Intervista a Marco Chiesa, Presidente dell’Unione democratica di centro

«Non accetteremo mai un accordo istituzionale che ci costringe a riprendere il diritto europeo»

Nel secondo appuntamento con un presidente di partito, Marco Chiesa, Presidente della vittoriosa UDC alle ultime elezioni nazionali ci parla di come vive la sua carica, quali sono le sfide e le ricette per la Svizzera e come vede il nostro paese tra 20 anni.

Da quasi 4 anni è presidente dell’UDC nazionale. È la prima volta che un Ticinese ricopre questa carica. Come sta vivendo questa esperienza e quali sono le sue sfide principali?

È un’esperienza straordinaria e molto impegnativa. Comporta grandi sacrifici, in particolare a livello familiare; non nascondo però l’onore di essere stato scelto come primo rappresentante della Svizzera latina alla testa del primo partito svizzero. Il mio obiettivo è sempre stato quello di creare una squadra di persone motivate, un buon clima all’interno del partito e, soprattutto, mantenere una linea politica coerente e chiara.

L’UDC è uscito come vincitore dalle passate elezioni federali (il suo partito è cresciuto dello +2,3%, e di 9 seggi in Consiglio nazionale, ndr.). Si aspettava questa vittoria e a cosa riconduce il successo, dopo che 4 anni fa erano stati persi 12 seggi?

Siamo andati molto vicino al nostro obiettivo, quello di riguadagnare 100'000 elettori. Al di là dei numeri sono molto felice che il mio partito abbia guadagnato 4 seggi supplementari nella Svizzera romanda, 4 nella Svizzera tedesca e 1 in Ticino. Ciò testimonia il fatto che il nostro impegno politico è stato apprezzato. Il mio partito non deve piegarsi al politicamente corretto, ma deve con coraggio presentare delle soluzioni a dei problemi concreti. Mi riferisco in particolare alla situazione di caos nel settore dell’asilo, all’immigrazione di massa che ci sta spingendo verso una Svizzera da 10 milioni di abitanti e al grande tema dell’approvvigionamento energetico.

Potrebbe descriverci l’elettore tipico dell’UDC?

È un elettore tendenzialmente liberal conservatore. Liberale in economia e conservatore nei valori. Io mi spingo a dire un elettore con i piedi per terra.

Molti accreditano il successo dell’UDC alla comunicazione populista e agli slogan sensazionalistici. Come risposte a questa “accusa”?

Se populista significa essere in sintonia con la popolazione allora non posso che confermarlo. Molti danno un’accezione negativa a questo termine, io penso al contrario che sia fondamentale per chi deve prendere delle decisioni ascoltare le cittadine e i cittadini. In Svizzera d’altronde è proprio il popolo che comanda, grazie alla democrazia diretta, a differenza di ciò che succede in altri Paesi.

Storicamente la Svizzera di lingua francese ha faticato a seguire le ricette dell’UDC. Le scorse elezioni hanno segnato una certa crescita anche in Romandia. Cosa sta cambiando in questa regione?

I problemi del nostro Paese sono sotto gli occhi di tutti. Le derive delle politiche rossoverdi creano situazioni indigeste ovunque. All’ideologia preferisco il pragmatismo e questa buona ricetta vale su tutto il territorio.

«La Svizzera funziona se vi è comprensione tra chi abita nella città e chi nelle agglomerazioni e nelle campagne»

Quali sono, secondo lei, le 3 principali sfide della Svizzera del prossimo quadriennio, e come intendete affrontarle come UDC?

Le relazioni con l’Unione europea, l’approvvigionamento energetico del Paese e la politica migratoria sono tre diverse sfide che il nostro Paese dovrà affrontare. Se vogliamo mantenere la nostra indipendenza e la nostra sicurezza non possiamo permetterci di diventare una colonia dell’Unione europea. Non accetteremo mai un accordo istituzionale che ci costringe a riprendere il diritto europeo, i cittadini svizzeri devono sempre avere l’ultima parola.

L’UDC ha vissuto la sua crescita soprattutto con il tema Europa: dall’opposizione all’adesione allo Spazio economico europeo (SEE), alla contrarietà di un’adesione dell’UE fino a combattere accordi bilaterali e accordo quadro. Eppure molti esponenti dell’UDC sono imprenditori che esportano in tutto il mondo e dipendono dalla reperibilità di manodopera qualificata. Non è un controsenso?

Ogni anno 80'000 persone si stabiliscono in Svizzera. Se questa immigrazione di massa servisse a colmare le lacune sul mercato del lavoro avremmo da lungo tempo risolto i problemi di mancanza di manodopera. In verità la Svizzera, da decenni, non sta più gestendo la sua immigrazione e non arrivano i profili che necessitiamo. Molti immigrano nel nostro stato sociale, vivono sulle spalle dei contribuenti svizzeri e non forniscono alcun contributo al Paese. Per questo motivo è necessario privilegiare e valorizzare le risorse già presenti sul territorio e lasciare immigrare solo persone con le competenze mancanti. Altrimenti raggiungeremo presto i 10 milioni di abitanti senza tuttavia risolvere le sfide sul nostro mercato del lavoro.

«Vogliamo che la Svizzera rimanga quell’isola felice dove lo Stato non invade la sfera privata, la sicurezza è garantita e le future generazioni possono costruire il proprio benessere.»

Negli ultimi anni lei ha portato all’opinione pubblica la differenza culturale tra regioni rurali e città. Dove identifica queste differenze? Rischiano di essere un problema per la Svizzera e cosa fate come UDC per rispondere al problema da lei denunciato?

Ci si dimentica troppo spesso delle esigenze delle nostre regioni rurali. In molti casi, penso ad esempio, alla votazione sul CO2, il prezzo delle decisioni cittadine sarebbe stato pagato da chi ha un altro stile e tenore di vita. La Svizzera funziona se vi è comprensione tra chi abita nella città e chi nelle agglomerazioni e nelle campagne. Combattere iniziative e proposte ideologiche e penalizzanti è un nostro dovere e garantisce la coesione nazionale.

Come vede la Svizzera tra 20 anni?

Non desidero per i miei figli una Svizzera da 10 milioni di abitanti, per questo abbiamo lanciato un’iniziativa volta a far sì che il nostro Paese rimanga quell’isola felice dove lo Stato non invade la sfera privata, la sicurezza è garantita e le future generazioni possono costruire il proprio benessere. Per questo dobbiamo rimanere indipendenti e liberi. Per questo serve un’UDC forte e determinata.

Angelo Geninazzi
Gazzetta Svizzera

Biografia

Marco Chiesa nasce nel 1974 a Lugano, nel 1999 consegue la licenza in scienze economiche e sociali, indirizzo economia d'impresa, presso l'Università di Friburgo.

Nel 2004 entra nel legislativo della Città di Lugano, nel 2007 nel Gran Consiglio ticinese Nel 2008 prosegue il mandato comunale in seno al legislativo della città di Lugano.

Durante la legislatura 2011-2015 è capogruppo dell'UDC in Gran Consiglio.

Nel 2017 assume la carica di Presidente della Delegazione svizzera per i rapporti col Parlamento italiano mentre nel 2018 è nominato Vicepresidente dell’UDC Svizzera e Vicepresidente dell’ASNI - Associazione per una Svizzera neutrale e indipendente.

Nel 2019 è eletto al Consiglio degli Stati, la camera che rappresenta i Cantoni.

Il 22 agosto 2020, Chiesa viene eletto successore del bernese Albert Rösti, diventando così il primo presidente nazionale dell’UDC non appartenente alla Svizzera tedesca.

Il 19 novembre 2023 si riconferma in Consiglio di Stato, con il miglior risultato elettorale.

Questa intervista si inserisce nella serie di dialoghi con i presidenti di partito svizzeri. L’obiettivo è quello di analizzare insieme ai diretti protagonisti il risultato emerso dalle recenti elezioni federali, approfondendo con spirito critico le posizioni dei principali partiti svizzeri e illustrare i retroscena della politica federale. Nell’edizione di dicembre era stato intervistato il Presidente PLR, Thierry Burkhart.

Una situazione che poco si addice all'immagine di pulizia della Svizzera: rifiuti di plastica sulle rive del lago di Ginevra, nella riserva naturale del Fort, vicino a Noville (VD). Foto Keystone

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