La pagina dei Lettori – Febbraio 2021

La mia esperienza in Svizzera
Ho 70 anni, abito in Italia e sono figlia di padre svizzero e madre italiana. La mia prima conoscenza con la Svizzera risale al 1957, avevo 6 anni e mezzo e facevo parte di quei bambini che con la Pro-Juventute si recavano in Svizzera, per conoscere la Svizzera (credo). Si partiva da Milano Centrale, che era il collettore per tutti i bambini in Italia. La mia mamma faceva la valigia, all'Italiana, con zoccoletti ed abiti estivi molto alla mano. Mio padre, sul coperchio interno della valigia, apponeva un cartoncino con le mie generalità ed anche un numero di telefono. Era vietato dal Regolamento contattare i bambini se non via posta. I miei genitori venivano a conoscenza della destinazione dopo la partenza. Ci accompagnavano delle donne tipo suore laiche ed una volta ci fu a bordo anche un Console, che per noi fu un misterioso e silente accompagnatore. C'era la cesta con i panini, avvolti nella carta velina ed in un sacchetto individuale. Buoni! Tenete presente che io abitavo in un piccolo centro, con fossi e cascine dietro l'angolo di casa mia. Quindi tutta una novità. Lacrime? Nessuna. Alla frontiera di Chiasso la prima fermata importante, la successiva, forse Bellinzona ma poi arrivava il Gottardo, stupendo, sempre rimasto nei miei ricordi. Ad Olten c'era il primo smistamento, sempre con le suore laiche, molto presenti e signorili, ma io era "affascinata" da questo mondo così diverso, con suoni così diversi. Lacrime? Nessuna. Il mio primo soggiorno in Svizzera ed erano i primi giorni di luglio, era Zurigo, il massimo per i miei occhi. Mi venne a prendere una signora che oggi la definirei la sorella di Miss Marple, con camicetta bianca, ricamata e gonna nera. Capii che entravo in un mondo che sarebbe poi stato con persone amabili, affettuose e pasticcerie, lamponi, uva spina ed altro. Un particolare: non c'era la televisione in pressochè nessuna casa, alla sera si riunivano vicino alla radio ad ascoltare musica classica.
Disfando la mia valigia di cartone si accorsero degli zoccoletti: Nein nein è stata la prima reazione. Il giorno dopo mi comprarono delle scarpe di tipo inglese. Per provarmele e poiché io non sapevo rispondere mi fecero salire su una pedana. Potrei e vorrei continuare, forse la prossima volta. Lacrime? alla sera perchè mi mettevano a letto alle 19.30 ma mi ricattarono: se dormi domani possiamo uscire ed andare al Tirum e shopping all' Jelmoli e meglio Franz Karl Weber. E chi li ha mai visti nel mio paese italiano.
Chissà quanti di voi hanno passato la bellissima esperienza dei soggiorni in Svizzera con la Pro-Juventute.
Mirella Schmidhauser

A seguito di un tour in Europa arrivò Harry Belafonte a Zurigo
A seguito di un tour in Europa arrivò a Zurigo Harry Belafonte al Kongresshaus. Ero una giovane studentessa di tedesco e facevo dei lavoretti tra i quali la guardarobiera durante gli spettacoli serali. Mia madre ascoltava sempre il “re del calipso”, la sua canzone Banana Boat quindi ero felice di lavorare quella sera. Agli spettacoli importanti si prendevano anche tantissime mance. Arrivati gli spettatori eravamo fino a fine spettacolo, libere di andare dietro le quinte per ascoltare. Solo verso la fine e pensando a mia mamma decisi di farlo. Andai attraverso una scorciatoia vietata al pubblico convinta di sbucare nel retro del palco, mentre finiva l’ultima canzone. Tutto era magico e io non badai alla scritta sulla porta davanti a me e continuai. Improvvisamente sentii una voce maschile allegra e forte dire “are all the girls in Switzerland so beautiful?” Davanti a me c’era Harry Belafonte che, accompagnato , si dirigeva verso il suo camerino. Mi sono sentita divampare, ero agitata non dovevo essere lì e dissi: grazie mister Belafonte e mi scusi ho sbagliato strada! Lui si accorse del mio imbarazzo e ridendo disse che se ero lì c’era un motivo ed era felice di vedere una bella ragazza! Dissi che stavo lavorando e se mi avessero vista lì mi avrebbero rimproverata. Ridendo mi chiese chi. “ Frau Giorgini la mia responsabile.” Vieni con me” e mi fece entrare nel camerino, prese una sua fotografia con l’autografo e scrisse “to frau Giorgini”.” In quel caso dalle questa “! Ero contenta e arrabbiata perché l’avrei voluta per mia mamma , ma non avevo il coraggio di chiederlo. Rientrata senza problemi, pensai che se nessuno aveva saputo del mio incontro e quello splendido gadget era mio. Non lo diedi mai a Frau Giorgini! A casa cancellai il suo nome e scrissi Giorgia il nome di mia madre che fu incredula e felicissima. Anni dopo le raccontai la storia ma non lo dissi mai a Frau Giorgini!
Anita Astori

Il portone
Per più di cinquant’anni ho trascorso le vacanze in quella casa. Mi piaceva aprire quel grande portone, pensare che prima di me l’avevano aperto i miei genitori, i miei nonni, bisnonni e ancor prima i miei antenati. Varcavo la soglia e un profumo che solo lì potevo sentire mi veniva incontro. Ed ecco il grande ingresso, dove un tempo entravan col carro carico di fieno e attraverso un altro passaggio lo sistemavano nel fienile.
In genere la prima passeggiata al nostro arrivo era il Lej da Staz. Giusto il tempo di parcheggiare la macchina ed eravamo già in cammino. Quanti bagni in quel lago e quante bratwurst sul fuoco!
In inverno, quand’ero bambina, ciò che più mi piaceva fare era andare poco prima del tramonto a vedere i caprioli che si avvicinavano alle mangiatoie poste all’ingresso del bosco, proprio vicino alla piccola stazione di legno, la Celerina Staz per l’appunto.
Quante gite con parenti e amici: Piz Padella, Capanna Segantini, Hahnensee, Morteratsch, Cavloccio e molte altre ancora.
In inverno, tolti gli sci da fondo, nella stube un buon thè caldo e gli immancabili dolci di Filli, la pasticceria a due passi da casa. E come dimenticare i piacevoli momenti trascorsi al Cafè Rosatsch, quando ancora era un semplice locale dal soffitto basso, caldo e accogliente. Due passi a S. Gian, prima o dopo i pasti erano un must; S.Gian, dove i miei genitori si unirono in matrimonio. S. Gian col suo campanile aperto, mi fa pensare a una genziana…
E’stato alcuni anni fa che con rassegnazione per l’ultima volta ho chiuso quel portone.
Cristina Frizzoni