La dottoressa Chiara Liberati: «i medici non la prescrivono perché non la conoscono»
Lugano – Negli ultimi due anni si registra il continuo aumento di richieste ed effettivo accesso dei pazienti all’uso della cannabis terapeutica.
Ciò avviene in tutta Europa con le ovvie differenze tra Paesi. Per accesso alle cure con cannabinoidi si intende la prescrizione da parte di medici ufficiali per contrastare gli effetti di varie malattie. Svizzera, Germania, Portogallo e Repubblica Ceca, hanno stabilito programmi specifici di cura. Secondo gli esperti in materia, tutti i Paesi dovrebbero maggiormente liberalizzare la cannabis ricreativa (sigaretta di marijuana per es.) e, al contempo, differenziarla in modo netto dalla cannabis terapeutica: quest’ultima non deve più essere considerata un narcotico bensì un normale rimedio medico.
Tolti gli impedimenti burocratici, sarà sempre più prescritta dai medici e ottenuta in farmacia. Una maggiore richiesta e distribuzione amplierebbe le coltivazioni di cannabis incrementando così le migliori varietà atte a scopi medici.
Nota per lo “sballo” che provoca in chi la assume per scopi ricreativi, è, in tali casi, utilizzata in modo sconsiderato. Al contrario – e questo aspetto è sempre stato sminuito o negato – essa ha importanti effetti medico-olistici con benefici accertati sulle persone, gli animali e l’ambiente. Due suoi principali costituenti sono il tetraidrocannabinolo THC e cannabidiolo CBD: chi formula preparati medici conosce le differenze tra THC (con anche effetti psicoattivi) e CBD, sa come questi spesso si completino a vicenda o, invece, quando usarli separatamente.
In Svizzera, finalmente abrogato nel 2022 il divieto per scopi terapeutici, il medico ne fa richiesta per i propri pazienti all’autorità preposta. E in Italia, dove risiedono molti concittadini elvetici, a che punto siamo?
Alla dottoressa Chiara Liberati, Direttrice Sanitaria, Medico Chirurgo e Terapista del Dolore presso CLINN di Milano, e operativa con altri medici nel sito web “Cannabis Terapeutica” ricco di informazioni e testimonianze, chiediamo qualche spiegazione sul suo utilizzo e come si comportano in merito i medici della Penisola.
Il primo impiego della cannabis terapeutica a cui si pensa è per il dolore cronico, ma in quali altre situazioni si può consigliare?
«In effetti, è conosciuta per la terapia del dolore, che sia di natura oncologica o benigna come dolori cronici dovuti ad esempio ad artrosi, fibromialgia, artrite reumatoide e così via. In realtà l’impiego della cannabis è estremamente variegato e si utilizza in contesti di insonnia primaria e secondaria che comprende ansia, depressione, attacchi di panico e altri problemi di questa natura. Nel contesto oncologico è molto impiegata a supporto di chemio e radioterapia per gestirne gli effetti collaterali quali nausea, vomito, inappetenza, cachessia. Non solo, a livello pre-clinico, ci sono centinaia di studi che mostrano il potenziale anti-cancro di diversi tipi di cannabinoidi. Infine, gli scenari che si stanno aprendo ormai da diverso tempo e descritti nella letteratura scientifica, riguardano il mondo degli stati degenerativi».
Per esempio?
«Nell’ambito di malattie come l’Alzheimer, nelle varie forme di decadimento cognitivo come il morbo di Parkinson. Ma anche in varie patologie come la sclerosi multipla, per le quali è stato anche formulato un farmaco a base di THC e CBD che è il Sativex. Siamo quindi passati ad una formulazione farmaceutica ufficiale in commercio dal 2013».
Un bel passo avanti.
«Sì. Dopodiché abbiamo contesti come due forme di epilessia farmacoresistente, soprattutto nella sfera pediatrica, dove è usato il CDB. Qui abbiamo una formulazione di recente introduzione l’Epidiolex, un preparato esclusivamente a base di cannabidiolo, CBD, per le due forme di epilessia farmacoresistente, la Sindrome di Lennox-Gastaut e la Sindrome di Dravet».
Questi farmaci rientrano nelle prescrizioni rimborsabili?
«Nell’elenco delle patologie le cui cure sono rimborsabili, troviamo ad esempio il glaucoma o HIV. Il grosso riguarda il dolore cronico».
In che forma può essere assunta la cannabis terapeutica?
«In due modalità, la prima, nella formulazione “oleolita” cioè attraverso un olio assunto per via orale. Gocce di quest’olio vengono messe su un alimento, come un pezzetto di pane, oppure per via sublinguale. L’altra modalità è il vaporizzatore ad uso medicale che introduce il giusto quantitativo della sostanza sfruttando la via respiratoria».
Quando la cannabis può essere controindicata?
«Oltre alla gravidanza e nell’allattamento, è controindicata in caso di pregressa dipendenza o attuale utilizzo di sostanze stupefacenti. In tutte le altre situazioni è fondamentale la scelta del cannabinoide corretto a seconda dei casi».
Per evitare la burocrazia c’è chi assume la cannabis in varie forme “fai da te”, sempre a fini terapeutici per es. come antidolorifico o ansiolitico.
«La differenza è che la prescrizione medica è accurata nello stabilire tipo e dosaggio della cura. Invece, formulando approssimativamente un prodotto vi sono rischi, si mettono in forse la sicurezza e la sua reale efficacia».
Qual è l’iter per ottenere la cannabis terapeutica?
«In Italia, con la Legge del 2016, ogni medico di base o specialista a dipendenza dalla Regione di appartenenza, può prescrivere la cannabis terapeutica con ricetta intestata».
Le norme burocratiche diverse tra Regioni oltre alla discrezionalità del medico – e sono ancora tanti quelli contrari – non permette a tutti di accedere a questa cura…
«È vero, e il motivo per cui molti medici non la prescrivano è dovuto al fatto che non conoscono la materia. Non si espongono nel prescrivere qualcosa di cui non sanno nulla».
A questo potrebbero provvedere per aiutare chi soffre e non desidera gli antidolorifici chimici ma alternative naturali. È vero che al curato con cannabis può essere tolta la patente? Ciò vuol dire che per molti lavoratori, come i camionisti o conducenti di mezzi pubblici, ecc. questa cura è preclusa.
«Questo è il grandissimo problema che stiamo vivendo per la proposta di legge di modifica del codice della strada. La criticità gira intorno ai livelli tossicologici di THC riscontrabili. La legge non fa distinzione tra cannabis terapeutica o per consumo ludico: ricevono la stessa sanzione fino alla sospensione della patente».
Un problema grave per molte categorie professionali dove occorre estrema attenzione nello svolgimento del proprio lavoro. D’altra parte la cannabis può dare effetti collaterali come tachicardia, insonnia o sonnolenza…
«Quello che osservo nella realtà è che tutto quello che viene citato come alterazione di stato di coscienza è estremamente sopravvalutato. La differenza la fa anche la formulazione scelta nella proporzione del THC che ha risultati diversi. Anche il momento della giornata in cui la si assume è importante. Inoltre, l’assunzione di prodotto oleoso oppure con vaporizzatore cambia radicalmente la risposta del paziente rispetto la capacità di vigilanza. Posso dire che finora non ho sperimentato nei pazienti alterazioni di coscienza tali da renderli inabili ad effettuare le proprie mansioni».
Annamaria Lorefice
lorefice.annamaria@gmail.com
La cannabis è una pianta antichissima risalente al Neolitico, utilizzata per produrre tessuti e tanto altro.
In epoca moderna molti oggetti potrebbero essere fatti in plastica biologica ottenuta da cannabis, cosa che, si spera, potrà sostituire in larga misura la comune plastica realizzata con processi chimici inquinanti.
In ambito medico, fu soprattutto nell’antica Cina che si comprese il suo potenziale di guarigione e veniva consumata in tisana o fumandola: questo aspetto è sempre stato svalutato in Occidente e lo è ancora oggi nonostante la cannabis dimostri importanti effetti terapeutici positivi su persone e animali oltre, come detto, sull’ambiente. Tolti gli impedimenti burocratici, sarà sempre più prescritta dai medici e ottenuta in farmacia. Una maggiore richiesta e distribuzione amplierà le coltivazioni di cannabis incrementando così le migliori varietà atte a scopi medici.
Sul web si trovano importanti testimonianze di persone affette da gravi degenerazioni mentali e fisiche i cui medici di famiglia, scettici o dichiaratamente contrari alla cannabis, si sono rifiutati di prescriverla, salvo poi dover constatare, loro malgrado, che il paziente avendo svolto la cura di propria iniziativa avevano recuperato gran parte del loro benessere.
I preconcetti di troppi medici sono perlopiù dovuti alla mancanza di conoscenza della materia. A questo potrebbero provvedere, informandosi adeguatamente, al fine di aiutare chi da anni è in sofferenza e vuole scegliere alternative naturali invece di prodotti chimici artificiali dai risaputi effetti collaterali: un diritto fondamentale del malato.
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