Ospiterà il Congresso del Collegamento Svizzero in Italia
Senza controllo e senza freni. Quando si vuol parlare di Cosenza e quando si vuole spiegarla a chi poco la conosce, bisogna comportarsi in questo modo: senza controllo e senza freni. Perché è solo così che si riuscirà a rendere l’idea di cosa possa rappresentare questa città nel cuore e nell’anima di chi la conosce e di chi la ama senza chiedere o pretendere nulla in cambio.
Cosenza è un inciampo di Paradiso, una sua proiezione, un angolo di eternità, un’ipotesi sovrannaturale di unicità. E non c’entra la sua bellezza (che in alcuni casi lascia senza fiato e provoca piacevoli crampi allo stomaco); non c’entra nemmeno la sua storia millenaria che ne fa un crocevia della cultura mondiale; e non c’entra, infine, nemmeno la sua continua volontà di guardare oltre se stessa e oltre ciò che normalmente appare. A volte si ha la sensazione che il cielo (che tutto il cielo) stia trattenendo il fiato guardando ciò che succede in questi quartieri nei quali la storia incontra la realtà dando vita alla fantasia, all’improvvisazione geniale, alla vita.
La piazza e il Duomo
A volte sembra che il cuore dell’universo pulsi solo e soltanto qui, al centro dell’avveniristica Piazza Bilotti, sotto l’austero e imponente altare del Duomo, sopra e sotto il magico palcoscenico del Rendano, ai piedi del monumento dell’eterno Ciardullo, nel suono musicale sempre uguale e sempre diverso dei “tridici canali”, sugli spalti colorati e rumorosi del San Vito-Marulla, nel pensiero sempre attuale e sempre anticipatore di Telesio, nella capacità di accogliere gli ultimi facendoli sentire centrali, nella bellezza della Madonna del Pilerio che abbraccia secoli e millenni di fede memorizzandola in ogni suo sguardo, nella vicinanza (che rasenta l’amicizia) con Francesco di Paola, nei vicoli stretti come rughe del volto di un centenario che dividono, riuniscono e conservano vita nel suo bellissimo centro storico, in quell’acqua che, usurpando il letto di due fiumi, la attraversa rendendola indimenticabile, nella bellezza di un dialetto che riconcilia con l’assenza di comunicazione che pervade la nostra epoca e le nostre anime, nell’infinita eternità delle stanze senza tempo del Castello, nella leggenda di Alarico, Visigoto che il destino decise di far morire proprio qui quasi a voler ingentilire la sua anima barbara.
Al pari dell’eterna Roma, Cosenza poggia il suo essere su sette colli che la dominano con discrezione e in silenzio, come se fosse stata la Storia a decidere come questo gioiello andasse protetto, salvaguardato e preservato. Sembra che all’interno di questi pochi chilometri succeda ogni giorno di tutto: si nasce, si muore, si parla, si grida. E poi si litiga, si ama, si parte, si torna. Insomma, si vive spesso nella convinzione che questa sia la migliore delle vite. E qui si vive di rivalità che affondano le radici nella storia, si vive di convinzioni che trovano riscontro nel passato, si vive di certezze che spesso tracimano nella presunzione. Si vive tra il mare ed i monti, tra la devozione per quanto c’è di più sacro ed il profano amore per la bestemmia, la discussione, la polemica.
I Cosentini
E poi ci sono i Cosentini, scritto maiuscolo come se fossero un vero e proprio popolo. Emigrante per necessità e turista per moda, calcolatore ed istintivo, irriverente e pensatore, generoso e parsimonioso, silano e cittadino, prima “cusentinu” e poi (ma solo poi) anche Italiano.
A pochi chilometri da Cosenza, salendo verso l’estremità del cielo, esiste quanto di meglio proprio il cielo ha voluto riprodurre in terra. Dopo aver attraversato una miriade di paesini popolati da un’umanità variegata e indispensabile, si arriva finalmente a scoprire un aspetto del mondo che si cela gelosamente nei meandri illogici della storia. Eccoci sull’altopiano silano, polmone di una regione a cui spesso manca il respiro e ritrovo di sensazioni irripetibili da assaporare altrove. La vita qui è cosa diversa: è un premio, una conquista, una finalità. Altri profumi, altre fragranze, altri sapori. Quando lo sguardo si posa su quanto ti circonda, si sazia e diventa obeso di gratitudine.
La Sila
La Sila confina col nostro cuore e si espande nella nostra anima. Non è solo una montagna, non è solo un alternarsi di vallate e fiumi, di laghi d’altura e scorci paradisiaci, di cieli precipitati a terra e di panorami sottratti all’infinito: la Sila è un viaggio da compiere con la consapevolezza di trovarsi in un contesto che sin dalla notte dei tempi sorprende e meraviglia per la sua bellezza che non può essere opera solo dell’uomo. Infatti, l’altopiano silano è frutto di una divinità ai massimi livelli e davvero merita di essere inserita nell’elenco delle cose da visitare almeno una volta nella vita. D’estate verde e azzurro si fondono in un colore nuovo che dipinge scenari unici al mondo e che rende l’intero contesto degno di far parte della più importante collezione d’arte del mondo, mentre d’inverno a tutto ciò si aggiunge l’illuminante bianco di una neve che, a differenza di quella che cade altrove, qui non copre, ma esalta la bellezza di forme irregolari e improvvisate. Qui si respira l’aria più pura del mondo (test effettuato da organismi internazionali) e l’uomo diventa un complemento della natura. Quella stessa natura ancora selvaggia, spesso inesplorata e vergine, offre l’immagine di una Calabria tutta da scoprire, da amare e da difendere.
Ma la Sila è anche fonte di inesauribile ricchezza ancora non pienamente sfruttata. Da sempre vi si praticano l’agricoltura e l’allevamento di ovini e caprini che hanno dato vita ad una buona produzione di derivati del latte esportati e famosi in tutto il mondo. Resistono, soprattutto nelle zone più interne anche antichi e gloriosi mestieri come quelli dei carbonai, dei fungaioli, degli scalpellini e dei tessitori. Ovviamente anche il turismo (sia invernale che estivo) ha la sua importanza che si riflette su uno sviluppo dell’intero territorio.
Il lupo
Ma nell’immaginario collettivo la Sila si identifica con il famoso LUPO che è un po’ il simbolo dell’intero altopiano. Non è impresa impossibile incontrarne qualcuno se ci si avventura negli sterminati boschi e nelle infinite foreste che accarezzano i laghi d’altura trasformando semplici paesaggi in istantanee dai contorni fiabeschi. Inoltre, sempre all’interno di questo gioiello montano, è possibile incontrare centri abitati che custodiscono tesori culturali e storici di infinito valore. Basti pensare a San Giovanni in Fiore, paese che l’Abate Gioacchino da Fiore (nato a Celico, paesino della collana presilana) ha consegnato direttamente alla storia. E se la cultura non dovesse bastare ad attrarre la curiosità del visitatore, ecco prorompere i famosi centri turistici di Camigliatello e Lorica. Ma forse chi volesse capire cos’è realmente la Sila, il suo passato e la sua essenza e per trovare le vere sorprese, è necessario addentrarsi nell’interno e incontrare gli sguardi e le storie degli abitanti dei cosiddetti Villaggi Silani. Storie che raccontano di briganti, di emigrazione, di ingiustizie, di immani sacrifici che sommati hanno riscritto le vicende umane dell’altopiano. Colle Lungo, Righio, Salerni, Lagarò, Croce di Magara: agli sprovveduti possono sembrare solo nomi buttati qua e là e invece sono segmenti di una linea che dalla storia arriva splendidamente fino ad un futuro ancora tutto da scrivere.
La solennità eterna della Sila sta proprio in questo piccolo grande segreto. Si palesa in un ricordo ed in un progetto, in una leggenda ed in un sogno, in una realtà virtuale e nella vita concreta e tangibile che si incontra nelle pieghe di mille vite tutte uguali e tutte diverse tra loro.
Noi possiamo limitarci al racconto: le spiegazioni le lasciamo alla sensibilità di occhi, menti e cuori che decideranno di visitare la Sila e di impossessarsene perché chi la vede anche solo una volta, ne diventa al contempo padrone e schiavo.
Fiorenzo Pantusa
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