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La Svizzera, ancora un paradiso fiscale

    Fino a quando l’inserimento in black list?

    Egr. Avvocato,
    sono un anziano cittadino svizzero residente da anni in Italia e, benché possa sembrare strano, ho appreso solo recentemente che ai fini fiscali fa fede la residenza e non la cittadinanza.

    Intendo regolarizzare la mia situazione con il fisco italiano, e a tal fine ho letto di tutto e di più sull’argomento, ma sono tuttora molto confuso poiché non riesco a capire come mai la Svizzera, Paese comprovatamente collaborativo, ai fini Irpef rimanga a tutt’oggi nella Black List e vengano applicati DL obsoleti, oggi palesemente contradditori.

    Lei ritiene che, se il prossimo 19 maggio il popolo aderisse all’abolizione dei privilegi fiscali delle aziende a statuto speciale (holding, miste, ecc.) la Svizzera verrebbe finalmente inclusa nella White List, in cui dovrebbe già comparire da tempo a pieno titolo?

    In caso contrario, visto che da una parte il Consiglio Federale esorta i suoi cittadini residenti all’estero a trovare un’equa pacificazione con il fisco italiano, ma dall’altra sussiste una palese discriminazione nei confronti del nostro Paese da parte di quest’ultimo, come può tutelarsi un cittadino svizzero residente in Italia in un caso analogo al mio?

    Forse Lei mi potrà illuminare in merito e La ringrazio molto sin d’ora.
    Con i più distinti saluti
    P.B. (Cuneo)


    Caro Lettore,
    debbo subito dirle che la Sua lettera ha destato in me una certa sorpresa ma mi ha anche leggermente inquietato.
    Da un lato, mi è sorta la banale curiosità di sapere da quanto tempo legge la nostra Gazzetta Svizzera. E’ infatti veramente singolare scoprire che solo recentemente abbia potuto apprendere che ai fini della tassazione della persona fisica sia rilevante la residenza e non la nazionalità.
    Dall’altro lato, mi sono un po’ allarmato, perché ho pensato che potesse non ricevere regolarmente il periodico, o – peggio - che anche in passato non siamo mai stati abbastanza chiari in merito.

    Ricordo allora (e confermo, a scanso di equivoci) ancora una volta per tutti i nostri Lettori che, in base al TUIR-Testo Unico sulle Imposte sui Redditi (DPR n. 917/1986), valgono le seguenti regole. Sono residenti fiscalmente in Italia i soggetti che, alternativamente, per più di sei mesi:
    a) sono iscritti nell’anagrafe dei residenti in Italia,
    b) hanno il domicilio in Italia,
    c) hanno la residenza in Italia.

    Solo se nessuna di queste tre condizioni ricorre nel caso concreto, viene meno il presupposto della residenza fiscale e del conseguente assoggettamento di tutti i redditi prodotti ovunque nel mondo alla tassazione del fisco italiano. Peraltro, secondo il “Decreto-Crescita” (D.L. 30.4.2019 n. 34) la mera iscrizione anagrafica può oggi essere pacificamente superata dalle disposizioni di una Convenzione internazionale che prevalgono sul TUIR (ne parleremo prossimamente).
    La nazionalità, invece, non è ininfluente ma rileva solo in talune ipotesi per aspetti specifici.
    Venendo quindi alle altre domande, cercherò di fornire, per quanto mi è possibile, qualche precisazione che sia utile a chiarire un po’ della confusione nella quale dice di trovarsi.

    Svizzera e black list italiane
    Lei manifesta la volontà di regolarizzare la sua posizione con il fisco italiano, ma lamenta il fatto che la Svizzera sia ancora considerato un Paese black list. Immagino che la circostanza possa essere fastidiosa, soprattutto per gli effetti pratici che di fatto determinano un raddoppio delle annualità da considerare per la regolarizzazione e quindi un potenziale aumento dell’onere economico da sostenere.

    Nella sua lettera Lei cita anche le holding – un tema, quello delle aziende a statuto speciale sul quale i cittadini elvetici saranno chiamati a pronunciarsi nella consultazione popolare del 19 maggio 2019 (nuova Legge Federale sulla riforma fiscale e finanziamento AVS – RFFA), il cui esito sarà già noto quando uscirà questo numero.
    Effettivamente, la questione delle holding e delle società di domicilio e miste è sempre stata molto controversa. Non conosco la sua specifica situazione ma Lei si chiede se una loro eventuale abolizione possa determinare l’esclusione della Svizzera dalla black list italiana

    Preliminarmente, va specificato che il termine black list fa riferimento ad un elenco di Paesi con regime fiscale privilegiato.
    In realtà le “liste-nere”, adottate in un non più recente passato, riguardano varie tematiche come la presunzione di residenza fiscale delle persone fisiche, le c.d. CFC-Controlled Foreign Companies, l’indeducibilità di costi sostenuti dalle imprese, ed hanno subito numerose modifiche nel corso degli anni.
    Vi sono poi anche le c.d. white list, e cioè un elenco di Paesi che, pur mantenendo un regime fiscale di favore, consentono lo scambio di informazioni con gli altri Paesi grazie a Convenzioni internazionali multilaterali o bilaterali.

    Va detto, intanto, che la Svizzera, la quale è considerata un Paese a fiscalità privilegiata, dal 2017 è fuori dalla lista-nera che poneva obblighi aggiuntivi a carico di società italiane che intrattenevano rapporti di scambio di beni e servizi con società situate in paradisi fiscali. Diciamo, allora, che si trova in una zona “grigia”.
    Viceversa, quanto Lei scrive è vero con riferimento alle imprese estere partecipate previste dal D.M. 21 novembre 2001, ed all’indeducibilità dei costi prevista dal D.M. 23 gennaio 2002, ove si fa espresso riferimento alle “società holding o di domicilio”.

    Ciò vale anche con riguardo alle persone fisiche di cittadinanza italiana iscritti all’AIRE e residenti all’estero in Paesi considerati paradisi fiscali, per i quali si presume la residenza fiscale in Italia – salvo prova contraria a carico del contribuente. Secondo il D.M. 4 maggio 1999 ed il D.M. 12 febbraio 2004, la Svizzera fa tuttora parte della black list, rientrando nella previsione.

    Tale inclusione, tuttavia, è decisamente obsoleta e considerato che – come osserva Lei sempre giustamente – la Confederazione è oggi (ma già da un po’ di tempo a questa parte) un Paese molto collaborativo, appare altresì iniquo che questo trattamento penalizzante non venga rimosso. Ciò a maggior ragione se dovesse prevalere il “Sì” al referendum sul tema delle holding. Vediamo perché.

    Svizzera e Italia ed il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione contro le doppie imposizioni
    In data 23.2.2015 Svizzera ed Italia hanno siglato un Protocollo aggiuntivo alla nota Convenzione contro le doppie imposizioni (CDI) tra Italia e Svizzera del 1976. Molti lettori lo ricorderanno, dato che ne abbiamo parlato all’epoca della Voluntary Disclosure, in occasione della quale la Svizzera non venne considerata Paese black list.
    In sostanza, con tale integrazione si ampliava la possibilità di scambio di informazioni tra i due Paesi aventi ad oggetto dati “verosimilmente rilevanti” e criteri interpretativi tali da rendere il predetto scambio il più ampio possibile ed evitare ostacoli allo stesso.

    Il Protocollo aggiuntivo, applicabile dalla data della firma, è in vigore dal 16.7.2016 e rispetta gli standard internazionali più diffusi (OCSE).

    Svizzera e Italia e la Roadmap
    Sempre il 23.2.2015 i due Paesi hanno siglato anche una precisa “roadmap”. La stessa prevedeva a carico dei due Stati firmatari impegni reciproci, anche se più di carattere e dialogo politici in ambito fiscale e finanziario. Ricordo sommariamente i punti principali di tale accordo, in particolare:
    - l’adozione in futuro di uno standard internazionale conforme a quello OCSE, anche per lo scambio automatico di informazioni;
    - la regolarizzazione del passato e l’equiparazione della Svizzera ai Paesi non presenti nella black list italiana ai fini della V.D. per i contribuenti che detenevano conti in Svizzera;
    - l’adozione di una clausola di non punibilità per i contribuenti aderenti alla V.D., che fosse estensibile anche agli istituti finanziari ed ai loro collaboratori per eventuali reati commessi dai clienti, e l’importanza del comportamento cooperativo degli istituti finanziari da considerarsi positivamente;
    - una nuova disciplina dell’imposizione dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, da negoziare tra le parti;
    - la questione di Campione d’Italia;
    - l’accesso reciproco ai mercati finanziari;
    - l’ulteriore revisione della CDI Italia-Svizzera;
    - l’eliminazione dalle liste nere fondate sul mancato scambio di informazioni della Svizzera con l’entrata in vigore del Protocollo, ovvero lo stralcio dalle medesime liste degli attuali regimi fiscali privilegiati per le imprese in caso di loro abolizione o di conformazione agli standard internazionali.

    Ebbene, mentre la Svizzera ha compiuto sensibili passi avanti nella direzione indicata dalla roadmap, altrettanto non può dirsi dell’Italia, che, anzi, forse ne ha compiuto qualcuno indietro.

    In ogni caso, proprio alla luce di quanto sopra, posso concludere dicendo che non è dato sapere quando la Svizzera verrà finalmente espunta dalle liste di proscrizione italiane, nonostante sia prevedibile che ciò accada. Purtroppo non vi è alcun automatismo, ed allo stato non vi è altra tutela che la speranza!
    A Lei ed a tutti i nostri Lettori i miei migliori saluti.
    (Avv. Markus W. Wiget)