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Intervista esclusiva di Gazzetta a Marcello Foa

    «I media stanno male. Il futuro dell’informazione è digitale, ma avrà un prezzo»

    Intervista esclusiva di Gazzetta a Marcello Foa, giornalista e docente universitario che ha sviluppato la sua carriera in Svizzera e in Italia, culminata con la presidenza RAI 2018-2021.

    Marcello Foa, come sta il mondo dei media oggi? La chiusura di testate giornalistiche è giunta al capolinea o siamo ancora “nel pieno dello sviluppo”?

    Il mondo dei media continua a stare male e non si vede una soluzione a breve. I media tradizionali (giornali ma qualche tempo anche tv) parlano a un pubblico sempre più anziano, mentre le testate online hanno enormi difficoltà a finanziarsi perché il 90% della pubblicità online va a Google, Meta (Facebook) e Amazon. Inoltre ormai sono sempre di più gli algoritmi a determinare la gerarchia delle notizie sui social e sui motori di ricerca, il che svilisce il ruolo del giornalisti. Questo non significa che tutte le testate moriranno, ma oggi l’editoria è costretta a ideare nuovi modelli di business e questo è complicato. Di certo l’era d’oro dei media tradizionali è tramontata.

    Pandemia e guerra: per alcune cerchie sono fenomeni eccessivamente cavalcati o accentuati dai (social) media. Lei cosa ne pensa?

    In realtà a cavalcare questi due grandi temi sono stati innanzitutto i media tradizionali, mentre i social media hanno fatto da cassa di risonanza amplificando il rumore mediatico. Ci sono alcune domande su cui dovremmo tutti riflettere: siamo stati informati correttamente? L’autorevolezza delle istituzioni, che hanno avuto un ruolo fondamentale quale fonte primaria delle notizie, è stata preservata? I media hanno svolto con l’indispensabile coraggio intellettuale il proprio ruolo di cane da guardia delle democrazia? È normale che i social media censurino le opinioni? Sono domande fondamentali tanto più sapendo che i sondaggi indicano un forte calo della fiducia nei media. Il rischio del pensiero unico è elevato e va contrastato per salvaguardare il nostro sistema.

    Lei, cittadino italo-svizzero, ha contribuito con la sua (prestigiosa) carriera giornalistica sia al mpondo dei media nella Svizzera italiana, sia in Italia. Quali sono le differenze culturali tra i due paesi che si traducono anche a livello dei media? Il luogo comune per il quale in Italia domina una stampa piuttosto scandalistica e in Svizzera tendenzialmente quella più “fattuale” corrisponde, almeno parzialmente, al vero?

    Direi che la stampa riflette il carattere nazionale. In Svizzera la stampa autorevole non è sensazionalista e non c’è grande interesse per i fatti di cronaca, anche perché il sistema giudiziario elvetico scoraggia la fuga di notizie; però ci sono giornali dichiaratamente popolari come il Blick, che in Italia mancano. In Italia i giornali sono troppo dipendenti dalla politica e prediligono la polemica rispetto all’analisi fattuale, mentre in genere i media dedicano grande spazio ai grandi delitti o all’informazione di intrattenimento su attori, sportivi, cantanti. È un’informazione più emotiva e drammatizzante, dove i confini fra stampa di qualità e stampa popolare, sono meno evidenti rispetto alla stampa elvetica.

    «La SRG oggi deve interrogarsi sulle ragioni che inducono diversi cittadini a non riconoscersi più nella sua proposta»

    Nel 2018 è stato nominato a presidente della RAI (mandato conclusosi nel 2021): come ha vissuto questa esperienza? Quali sono state le principali sfide e cosa non le mancherà di questo incarico?

    È stato un incarico molto prestigioso e molto impegnativo: la RAI ha dimensioni inimmaginabili per la Svizzera. Anche pressioni e tensioni sono molto più intense rispetto alle consuetudini elvetiche. Ho lasciato a Roma molti ricordi positivi: ho creato una squadra di collaboratori fantastici e in genere, nei limiti del mio mandato, ho promosso la valorizzazione delle professionalità interne, resistendo alle logiche della raccomandazione e dell’affiliazione politica, ho sviluppato eccellenti rapporti internazionali con le grandi tv pubbliche asiatiche ed europee. Non mi manca, invece, il modo in cui il mondo politico tratta la RAI, con invasioni di campo e strumentalizzazioni che superano la normale dialettica tra la politica e il servizio pubblico e che rendono doppiamente faticosa la gestione strategica dell’azienda.

    Anche la Svizzera ha la sua “RAI”, ossia la SRG. Come giudica il ruolo della radiotelevisione di Stato? È ancora al passo con i tempi? E cosa ne pensa dell’iniziativa per il dimezzamento, lanciata pochi mesi fa, che mira a ridurre sensibilmente il canone pagato dai cittadini?

    «L’informazione in Italia più emotiva e drammatizzante, dove i confini fra stampa di qualità e stampa popolare, sono meno evidenti rispetto alla stampa elvetica

    In un contesto in cui i media privati sono oggettivamente in difficoltà e in cui le grandi piattaforme internazionali hanno un potere enorme, il Servizio Pubblico ha potenzialmente una funzione sempre più importante, non dipendendo dagli introiti pubblicitari e potendo essere oggettivo ed equilibrato. Occorre però che rifletta la pluralità politica e culturale del Paese. La SRG oggi deve interrogarsi sulle ragioni che inducono diversi cittadini a non riconoscersi più nella sua proposta, come accade anche in molti altri Paesi europei. Se saprà riconquistare la stima e la fiducia del pubblico avrà un grande futuro, altrimenti correrà seri rischi come quelli rappresentati dall’iniziativa per il dimezzamento del canone.

    Nel suo saggio “Gli stregoni della notizia”, lei ha evidenziato il problema della manipolazione dell’informazione con largo anticipo rispetto al problema delle Fake news. Il futuro dei media e della nostra società sarà digitale?

    La tendenza alla digitalizzazione è marcata. Insegnando all’università, sia all’Usi che all’Università Cattolica di Milano, mi accorgo di come stiano cambiando sia la mentalità sia le abitudini delle nuove generazioni, che non guardano più la tv generalista, ascoltano meno la radio e non leggono mai i giornali. Il futuro dell’informazione è digitale, ma le ripercussioni sono considerevoli anche sulla nostra società. È uno dei temi che affronto nel mio prossimo saggio, “Il sistema (in)visibile”, che esce ai primi di ottobre, pubblicato da Guerini. Le implicazioni sono preoccupanti perché espongono tutta la popolazione al rischio di una manipolazione valoriale e cognitiva, oltre che informativa e politica. In gioco c’è l’autenticità della nostra democrazia.

    Bibliografia

    Marcello Foa, classe 1963, giornalista, manager, docente universitario.

    E' stato presidente della RAI dal 2018 al 2021 e ora insegna media management e comunicazione ai master dell’Università Cattolica a Milano e dell’Università della Svizzera italiana a Lugano. Allievo di Indro Montanelli a il Giornale, testata per la quale ha lavorato per vent’anni, è stato amministratore delegato del Gruppo del Corriere del Ticino. Grande esperto di relazioni internazionali e di comunicazione, è autore del saggio Gli stregoni della notizia e di due romanzi.