La regina degli scacchi “senza il fardello del pomo d’Adamo”

L’affascinante gioco-sport portato alla ribalta da una serie TV con trionfo di spettatori anche in Svizzera

Lugano - Ha estasiato tutti quelli che hanno visto una recentissima produzione, effet-tivamente di gran pregio, che rimarrà nella storia della filmografia dedicata al nobile gioco: ”La regina degli scacchi”.
Trasmessa lo scorso ottobre da Netflix (è possibile scaricarla dal web), la serie di 7 puntate è stata attentamente seguita dagli svizzeri per settimane, facendole raggiunge-re il primo posto tra i programmi più visti, stando alle classifiche di Netflix-CH.

“La regina degli scacchi” definita un “trionfo” per quantità di pubblico forse mai rag-giunto da Netflix nel mondo, ha sbaragliato, nonostante il tema legato ad un gioco che non è per tutti. Come ha potuto una serie tv incentrata sulle molteplici ricor-renti e continuative partite di scacchi - gioco che per molti profani appare cervellotico e noiosetto - incantare 62 milioni di persone nel mondo? La visione di questa serie ha aumentato l’interesse e le iscrizioni alle varie attivissime associazioni scacchistiche pre-senti in tutti i Paesi.

Protagonista immaginaria della fiction ambientata negli Usa tra gli anni ’50 e ’60 è Beth Harmon, interpretata da una bravissima Anya Taylor-Joy. La giovanissima Beth ha appreso l’arte degli scacchi a 9 anni dal factotum dell’orfanotrofio in cui vi-veva, divenendo ben presto una bambina prodigio e poi una professionista che sfide-rà e batterà i più grandi giocatori americani e internazionali, compresi i più celebri e temuti campioni del mondo, i russi.

Inquadrature, recitazione, scenografia, scrittura… tutto in funzione di una realizzazio-ne credibile che determina un fascino ipnotico soprattutto nelle sequenze delle parti-te, proprio quelle che rischiavano di tediare tutti coloro non appassionati al tema! Un lavoro enorme, preparato con la consulenza dei veri campioni del mondo, come, tra gli altri, Garri Kasparov, ad insegnare agli attori come afferrare i pezzi, le posture e il perfetto galateo dello zenit scacchistico. Tutte le partite contenute nella serie sono realistiche e sono state rigiocate da milioni di spettatori-scacchisti.

Gli espedienti tecnologici mettono in scena spettacolari pezzi degli scacchi che si muovono autonomamente su scacchiere dislocate sul soffitto: proiezione delle partite giocate mentalmente dalla prodigiosa scacchista che in questa insolita modalità risol-ve le mosse più ardue per le future partite da vincere.

Impossibile non restare ammaliati da tali inquadrature anche per chi di scacchi non sa proprio nulla. Finalmente, con un film come questo, gli spettatori non assorbono inat-tivi la narrazione, ma sono spinti a farsi domande: quanta intelligenza ci vuole per un gioco così difficile, quanto studio, quanti sacrifici? E ancora, una vita dedicata esclu-sivamente agli scacchi non presenta qualche rischio, come fu il caso, non unico, del campione americano Bobby Fischer? Ne abbiamo parlato con Markus Angst scac-chista e portavoce della Federazione Scacchistica Svizzera.

Istituita alla fine del 1800, la Federazione conta ben 225 Circoli Scacchistici e 5600 membri tra scacchiste e scacchisti svizzeri: «Una squadra femminile e maschile parte-cipa regolarmente alle manifestazioni internazionali, come le olimpiadi di scacchi e i campionati europei. Accompagniamo ogni anno le giovani leve ai campionati europei e del mondo», spiega Markus Angst. E con quali risultati? «Nella classifica mondiale le scacchiste svizzere sono al 41° posto su 156 nazioni, mentre gli uomini sono al al 36° posto su 184 nazioni…». Non male per la piccola Svizzera, che ha le sue giovani regine degli scacchi in crescita come la campionessa Lena Georgescu.

La storia delle scacchiste è lunga ed emblematica della loro capacità di muoversi sia con i pezzi sia in un ambiente fortemente maschilista. Dalla nascita degli scacchi in India nel VI secolo d.C. vi sono testimonianze di fenomenali scacchiste, per giungere in Occidente con Vera Menchik morta sotto i bombardamenti di Londra nel 1944, campionessa di scacchi femminile, batté nobili maschi campioni del momento. La sto-ria de “La regina degli scacchi” è una fiction ma potrebbe essere benissimo la storia di Ljudmyla V. Rudenko campionessa del mondo 1950-53 o di Maria Teresa Mora Iturralde, cubana quindi nata in un Paese dove gli scacchi sono cosa importante come in Russia; vinceva i maschi e divenne campionessa nazionale. Talmente brava che il si-stema patriarcale la relegò alle sole competizioni femminili in modo da non nuocere ulteriormente all’orgoglio maschile.

La storia delle scacchiste è racconta dalla giornalista e ottima scacchista americana Hana Schank, in un dettagliato articolo: “Perché abbiamo un Bobby Fischer e non una Bobbi Fischer?”.
Si è molto parlato, anche attraverso il cinema, con film e documentari, della personali-tà di Bobby Fischer, quasi un borderline. Anche la protagonista de “La regina degli scacchi” aveva problemi, poi risolti, con alcool e pillole… : gli scacchi possono diven-tare un’ossessione deleteria? Possono diventarlo se la personalità è già predisposta, come testimoniano libri e articoli in merito alla psicologia dello scacchista. Altrimenti è una valida attività che stimola varie abilità, come la concentrazione, la tenacia, induce all’autostima, alla disciplina.

«Se Bobby Fischer abbia avuto problemi psicologici - afferma Markus Angst - è an-cora oggi oggetto di controversie. Il fatto è che per molto tempo il pubblico ha percepi-to i migliori giocatori di scacchi come a metà strada tra il genio e la follia, un'immagi-ne che anche la serie Netflix trasmette in parte. Ma questo non ha nulla a che vedere con la realtà odierna. Il campione del mondo di scacchi in carica Magnus Carlsen, ad esempio, si presenta come un grande sportivo come tutti gli altri, e grazie alla sua im-magine positiva è anche un ricercato modello per la pubblicità…».

È indubbio che lo scacchista sia un soggetto molto intelligente, come ci spiega Angst: «I professionisti degli scacchi sono quasi sempre caratterizzati da un elevato quoziente di intelligenza, un'eccellente comprensione matematica, una memoria fotografica e un'elevata profondità di calcolo. Per giocare a scacchi ai massimi livelli, un alto QI è senza dubbio un prerequisito importante. Ma questo da solo non basta. Ci vuole anche molto talento e molta formazione, come in qualsiasi altro sport».

Già, perché, al contrario di noi profani che lo consideriamo un gioco, gli scacchi sono definiti un vero è proprio sport in quanto è necessaria oltre a una eccezionale presta-zione mentale anche una rilevante dose di resistenza fisica nell’ambito della competi-zione ad alti livelli; competizioni che in alcuni casi sono durate anche 20 ore consecu-tive per i due sfidanti. È stato riconosciuto come sport nel 1999 dal Comitato Olimpi-co Internazionale anche se non include gare di scacchi all’interno dei tradizionali gio-chi. Tuttavia, è dal 1927 che si svolge ogni due anni una Olimpiade Internazionale degli scacchi che prevede regolamenti ferrei, anche con verifiche antidoping.

Tornando al fattore “intelligenza”. C’è una “partita in atto” tra le giovani scacchiste e i gli scacchisti uomini più anziani che ancora discorrono di cervello femminile poco adatto alla scacchiera, come dimostrerebbero le statistiche che vedono poche donne ai vertici mondiali di questo sport. Citiamo un piccolo dato in controtendenza e una vi-cenda dimostrativa di come le cose possano mutare. Il dato è che nel mondo degli scacchi, sempre più giovani donne entrano a creare nuova linfa superando i maschi per valutazione (rating medio) nelle categorie giovanili, tra le quali di certo spiccheranno in futuro Grandi Maestre (una qualifica degli scacchisti) e campionesse internazionali e mondiali.

La vicenda, invece, riguarda il “pensiero illuminato” del Grande Maestro inglese Nigel Short che, nel 2015, affermò l’inadeguatezza della mente femminile per gli scacchi, suscitando un putiferio e restando umiliato quando fu presto battuto dalla scacchista Judit Polgár, un’altra regina degli scacchi, Grande Maestra a soli 15 anni battendo vari campioni internazionali.

Nella fiction “La regina degli scacchi”, la protagonista Beth Harmon risponde pronta-mente ad una sciocca provocazione di un giornalista circa l’essere vestita troppo alla moda per essere una seria giocatrice: «Direi che è molto più facile giocare a scacchi senza il fardello di un pomo d’Adamo!».

Annamaria Lorefice
lorefice.annamaria@gmail.com

La sala, vista dal soffitto tra i pezzi della scacchiera, dove si gioca la partita finale di Beth Harmon. Il tutto è reso magnificamente dagli efficaci effetti scenici. La fiction "La regina degli scacchi" è tratta dal romanzo di Walter Tevis, con Anya Taylor-Joy attrice protagonista e Scott Frank alla regia. Con lo stesso titolo “La regina degli scacchi” esiste un film precedente (2002) basato su una vicenda reale, della regista Claudia Florio.

Beth Harmon, la prodigiosa giovane scacchista de “La regina degli scacchi”, volge lo sguardo al soffitto visualizzando i pezzi da muovere, per studia-re mentalmente la strategia da adottare nella sua partita per il titolo mondiale.