Una pioniera dell’architettura: Franca Helg (1920/1989)

“La donna deve obbedire. Essa è analitica, non sintetica. Ha forse mai fatto l’architettura in tutti questi secoli? Le dica di costruirmi una capanna non dico un tempio! Non lo può. Essa è estranea all’architettura, che è sintesi di tutte le arti, e cioè simbolo del suo destino”.

Così si esprimeva Benito Mussolini nel 1927, in un’epoca in cui erano rarissime le donne che avevano accesso alle facoltà tecniche e scientifiche e che spesso erano confinate in posizioni svantaggiose nel mercato del lavoro.

La storia dell’architettura purtroppo non rende giustizia a quelle poche, ma primarie personalità femminili, che hanno progettato, creato e innovato il mondo dell’abitare all’ombra di famosi architetti che sovente si sono presi tutto il merito. Non stupisce quindi trovare nel recente passato coppie di urbanisti e designer in cui ruolo e contributo intellettuale della donna è secondario, se non addirittura inesistente: è il caso degli svizzeri Crawford- Steiger: lei è la prima a laurearsi architetto a Zurigo nel 1923, lui é uno dei maggiori esponenti dell’avanguardia. Insieme progettano la Haus Sandreuter a Riehen e la Zett-Haus a Zurigo, rispettivamente la prima abitazione modernista in Svizzera e un avveniristico edificio che accoglie residenze per artisti, un centro commerciale e, sul tetto apribile, un cinema e una piscina. Entrambi i progetti sono però universalmente attribuiti solo a Steiger.

Anche oltreoceano la storia è la stessa: gli architetti americani Denise Brown e Robert Venturi conducono negli anni ’70 un originale studio urbanistico su Las Vegas che rivoluzionerà radicalmente la concezione dello spazio urbano e pubblicano un testo dal titolo “Learning from Las Vegas” che avrà fama planetaria. Anche in questo caso è solo al Venturi, esponente di spicco della corrente post moderna, a cui viene assegnato nel 1991 il premio Priztker per opere “che dimostrano una combinazione di talento, visione e impegno, e che ha prodotto contributi consistenti e significativi all’umanità e all’ambiente costruito attraverso l’arte dell’architettura”. La Brown invece dovrà aspettare di compiere 87 anni per vedere riconosciuti i suoi studi e le sue idee innovative in campo urbanistico, grazie all’onorificenza americana Sloane Medal nel 2018!

A Milano, sin dai primi anni ’50 prende il via un altro fortunato sodalizio: Franco Albini e Franca Helg, che darà vita a moltissime straordinarie opere.
Albini è un celebre interprete della corrente razionalista, un movimento che contribuisce a migliorare la qualità della vita delle persone attraverso la progettazione di opere caratterizzate da linee leggere, essenziali e funzionali, mentre la sua brillante socia, che lo scorso 21 febbraio avrebbe compiuto 100 anni, è ancor oggi, praticamente una sconosciuta ai più. In realtà la “Gran Dama de la Arquitectura Italiana”, come la definì Antonio Vélez Catrain nel 1990, è una figura centrale nella storia dell’architettura del ‘900 che riesce a imporsi con autorevolezza, determinazione ed eleganza in un contesto professionale prevalentemente maschile, agguerrito e competitivo.

Negli anni del boom, Milano ha il maggior tasso di occupazione femminile in Italia ma sono perlopiù commesse, segretarie e operaie, tutte rigorosamente sotto i trent’anni e nubili poiché fino al 1963 il matrimonio poteva essere causa della risoluzione del rapporto di lavoro. Le magistrate, avvocatesse, giornaliste e le professioniste in genere sono ancora uno sparuto numero, ambiscono ad essere indipendenti economicamente e, sostiene Luciana Peverelli in un articolo su Annabella, non sono interessate a rivendicazioni di tipo sociale “esse soltanto per un quarto lottano per l’ambizione di emergere, di arrivare, di diventare qualcuna. L’unica vera ambizione delle milanesi è di saper provvedere a se stesse, senza bisogno di nessuno. Né genitori, né fratelli, né mariti. Eleganza e indipendenza sono i segni che le caratterizzano”. Tratti quest’ultimi che senz’altro contraddistinguono la Helg.

La famiglia Helg è originaria di Mosnang, un paesino del Canton San Gallo noto per aver dato i natali ad un altro talento femminile: Maria Walliser, campionessa mondiale di sci negli anni ’80. I nonni di Franca emigrano nel secolo scorso in Italia trasferendosi prima a Palermo, dove il papà Salvatore e lo zio Rodolfo aprono un’azienda tessile e successivamente a Milano, città in cui la Helg nacque e risiederà stabilmente fino alla sua morte. Della sua personalità si è messo in rilievo la riservatezza, severità e austerità, perlopiù in ambito professionale ma quando divorziò dall’Antonioli, questo carattere a tratti un po’ spigoloso l’ha probabilmente corazzata dal giudizio moralistico dell’epoca compreso quello della famiglia paterna che, come ci riporta il cugino Rodolfo Helg, era molto cattolica.

Rodolfo Helg, pur molto giovane negli anni ’70 e oggi docente universitario, è chiaramente affascinato da questa sua parente, emancipata e colta, con cui è davvero piacevole conversare e che, anche se molto impegnata nella duplice carriera di architetto e docente universitaria riesce comunque a dedicare del tempo ai più piccoli della famiglia: “Né lei e né le sue due sorelle ebbero figli, forse per questo motivo con noi “cuginetti” erano particolarmente ben disposte, ricordo che, Franca insieme a sua sorella Guglielmina organizzava ogni anno una divertentissima caccia alle uova in giardino, in occasione della Pasqua. Anche i regali che faceva erano tra i più originali e graditi che abbia mai ricevuto: una volta ad esempio mi regalò una planimetria dettagliatissima dell’area di Kasr – El – Hokm Riyadh che aveva progettato per il regno dell’Arabia Saudita. L’ho tenuta appesa alla parete della mia camera per moltissimi anni e ne andavo molto fiero!”. La leggenda racconta che quando gli architetti dovettero presentare il progetto agli arabi, la Helg - in quanto donna - fu esclusa dalla delegazione. Non facciamo fatica a credere quanto questa decisione l’abbia fatta arrabbiare...

Giovane promessa dell’architettura entra a far parte dello Studio Franco Albini nei primi anni Cinquanta, dopo una breve ma significativa esperienza presso un altro studio blasonato: B.B.P.R. (Banfi, Belgiojoso, Peressutti e Rogers). Il suo impegno professionale continua per quasi mezzo secolo anche dopo la morte del maestro Albini nel 1977, quando lo Studio si avvale della collaborazione di altre due firme dell’architettura Antonio Piva e Marco Albini. Tutti i soci sono naturalmente fedeli all’ideologia e al linguaggio razionalista ed elaborano proposte progettuali capaci di coniugare modernità e tradizione, grazie all’eredità del metodo albiniano che tanto influenzerà le future generazioni di architetti.

“Il mio metodo serve ad evitare gli errori della fantasia, perché la fantasia è dei mediocri”, ma che in cosa consiste il “metodo Albini”?
Albini ha la capacità innata di tradurre in creatività le complessità tecniche. La progettazione ha origine, spesso, da un semplice dettaglio che solo in apparenza è indipendente, ma che invece deve potersi assemblare perfettamente con tutti gli altri elementi seguendo “una sola logica”. Partendo quindi dallo studio rigoroso dei singoli pezzi si arriva al disegno globale, grazie a numerosi schizzi che propongono soluzioni diverse ma tutte sempre soggette ad una severa verifica tecnica. Questo modo di procedere viene applicato a tutte le tipologie di lavoro: dalla semplice produzione di oggetti di design alla progettazione di edifici. Non possiamo qui fare a meno di citare solo alcune tra le più significative opere a firma Albini-Helg come la Rinascente di Roma (1957-1960), la ristrutturazione del museo della chiesa Sant’Agostino terminata nel 1986 e il quartiere Piccapietra a Genova (1955/1962) le Terme Zoja di Salsomaggiore (1964 – 1970), il museo civico degli Eremitani a Padova concluso nel 1986 e il progetto del restauro di Palazzo Rosso (1952 – 1962), il Museo del Tesoro di San Lorenzo, il lavoro di restauro e sistemazione a museo dei Chiostri di sant’Agostino a Genova terminato nel 1979.

A Milano nel 1964, lo studio Albini-Helg vince il premio Compasso d’Oro per il progetto della Metropolitana 1 classificata come grande opera di design sociale, progetta i palazzi di via Argelati realizzati in due fasi (1958 – 1972 e 1967- 1977) e si occupa degli allestimenti delle sale museali della Pinacoteca e dell’ex Museo Archeologico del Castello Sforzesco (1972 - 1980) allestimenti in seguito modificati per adeguamento alle normative sulla sicurezza.

Moltissime sono anche le committenze all’estero, in Europa, Egitto, paesi Arabi e Sud America - Venezuela, Brasile e Perù – qui, in particolare, la Helg sviluppa progetti di tipo sociale, legati alla conservazione dei centri storici.

Con Franca Helg insomma lo studio Albini non solo acquisisce un architetto eccezionale, ma anche una donna pragmatica (come spesso sanno essere le donne) che tratta con disinvoltura e competenza coi clienti e controlla personalmente i cantieri, dando istruzioni a geometri e maestranze con estrema autorevolezza.

Franca Helg: fine architetto, ma anche una docente d’eccellenza
Uno dei maggiori studiosi di Franca Helg, nonché suo ex studente alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano è l’architetto Daniele Mariconti (viale Marche, 66 – Milano, danielemariconti@gmail.com) che si entusiasma nel raccontare i particolari stilistici e tecnici di alcuni progetti dello Studio Albini-Helg, come ad esempio quelli della Metropolitana milanese: l’immagine coordinata della segnaletica, il pavimento praticamente indistruttibile e realizzato con lastre di gomma nera a bolli leggibili anche dai non vedenti o ancora la perfetta dimensione del diametro del corrimano di colore arancione delle scale. Nulla insomma è lasciato al caso!

“La Helg era una docente illuminata, severa, ma molto autorevole e sempre aperta al dialogo! E sapeva non solo insegnare con dedizione e chiarezza un metodo, ma soprattutto trasmettere la passione per questa professione. La connessione di elementi e l’assemblaggio erano la regola che lei ci insegnava e il modus operandi anche nel suo studio. Ci spronava a ragionare con la nostra testa, a disegnare verificando e rivisitando continuamente forme e volumi e, senza darci soluzioni precostituite, ci indicava eventualmente cosa non funzionava nel nostro progetto con uno schizzo leggero a lato del foglio: “Questo è un gatto senza coda!” Era una delle sue battute ironiche sui nostri progetti. Ogni progetto ha una sua identità poiché, a differenza di altre scuole di pensiero, non ci devono essere cloni progettuali, “per cavalcare il solco del movimento moderno ognuno deve trovare la sua poetica”, per dirla con la Helg.

L’architetto Massimo Roj, suo ex laureando e oggi professionista affermato, è un partner del Progetto CMR (www.progetto.cmr) e autore di una interessantissima proposta per il nuovo stadio di Milano. Parlando della Helg, si sofferma sulle grandi doti creative, sulla precisione progettuale e sulla capacità di sintesi e ricorda anche lui con affetto le sue battute spiritose. “Ero spesso assente alle lezioni di composizione perché mi allenavo per l’esame di maestro di sci e la Helg, al mio ritorno in aula, mi accoglieva dicendo: “Dovresti fare l’architetto per hobby e il maestro di sci per professione, l’unico modo per esternare la tua creatività!”. L’insegnamento più grande che Roj ha tratto dalla Helg, come ci spiega lui stesso, è probabilmente l’attenzione al dettaglio e all’inserirsi armonico dei singoli elementi all’interno di un sistema più ampio. Per spiegare come funziona il lavoro di gruppo in architettura, Roj ricorre infatti ad una suggestiva metafora dell’orchestra jazz, in cui i singoli musicisti che conoscono bene il proprio strumento e la partitura suonano insieme o improvvisano assoli, ma sempre in una cornice armonica. Nel lavoro collettivo degli orchestrali e degli architetti ciò che conta è il rispetto delle regole, la complicità, ma anche la precisione, in una parola: i dettagli.

La cura per il dettaglio nella Helg è quasi maniacale, del resto era della stessa opinione anche il grande genio del Rinascimento, Leonardo da Vinci: “i dettagli fanno la perfezione e la perfezione non è un dettaglio”. Disegnatrice straordinaria e precisissima esige lo stesso rigore dai suoi studenti, così come dai componenti junior dello Studio. Questa tendenza al perfezionismo la porta a disegnare gli esecutivi in scala 1:1, specialmente gli oggetti di design di cui è, ancora una volta, abile interprete. Tra i tantissimi iconici pezzi di arredamento, particolarmente rinomati sono quelli in giunco e midollino che firma per Vittorio Bonacina (ora Bonacina 1889), un tavolo per POGGI del 1956 denominato TL8 e esposto nel 2016 alla nona edizione del Triennale Design Museum: W.Women in Italian Design e molti altri entrati a far parte della storia del design italiano e del collezionismo.

Sebbene Franca Helg sia un talento oscurato dalla misoginia dell’establishment dell’architettura, è giusto citare le poche ma belle iniziative che negli ultimi anni l’hanno ricordata. Il Comune di Galliate Lombardo la commemora con una targa nel 2016, perché è in questo paesino, in provincia di Varese, che la Helg rifugia in cerca di tranquillità, nella casa con giardino che lei stessa ha costruito. Nel 2017 Paola Albini, nipote di Franco, mette in scena a Palazzo Marino uno spettacolo teatrale dal titolo: “I colori della ragione” in cui tratteggia magistralmente la sua straordinaria vita.

Quest’anno, in occasione del centenario della sua nascita, la Fondazione Albini (www.fondazionefrancoalbini.com) e l’Ordine degli Architetti di Milano avevano in programma una serie di incontri a lei dedicati che, a causa dell’emergenza sanitaria, si sono trasformati in eventi digitali. Lo stesso architetto Mariconti si è fatto promotore di una campagna social #francahelg100anni sul profilo FB “Franca Helg Architetto”, in cui ogni giorno pubblica originali dei suoi progetti. E infine, la città di Milano, nell’anno dedicato a “I Talenti delle Donne” le ha voluto intitolare un bel giardino in via Franco Albini (dove sennò?), in omaggio alla sua nota passione per verde.

Un architetto senza tempo che ha indiscutibilmente reso grande Milano, ma soprattutto una donna coraggiosa, esempio di autonomia intellettuale per tantissime ragazze, perché credo che la fiducia nelle proprie capacità è la sua eredità più preziosa.

Antonella Amodio
SOCIETÀ SVIZZERA DI MILANO

Foto Matteo Piazza

Foto Casali, Domus 1961

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