mantenere l’accesso a Horizon Europa. Flückiger afferma che i 100 posti di lavoro che altrimenti sarebbero stati creati in Svizzera sono ora stati creati a Vienna.
È in gioco il benessere della Svizzera
Per la Svizzera, la posta in gioco di Horizon Europa non è soltanto la ricerca e i ricercatori, che temono per le loro posizioni ai vertici. Sono anche gli studenti e i professori, che esitano ormai a venire in Svizzera. Horizon Europa permette anche il trasferimento di tecnologie, che sfocia nella fondazione di start-up e PMI e nella creazione di impieghi nella ricerca e nelle imprese. I rappresentanti degli istituti universitari sono unanimi a tale proposito: Horizon Europa è essenziale per la piazza economica e il benessere della Svizzera.
Yves Flückiger ritiene che il Consiglio federale non dovrebbe concentrarsi ora su nuovi partenariati di ricerca al di fuori dell’UE: la competizione, in materia di ricerca, avviene tra l’UE, gli Stati Uniti e la Cina. Di conseguenza, la mancata associazione della Svizzera resta secondo lui il vero problema.
Interrogata su questa questione, la delegazione europea dichiara che i ricercatori svizzeri sono sempre stati dei partner benvenuti e apprezzati nei programmi di ricerca dell’UE. La situazione attuale è la seguente: «I ricercatori svizzeri sono autorizzati a partecipare ai progetti di Horizon Europa alle condizioni applicate agli Stati terzi non associati. Per un’associazione completa, che includa in particolare il diritto di beneficiare dei fondi europei, il regolamento dell’UE esige che gli Stati terzi concludano un accordo quadro che stabilisca le condizioni e le modalità dell’associazione. I prossimi sviluppi concernenti questa questione devono essere considerati nel contesto delle relazioni globali tra l’UE e la Svizzera.»
L’UE incita dunque la Svizzera a chiarire le sue relazioni con i suoi vicini europei. Fino a quel momento, non vede alcuna ragione per concedere privilegi alla ricerca svizzera. E né gli sforzi diplomatici, né l’appello lanciato dai ricercatori hanno finora cambiato qualcosa. Il presidente del Consiglio dei Politecnici federali, Michael Hengartner, sottolinea che questa situazione non è soltanto sfavorevole per i ricercatori svizzeri, bensì anche per la ricerca europea stessa: «Tutti ne escono incontestabilmente perdenti.»
Schweizer Revue
Denise Lachat
Ricerca di punta europea in Svizzera: due specialisti della ricerca sui semiconduttori presso il Politecnico federale di Losanna. Foto Keystone
Dei fari svizzeri nella ricerca europea
Quali risultati concreti hanno fornito i programmi quadro di ricerca europei, e quali vantaggi la Svizzera trae da questa collaborazione? Yves Flückiger, rettore dell’Università di Ginevra e presidente di swissuniversities, risponde senza esitazioni.
- CERN: questo laboratorio di ricerca è senza dubbio la culla della ricerca europea. Fondato nel 1954 sulla frontiera franco-svizzera vicino a Ginevra, è stato uno dei primi progetti europei comuni e conta oggi 23 Stati membri. Nel 1984, questo spazio scientifico è stato rafforzato dai programmi quadro di ricerca europei. Yves Flückiger: «Questi programmi hanno svolto un ruolo decisivo nello sviluppo della ricerca di base e la sua applicazione industriale, promuovendo in particolare la collaborazione tra i laboratori e le imprese». Dal 2012 e dalla scoperta della particella di Higgs, il Cern è conosciuto in tutto il mondo.
- BioNtech: probabilmente il più importante risultato del trasferimento di ricerca è il primo vaccino a RNA contro il Covid-19, risultato diretto di una ricerca finanziata dal Consiglio europeo della ricerca da circa 20 anni. «Questo vaccino è stato messo a punto dall’azienda di biotecnologia BioNtech, un’azienda europea i cui fondatori Ugur Sahin e Özlem Türeci, una coppia di origine turca residente in Germania, sono stati finanziati dall’ERC», ribadisce Yves Flückiger.
- ID Quantique: fondata nel 2001 a Ginevra da quattro ricercatori dell’Università di Ginevra, ID Quantique è un altro esempio citato da Yves Flückiger. L’impresa ha ricevuto mezzi finanziari importanti dal Fondo nazionale svizzero (FNS), ma anche da diversi programmi europei. Piccola spin-off all’origine, essa è divenuta leader mondiale delle soluzioni per una criptografia quantistica sicura. Il gigante delle telecomunicazioni SK Telecom (Corea del Sud) e Deutsche Telekom fanno parte degli investitori. ID Quantique ha la propria sede a Ginevra e intrattiene stretti legami con istituti accademici per la sua partecipazione a vari programmi di R&S svizzeri, europei e coreani, in modo da apportare innovazioni sul mercato. (DLA)
Il laboratorio di ricerca del CERN, vicino a Ginevra, possiede un’installazione gigante per lo studio delle particelle. Foto Keystone
Una specie di “Champions League”: con il suo budget di 100 miliardi per il periodo 2021-2027, Horizon Europa è il principale programma di ricerca al mondo.
La crisi delle relazioni tra la Svizzera e l’UE perdura
Circa un anno dopo la rottura dei negoziati su un accordo istituzionale, la Svizzera effettua un nuovo tentativo per regolare le future relazioni con l’UE. Ma la via che porta ad una soluzione affidabile tra Berna e Bruxelles è ancora lunga e segnata dalla sfiducia delle due parti. Anche sul piano della politica interna, non si intravede nessun consenso.
La segretaria di Stato svizzera Livia Leu sonda il difficile terreno di Bruxelles. Foto Keystone
Nel settore della ricerca la Svizzera possiede dei legami internazionali più forti di ogni altro paese: due terzi dei ricercatori che lavorano in Svizzera hanno svolto il loro dottorato all’estero.
Dopo una pausa di riflessione, nel febbraio 2022 il Consiglio federale ha deciso di affrontare nuovamente il dossier UE. Invece di un trattato quadro “indigesto”, il governo punta su un pacchetto con diversi elementi. L’obiettivo è quello di garantire l’accesso al mercato interno europeo, per consentire nuovi accordi – ad esempio in materia di elettricità – e per ristabilire il collegamento con i programmi dell’UE come Horizon Europa. Le questioni istituzionali – ad esempio, quale organo deciderà in caso di controversia – sarebbero regolate separatamente.
Il nocciolo della questione è che la Commissione UE finora non ha esplicitamente voluto conoscere una procedura che regoli queste questioni fondamentali “caso per caso”. Essa mantiene inoltre che la Corte di giustizia europea sia coinvolta nelle controversie – un aspetto che ha suscitato molte resistenze politiche in Svizzera. Il Consiglio federale spera comunque che a Bruxelles si stia diffondendo la consapevolezza che il proseguimento della via bilaterale sia anche nell’interesse dei paesi europei vicini.
Dalla scorsa primavera, è Livia Leu, segretaria di Stato incaricata del dossier, che sonda il terreno a Bruxelles. Nel frattempo, diversi incontri tra i negoziatori hanno avuto luogo. Tuttavia, fino a quando non saranno disponibili nuovi negoziati al più alto livello politico, è probabile che ci voglia ancora molto tempo. Il Consiglio federale non vuole decidere su un mandato finché non ci sarà “una base sufficiente”.
All’ombra delle elezioni del 2023
In merito alla modalità di come trattare la questione europea, non regna finora nessun consenso a livello politico interno. I partiti politici lanciano strategie e piani di azione, deplorando la mancanza di progressi concreti. Dal punto di vista del politologo Fabio Wasserfallen, professore di politica europea presso l’Università di Berna, il fatto che il Consiglio federale non prenda in mano le redini nel dibattito testimonia un vuoto politico. Secondo Wasserfallen, collegare questi due livelli sarebbe compito del governo. «Il pacchetto deve essere assicurato a livello nazionale se vuole avere una possibilità in un referendum». Il Consiglio federale potrebbe utilizzare modelli realistici per mostrare come salvaguardare gli interessi svizzeri e ammortizzare eventuali concessioni. «Per poterlo fare, il governo deve adottare una linea comune a mantenerla a lungo termine.» Tuttavia, più il tempo passa, più è probabile che si attendano le elezioni federali dell’autunno 2023, ritiene Fabio Wasserfallen. Poiché, secondo i risultati dei partiti, le carte potrebbero mescolarsi per quanto concerne la composizione del Consiglio federale. «Idealmente, prima delle elezioni si può discutere dei vantaggi e degli svantaggi del piano UE del Consiglio federale». Questo avrebbe il vantaggio che nel prossimo anno elettorale tutti gli attori devono mostrare le loro carte.
Theodora Peter
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