Cara Gazzetta, ti scrivo.

I miei ricordi di Zurigo
La mia avventura con Zurigo non si è mai esaurita ed ancora oggi, quando vado in Svizzera, mi organizzo per poter passare da Zurigo ed andare in Zurlindenstrasse ed in Lockerguet. In Zurlindenstrasse non 'è più il tram e Locherguet è un agglomerato che mi piace poco. Il capofamiglia si chiamava Alexander ed era un tramviere in pensione, la "sorella"di MIss Marple si chiamava Marie e c'era anche una figlia di nome Ruth che aveva 37 anni quando io ne avevo 7. Ho rivisto Ruth ancora per molto tempo ed è mancata nel dicembre del 2002. L'ho rivista l'ultima volta al Treimlispital di Zurigo. Vorrei anche specificare che il termine "Tirum" era usato da me per dire Tearoom e le Patisserie all'interno rivestivano per me un grande fascino, con le cameriere, il loro carrello e la borsetta dei soldi sotto il grembiulino bianco. Buone le torte!

Ricordo anche le visite di suore laiche, come le mie accompagnatrici ai viaggi, alla famiglia ospitante, mi chiedevano se stavo bene, se avevo bisogno di qualcosa. La famiglia ospitante mi preparava e mi faceva capire che sarebbe arrivato qualcuno per me. Era il controllo da parte della ProJuventute del mio benessere in quel soggiorno.
Durante il mio soggiorno, ma questo l'ho saputo molto dopo, mia madre è venuta a trovarmi, ma poiché il regolamento lo vietava, si è cercato di nasconderlo. Zurigo per mia madre rappresentava un mondo di ricordi. Lei era una di quelle donne, che nel 1947, lasciò l'Italia per raggiungere appunto Zurigo e lavorare. Venivano reclutate tramite l'Azione Cattolica a lavorare in aziende di precisione. Era necessario non essere sposate, non avere figli né tantomeno fidanzati. Ne parlò sempre con occhi pieni di luce e nostalgia. Ammirava gli svizzeri e le svizzere, ammirava il benessere, ma inteso come quieto vivere, non come il piatto pieno. Il benessere che intendeva lei era la sicurezza, la gentilezza. Mai ha detto di essere stata trattata male, l'unica cosa che asseriva era l'importanza di ricordarsi di avere una costruzione di se stessa, diversa, era italiana, e mai avrebbe dovuto vivere secondo i canoni svizzeri. Rispettare il territorio che ti ospita era prioritario.

Tornando ai soggiorni organizzati dalla ProJuventute ricordo anche la trafila dei documenti da presentare per il soggiorno estivo, che durava due mesi. Serviva la lastra Raggi X ed il certificato delle vaccinazioni.
Alla mia partenza da Zurigo si versarono molte lacrime, si erano affezionati a me. Io tornai da loro nell'inverno del 1959 o meglio nel Natale del 1959. Fu una richiesta di questa famiglia che formulò anche una proposta alla mia famiglia: mi avrebbero voluto tenere con loro, inviarmi alle scuole svizzere. La mia famiglia non accettò e non tagliò mai i ponti con loro.
Devo anche scrivere di come è finita la meravigliosa vita a Zurigo per mia madre: si ammalò di tumore al cervello e da Bergamo, aiutati da tante brave persone svizzere, la portammo all'ospedale di Zurigo in Raemistrasse, l'ospedale del Policlinico è li è morta nel maggio del 1969. Sempre Zurigo protagonista, chissà forse il destino ha ricamato un buon ritiro, dalla vita, per lei.
Non credo di aver esaurito i miei ricordi con la mia Svizzera, spero che il Signor Coronavirus si decida a lasciarmi fare un viaggetto oltre Gottardo, che se non annoio potrebbe essere il protagonista dei miei prossimi "redazionali"

Mirella Schmidhauser


Uno dei tanti miei ricordi
Studentessa principiante di tedesco vivevo a Zurigo, città sconosciuta con tante novità da affrontare. Tra i lavoretti che facevo, fui presa alla Iova per sostituzioni del personale. Il sig Mayer, il responsabile, mi accolse con gentilezza il primo giorno dandomi l’orario settimanale e dicendomi che l’unica cosa che non tollerava era il ritardo. Gli dissi che ero sempre puntualissima. La fabbrica si trovava in un quartiere periferico e per raggiungerla bisogna cambiare due mezzi. La mattina seguente agitata uscii presto e al cambio sapevo di dover prestare attenzione, in quel punto convergevano molte linee. La tratta era di circa 20 minuti. Dopo circa 25 minuti mi accorsi di non riconoscere nulla , agitata e con fatica a causa della lingua, chiesi all’autista. Mi disse che la linea era giusta ma ero salita dalla parte sbagliata e stavo andando dalla parte opposta! Cominciai a piangere, avevo promesso di arrivare puntuale. Tutti cercarono di capire cosa fosse successo ma non riuscivo a spiegarlo finchè una signora che parlava italiano, si offrì di telefonare e spiegare che ero effettivamente sul tram ma avevo sbagliato per un inconveniente. Il sig Mayer, perplesso e gelido disse che mi aspettava il giorno dopo. Non chiusi occhio. MI spiegarono che era complicato bisognava passare da un sottopassaggio, ma tutto sarebbe andato bene. Rifeci lo stesso errore più volte, mi agitavo e sbagliavo. Il sig. Mayer naturalmente non credette mai alla mia storia e disse che visto che mi piaceva dormire di dormire pure! Tempo dopo al lavoro al Kongresshaus lo vidi in fila con la moglie per il guardaroba. Mi feci riconoscere e disse “ecco perché dorme al mattino, fa tardi alla sera” Gli raccontai la storia,ora parlavo meglio e lui serio mi disse che era dispiaciuto e poteva capire la difficoltà di essere in una nuova città straniera così giovane. Lui era polacco. Disse “adesso ha imparato a prendere i mezzi?” Certo risposi ridendo ma orgogliosa! Bene allora la aspetto lunedì mattina PUNTUALE! Non avevo più bisogno di quel lavoro ma lo ringraziai tanto.

Anita Astori