“Il peggio (non) è passato: aneddoti di una mamma italiana in Svizzera” di Linda Fallea Buscemi – Islandbooks
In questi giorni, almeno nella Svizzera tedesca, è ricominciata la scuola. Ciò segna, per moltissime famiglie, la fine delle vacanze estive (oh nooo!!!) e l’inizio del tran-tran quotidiano. I miei figli, credo non accetteranno mai che i loro cugini in Italia abbiano tre mesi -sottolineo tre mesi- di vacanze estive (dai primi di giugno ai primi di settembre), contro le loro cinque settimane concesse dalla scuola svizzera. Ogni volta è tutto un discutere sul fatto che, in fin dei conti, le cinque settimane di ferie estive non sono male se si considera che ogni due mesi e mezzo -almeno qui nella Svizzera tedesca- sono previste due meravigliose settimane di vacanza: in autunno, a Natale, a febbraio, ad aprile, più le vacanze di Pasqua e una serie di ponti, soprattutto in primavera. Una delle ultime notti estive trascorse in Italia, ho sentito il mio piccolo farfugliare nel sonno qualcosa in tedesco; mi sono avvicinata e … Ein, Zwei, Drei, 1, 2, 3 … stava contando. Mi sono accostata al suo visino e pianissimo, senza svegliarlo, gli ho chiesto cosa stesse calcolando. Niente. Continuava a contare 1, 2, 3 … e poi sottolineava Dreiiii! Come per dire ma ti rendi conto? Dietro mia insistenza, ha risposto corrucciato “Monaten (mesi): drei Monaaaten”!!!! (scandendo bene le parole). Insomma, dato il tema delle lunghe vacanze estive nelle scuole italiane discusso la sera prima, ne deduco che anche in sogno non si dava pace per l’imminente inizio della scuola, qui a Zurigo. In effetti, la scuola non è mai un tema amato al cento per cento dai bambini e a quell’età non ci si può certo aspettare che il valore dell’istruzione sia compreso a pieno, neppure -più avanti negli anni- quando da ragazzi le priorità della vita sembrerebbero essere tutt’altre. Proprio in questi giorni d’inizio dell’anno scolastico hanno trasmesso in tele un film che veramente adoro: Carpe diem – L’attimo fuggente, magistralmente interpretato da un fantastico Robin Williams nel ruolo del protagonista, il prof. John Keating. Ogni volta che guardo questo film mi sembra di trovare, nella profondità del suo messaggio, il senso di ciò che vorrei trasmettere ai miei figli. Dunque, ricerco avidamente su YouTube alcune scene del film, quelle che mi hanno colpito maggiormente, in modo da poter riascoltarne le parole. C’è una scena, per me particolarmente significativa, nella quale il professore -all’aperto, fuori dalla classe- fa marciare per un po’ i suoi alunni e sottolinea, sorridendo, la differente andatura di alcuni di loro: c’è chi avanza fiero, chi pieno di passione, poi c’è quello dall’incedere piuttosto timoroso, e via dicendo; tra le risa dei ragazzi, dice di non averli fatti marciare per deriderli, ma per affrontare la questione del conformismo, <<la difficoltà di mantenere le proprie convinzioni di fronte agli altri>>. In un battito di ciglia, la mia mente torna indietro nel tempo e mi ricordo perfettamente quanto sia difficile crescere, maturare, affinare la propria personalità nel continuo sforzo di adattare se stessi a quello che la società vuole (anzi pretende), cercando, al tempo stesso, di mantenere integra la propria individualità. Il professore -col volto di Robin Williams- si fa serio e si rivolge ai suoi ragazzi dicendo <<Ci teniamo tutti ad essere accettati, ma dovete credere che i vostri pensieri siano unici e vostri, anche se ad altri sembrano strani e impopolari, anche se il gregge dice “non è beeee-ne”>> (… belando come una pecora) e continua << Voglio che troviate la vostra camminata, adesso! Il vostro modo di correre e passeggiare in ogni direzione, comunque vogliate, che sia fiero o che sia sciocco, sta a voi. Giovanotti, il cortile è vostro! [...] Andate pure controcorrente!>>. E lo dice con uno sguardo, un sorriso enigmatico così penetrante che nessun altro, meglio di Robin Williams, avrebbe potuto regalarci. Sono parole che vanno lette e rilette, interiorizzate, parole che potrebbero aiutare soprattutto i nostri adolescenti a comprendere l’importanza della propria unicità; parole semplici, profondamente vere, che se recepite con attenzione potrebbero avere un impatto non indifferente in chi le ascolta, giovani e adulti che siano. Il film in questione è del 1989, quando ragazzina lo ero anch’io. Negli anni l’ho rivisto più volte, ma certe parole sentite oggi, da madre quale sono, hanno un effetto ancora più dirompente. Mi rivedo quando andavo a scuola, sempre di corsa, trafelata, con il mal di testa e uno zaino talmente grande e pesante che il mio corpo - magro com’era allora - stentava a fare da contrappeso; quando la coscienza di me … era ancora tutta in divenire. Ripenso agli anni nei quali la consapevolezza di me stessa era cosa complicata da comprendere e astrusa da gestire (pari quasi alla mia indomabile chioma - anni 80 - ciuffo compreso). Certo, il professor Keating era proprio un insegnante sui generis, ma ce ne fossero di personaggi così nella vita dei nostri figli! Naturalmente credo che, in qualità di genitori, non ci si possa togliere di dosso la responsabilità nei confronti dei bambini, aspettando che sia solo la scuola ad accompagnarli nella pubertà, prima, e nell’adolescenza, dopo. È facile pretendere che i nostri figli siano compresi e seguiti dagli insegnanti, delegando, senza poi interessarci in prima persona di loro, lasciandoli soli … tuttalpiù davanti alla tele, alla Playstation o al pc. Non basta sapere a casa di chi trascorre il pomeriggio nostro figlio per essere un bravo genitore; non è sufficiente dargli un orario per il rientro, che lui rigorosamente dovrà rispettare; quello che gli serve non è il cellulare per poterlo rintracciare (e stare noi più tranquilli) ma il nostro orecchio - per poterlo ascoltare -, il nostro cuore, il nostro sguardo, il tempo prezioso di cui disponiamo e comunque, sempre, il nostro sostegno. Credo che il male più diffuso, oggi, sia il non sentirsi ascoltati, capiti, la vergogna di scoprire le proprie debolezze e mostrarle agli altri … Credo, in buona sostanza, che terribilmente diffusa e più dolorosa sia la solitudine! E come il prof. Keating, glielo dobbiamo dire anche noi ai nostri ragazzi <<figlioli, dovete combattere per trovare la vostra voce! Più tardi cominciate a farlo, più grosso è il rischio di non trovarla affatto. Thoreau dice che “molti uomini hanno vita di quieta disperazione” … non vi rassegnate a questo! Ribellatevi! Non affogatevi nella pigrizia mentale. Guardatevi intorno: osate cambiare e cercate nuove strade!>>.
lindafallea.buscemi@hotmail.com
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