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La riforma dell’AVS è sempre urgente

    Dopo il no popolare

    Riforma AVS è sempre urgente

    Già i primi giorni dopo il voto popolare che ha respinto la riforma “Previdenza 2020”, sono state avanzate proposte per un nuovo pacchetto di riforma. I sostenitori del no, in pratica l’UDC e il PLR, hanno detto a chiare lettere di voler portare in porto il nuovo progetto di riforma entro il 2019. Hanno però anche aggiunto di volersi concentrare sulla revisione dell’AVS, che è prioritaria rispetto a quella della previdenza professionale (le casse pensioni).

    In realtà l’AVS è l’assicurazione di base per tutti e pratica – almeno in parte – il sistema della distribuzione, cioè le giovani generazioni pagano per quelle più anziane. Con l’invecchiamento della popolazione, la generazione di pensionati aumenta di più di quella degli attivi. Di conseguenza vi sono sempre meno attivi che versano i contributi all’ AVS e sempre più anziani che ricevono le rendite.

    Tra le proposte che torneranno sul tappeto nella prossima revisione, vi sarà certamente quella dell’aumento dell’età di pensionamento (ora a 65 anni). Ma è proprio questo argomento che – secondo gli analisti – ha fatto cadere il progetto in votazione. Si valuta per esempio che il 42% delle donne abbia votato no. Alcuni esperti pensano di poter risolvere il problema grazie a una grande flessibilità dell’età di pensionamento. Cioè fornendo incentivi a coloro che accettano il pensionamento anticipato, anche prima dell’età di 65 anni. Altri paesi lo stanno facendo, in concomitanza con l’aumento degli anni di contribuzione.

    L’altro grande tema in discussione è quello delle casse pensioni. I gestori delle casse sono preoccupati perché il no popolare significa mantenere il tasso di conversione del capitale di vecchiaia in rendite. Questo “secondo pilastro” funziona in Svizzera in base al principio secondo cui ognuno si forma negli anni, con il datore di lavoro che paga una parte del premio, il proprio capitale da convertire in rendita. Con un tasso di conversione del 6,8%, molte casse – soprattutto quelle con assicurati con salari bassi – sono costrette a finanziare parte delle rendite dei pensionati con i premi versati dagli attivi. Così il sistema della capitalizzazione sta diventando sempre più un sistema di distribuzione, simile a quello dell’AVS. Molte casse si sono finora salvate con la cosiddetta “parte sovra-obbligatoria”, per la quale si può usare un tasso inferiore di conversione. Le migliori si avvicinano così, in media, al 6%, ma non al 6,8%. La maggior parte però non raggiunge nemmeno il 6%, tant’è che gli assicuratori avevano chiesto il5% da subito.

    Entrambe le riforme – ma la seconda sarà per più tardi – vorrebbero far dipendere il sistema sempre meno dai sussidi statali, ma una soluzione neutra che passi attraverso il vaglio popolare è praticamente impossibile. Vedremo se le prossime proposte riusciranno a risolvere questa “quadratura del cerchio”.
    Ignazio Bonoli