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Intervista a Davide Enea Casarin

Attore, Autore e Content Creator tra arte e psicologia

Davide Enea Casarin è uno di quei talenti che non amano essere racchiusi in un’unica etichetta, facendo dell’arte un territorio da esplorare senza confini.

Italo – svizzero, cresciuto tra due culture e diplomato alla Paolo Grassi di Milano, si muove tra cinema, teatro, televisione, stand-up comedy e musica con una naturalezza che sorprende. Ma il suo percorso non si limita al puro intrattenimento: per lui l’arte è anche uno strumento di introspezione e di benessere psicologico, capace di aprire spazi interiori e di offrire nuove prospettive. Con lui andremo a scoprire come dietro ogni performance ci sia non solo studio e disciplina, ma anche la volontà di trasformare il palcoscenico in un luogo di incontro e di cura.

Ciao Davide, lavori tra Italia e Svizzera. Puoi raccontarci com’è nata la tua passione verso il mondo dello spettacolo e della recitazione?

«Ho iniziato a recitare da bambino, a scuola, quando avevo circa sei o sette anni. Ero un bambino molto timido, e il teatro è stato per me un modo per uscire dal guscio, per conoscermi meglio e per connettermi agli altri. Sul palco mi sentivo libero di esprimere parti di me che nella vita quotidiana restavano nascoste. Col tempo questa passione è cresciuta e, dopo la scuola, ho deciso di tentare i provini per le maggiori accademie di recitazione italiane: sono stato ammesso alla Paolo Grassi di Milano, dove mi sono diplomato.

Oggi vedo la recitazione come un luogo in cui poter dare voce alle diverse parti di me, anche quelle più nascoste o contraddittorie. Per me non si tratta di indossare una maschera, ma di toglierla forse, per far emergere ciò che mi appartiene profondamente attraverso un personaggio. In questo senso, ogni ruolo diventa anche un modo per conoscermi meglio e per esplorare l’umanità in tutte le sue sfumature.»

Qual è stato il tuo iter di formazione come attore?

«Fin da bambino ho frequentato diverse realtà teatrali, in particolare il Teatro Azzurro di Locarno e il MAT di Lugano.

La formazione più importante poi è arrivata con l’ingresso alla Paolo Grassi di Milano.

Dopo l’Accademia ho capito che quello non era un punto d’arrivo, ma solo l’inizio: continuo tuttora a formarmi partecipando a workshop e percorsi di approfondimento. Inoltre, sto completando una scuola di Counseling e sto studiando psicologia, questo mi aiuta a lavorare su me stesso e sulle mie emozioni, perché conoscere e gestire il proprio mondo interiore è fondamentale, sia in scena che nella vita.»

Nonostante la tua giovane età, hai già alle spalle un percorso ricco di esperienze: hai lavorato in diverse produzioni, sia per il piccolo che per il grande schermo. Vuoi raccontarci alcune di queste?

«Uno dei primi lavori stato “Il cattivo poeta” di Gianluca Iodice con Sergio Castellitto. Interpretavo un fascista, ed è stata la mia prima esperienza su un grande set. Lo ricordo con affetto anche perché lì è nata un’amicizia che dura tuttora.

Più recentemente ho lavorato alla serie “The Saints”, prodotta da Martin Scorsese. È stata un’esperienza intensa e molto formativa: abbiamo girato in Marocco con ritmi davvero serrati, un set impegnativo ma ricco di stimoli.

Un’altra esperienza bellissima è stata “Romulus”, dove recitavamo in protolatino. Avevo una parte piccola, ma mi ha colpito moltissimo l’atmosfera sul set: sembrava davvero di essere tornati nell’antica Roma, con le scenografie illuminate solo da fiaccole e i cavalli sullo sfondo.»

Come ti prepari per un ruolo? Hai un metodo particolare o ti lasci guidare dall’istinto?

«Per prepararmi parto sempre da un’analisi: obiettivi del personaggio, obiettivi della scena, azioni. È uno scheletro tecnico, poi però cerco punti di contatto tra me e il personaggio, così che il ruolo diventi un modo per esprimere una parte di me. Non cerco di diventare “altro da me”, al contrario, cerco di far esprimere parti di me stesso, come facciamo tutti nella vita: parliamo e ci comportiamo diversamente a seconda delle persone e delle situazioni. Recitare è trovare la modalità di stare in relazione del personaggio e farla propria, così che ogni battuta sia connessa a qualcosa di vero, che mi riguarda.»

Il tuo essere svizzero e attore ti ha portato a realizzare uno spettacolo di stand-up Comedy e musica legato ai temi della Svizzera. Com’è nata questa idea e cosa vuoi comunicare attraverso questo progetto?

«Avevo scritto delle canzoni e ho fatto un paio di serate in cui le ho portate, ma sentivo il bisogno di aggiungere delle introduzioni comiche per alleggerire lo spettacolo. Poi quelle introduzioni sono diventate veri e propri monologhi di stand-up, ed è nato uno spettacolo che mescola musica e comicità.

Ho scelto di parlare della Svizzera perché è parte di me: lì sono cresciuto, la mia famiglia stretta vive lì. È anche un tema poco esplorato nella stand-up comedy, mi diverte raccontare stereotipi, modi di dire e curiosità, creando momenti di gioco con il pubblico. Una delle canzoni che porto in scena, “Il mare di Lugano”, è in parte una lettera d’amore alla Svizzera e al Ticino, per parlare con nostalgia e ironia a chi, come me, vive lontano da casa e porta con sé un pezzo di quella terra.»

Sei attivo sui social dove condividi contenuti comici e riflessioni, cosa desideri trasmettere alla tua community?

«Sono partito dai temi dello spettacolo, cerco di parlare del rapporto con sé stessi. Ho iniziato a condividere contenuti comici su questi temi, e con molto piacere ho visto che tantissima gente ci si è riconosciuta. Voglio comunicare l’importanza di prendersi cura di sé e normalizzare quella “follia” che è in tutti noi: fare cose fuori dall’ordinario non è sbagliato, purché non faccia male a noi o agli altri.

Vorrei creare una community autoironica e accogliente, e in futuro, una volta diventato psicologo, poter anche offrire un reale supporto a chi ne ha bisogno.»

Attualmente ti stai formando come counselor e psicologo, cosa rappresenta per te questo percorso?

«Stanislavskij parlava del lavoro dell’attore su sé stesso, cioè di un lavoro interiore necessario per costruire un personaggio. Io invece vorrei occuparmi del lavoro dell’attore con sé stesso: lavorare sulla relazione con sé stesso mentre interpreta e, soprattutto, mentre vive.

È la direzione in cui voglio andare. Ci sono molti insegnati che si occupano di aiutare gli attori a fare la scena, io vorrei occuparmi di come stanno mentre la interpretano. Questa è un aspetto che mi è mancato nel mio percorso di formazione (da giovane e anche da adulto perché la formazione non finisce mai) e di cui sarò molto felice di prendermi cura. 

Voglio mettere la mia esperienza nella recitazione al servizio della relazione d’aiuto, integrando ciò che ho imparato nel mio percorso di attore con la psicologia e il counseling. È un approccio che si rivolge a tutti, attori e non, perché il tema non è la recitazione, ma la relazione con sé stessi e con gli altri.»

Com’è nata l’idea di creare un gruppo di psicoterapia dedicato agli attori? Cosa comporta coniugare psicoterapia e recitazione?

«L’idea di creare un gruppo di psicoterapia per attori nasce da un bisogno personale e dalla consapevolezza delle sfide di questo mestiere: la precarietà, il continuo incontro col rifiuto e l’uso intenso del proprio mondo emotivo. Ho voluto creare uno spazio sicuro dove prendersi cura di sé, a un costo accessibile.

Il gruppo è guidato da un medico, psicoterapeuta e regista, io partecipo come tutor, ed è aperto a tutti, non solo agli attori. Ci incontriamo una volta al mese per lavorare sulla relazione con noi stessi, ascoltando, condividendo e talvolta mettendo in scena parti di noi. È un’esperienza profondamente arricchente.»

Che consigli ti sentiresti di dare a un giovane che vuole affacciarsi al mondo della recitazione e della comicità?

«Formati e prenditi cura di te. Mentre impari il mestiere, ricorda che puoi essere fragile, avere paura o fallire e va bene così. Fallire è parte del processo: è lì che si imparano le cose più importanti. Gli errori non sono sbagli da evitare, sono opportunità diverse da quelle che avevi immaginato, spesso sono più interessanti delle cose corrette.

Non colpevolizzarti se qualcosa non va come speravi. Non dipende tutto da te. Se non ti prendono (in una scuola, per un ruolo, in qualsiasi occasione in realtà) non è un giudizio sul tuo valore. Formati volendoti bene e prendendoti per mano con amore.

Per la comicità, parti da te stesso. Parla di ciò che conosci, anche delle piccole cose: un ricordo, una sensazione, quella volta che… L’ironia è uno strumento potente per affrontare il dolore e per alleggerire la vita. L’autoironia, in particolare, è fondamentale: ti permette di non prenderti troppo sul serio, di non difendere la tua immagine a tutti i costi, e questo è un bel risparmio di energia, soprattutto nella società di oggi che tende a scambiare l’immagine per l’identità. Se con autoironia non prendi troppo sul serio la tua immagine, puoi muoverti con più leggerezza e la vita ha un sapore più piacevole.»

Nicola Magni

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