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Mara Corradini

    L’artista che ha sfidato il tempo

    Ricordo le serate estive passate in Engadina quando carpivo da mio padre i racconti sulla mia trisavola Margherita, alias Mara, il cui talento artistico appare evidente fin dall’infanzia, nel disegno, nella pittura, nella recitazione, nella musica e nel canto. Il suo entusiasmo era contagioso, il suo amore per la libertà sconfinato, una qualità che pochi avrebbero potuto immaginare in una donna del suo tempo. E mentre dipingeva, Mara sembrava rincorrere qualcosa di più di un semplice sogno artistico: cercava la bellezza autentica, quella che sfugge alle mode, ai tempi, e persino ai giudizi dei critici. Era una donna fuori dagli schemi, e forse è per questo che la sua storia, oggi, mi appassiona così tanto.

    Nata a Napoli il 5 dicembre 1880, Mara Corradini porta in sé la complessità di due mondi: l’anima artistica e vivace della città partenopea e la quiete silenziosa dei monti svizzeri, dove affondano le sue radici paterne. Suo padre, Giacomo Corradini, è un industriale originario di Sent, sua madre è Alice Bally aus Schönenwerd. Cresce in una famiglia che le insegna il valore della libertà di espressione, impara presto a non piegarsi ai dettami della società e a parlare fluentemente diverse lingue: tedesco, francese, spagnolo, olandese, romantsch e, ormai avanti negli anni, anche il russo. Trascorre l’infanzia e la prima giovinezza a Napoli, allora rinomato centro di cultura, polo d’attrazione per poeti, scrittori e artisti. Il suo maestro è Tommaso Celentano che la accoglie nel suo studio valorizzando il suo spirito indipendente e descrivendola come una ragazza esuberante di bellezza non convenzionale che «irradiava la freschezza delle sue diciassette primavere».

    Soggiorna a lungo all’estero partecipando alle esposizioni di Gand, Bruxelles, Londra, Anversa, Dresda, Coira e Zurigo. A Monaco di Baviera frequenta lo studio di Franz von Lembach e ad Anversa quello di Hendrick Luyten. I dipinti che invia alle esposizioni italiane di Venezia, Roma, Firenze e Torino riflettono infatti l’influenza di questi due grandi ritrattisti.

    Mara trova il suo spazio tra i salotti degli artisti in giro per l’Europa, ottiene un discreto successo e stringe amicizie con poeti e pittori dell’epoca, tra cui personalità di spicco come Rainer Maria Rilke, celebre poeta austriaco, che condivide con lei la passione per le atmosfere intime e riflessive. Conosce Eva Blake, nipote del grande poeta inglese William Blake, è amica del pittore russo Besrodny, vola insieme al pioniere dell’aria Walter Mittelholzer, gioca a scacchi con il Principe d’Alba, pattina insieme al Maraja durante i soggiorni al Palace a St. Moritz: Mara appartiene all’alta società del suo tempo e riesce ad evitare compromessi scegliendo sempre le sedi espositive più importanti per le sue opere. Abile nel suonare chitarra, mandolino e pianoforte esegue spesso brani per gli amici che la visitano a Sent nei cupi anni della seconda guerra mondiale. In quel periodo il suo focolare svizzero era diventato luogo di ritrovo e rifugio per lei dai bombardamenti napoletani che rasero al suolo l’industria del padre portata avanti da suo fratello.

    Mara tuttavia non è solo la pittrice che riempie le sue tele di una bellezza fuori tempo, ma anche una donna dal carattere esuberante, che sa godersi la vita. La immagino mentre, indossando un abito elegante e un grande cappello, pedala verso la locanda del paese, dove si siede a bere birra con i vecchi del posto, tra racconti e risate. Non passa mai inosservata, ma non sembra curarsene troppo. “Era solita bagnarsi senza veli nella conca alla fine del ruscello in giardino” mi raccontano i familiari. Un modo di vivere per lei naturale, riflesso della sua personalità, della sua arte. Un aneddoto che voglio condividere è relativo alla piccola May May, un cagnolino pechinese che Mara ricevette in dono durante un viaggio in Inghilterra. Gli si affezionò a tal punto che, quando morì, commissionò un bronzetto nelle fonderie d’arte di famiglia e lo fece imbalsamare. Io stessa, da bambina, ho potuto accarezzare e giocare con la famosa cagnolina imbalsamata, custodita con cura in un armadio da una sorella di mia nonna nella casa engadinese che gli amici di Mara chiamavano “il palazzo di ghiaccio”.

    Il rapporto di Mara con l’arte è intriso di una certa nostalgia. Nelle sue opere, i critici vedono una tensione tra passato e presente, un attaccamento a un mondo che stava svanendo. La definirono “attardata”, incapace di abbracciare le nuove avanguardie artistiche che stavano rivoluzionando il mondo. Ma per Mara quella è una scelta consapevole: non si tratta di restare indietro, ma di voler conservare un mondo che sente suo, come un segreto prezioso che non vuole condividere con la frenesia del tempo moderno. I suoi quadri, vibranti di un'eleganza raffinata e senza tempo, continuano a raccontare una storia, quella di un’epoca che si allontana sempre più, ma che lei riesce a mantenere viva con ogni pennellata.

    In Engadina ricopre per molti anni la carica di vicepresidente della Societed Artistica Engiadina. In questo periodo stringe amicizia con Mili Weber e mantiene legami stretti con i poeti Peider Lansel e Men Rauch, per cui illustrò l'opera “Il Battaporta”.

    Tra i boschi dell’Engadina, Parigi, Olanda, Napoli e altri luoghi, Mara continua a dipingere anche quando la sua salute vacilla. Sposa l’italiano Giovanni Sommariva da Livorno e trascorre gli ultimi anni della sua vita a Sent, nella casa di famiglia, dove muore il 5 luglio 1964. Un cugino di mio padre racconta di aver pianto insieme al suo gemello senza tregua durante quelle notti di luglio finché, una volta, la bambinaia urlò: “Mara basta, lasciali in pace!” e da allora smisero di piangere.

    Per questo ogni volta che torno a Sent la percepisco ancora lì mentre osserva le montagne dal giardino e sorride. Perché Mara Corradini non ha mai veramente smesso di vivere tra quei paesaggi, così come la sua arte non ha mai smesso di raccontare la sua storia. Una storia che, nonostante il passare del tempo, rimane viva, come l’eco di una voce che si rifiuta di essere dimenticata.

    Elisabetta Agrelli

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