Per un paese come la Svizzera cedere una parte di sovranità è complicato

«Saranno necessari referendum e iniziative per rendere la Svizzera più solidale»

Michele Rossi, Delegato della Camera di commercio del Canton Ticino per le relazioni esterne, è stato membro della delegazione Svizzera in occasione delle negoziazioni degli Accordi Bilaterali I, nell’ambito dell’Ufficio integrazione. L’abbiamo incontrato per porgli alcune domande:

Michele Rossi, i due pacchetti di accordi bilaterali in vigore non bastano per regolare le relazioni tra Berna e Bruxelles? Perché un terzo pacchetto?

«Stiamo parlando del nostro partner commerciale di gran lunga più importante. È quindi comprensibile che ci siano sempre nuove esigenze da regolare tenuto conto da un lato che i bilaterali in vigore non coprono tutti i settori in cui abbiamo dei rapporti con Bruxelles e, d’altro canto, le situazioni evolvono e mutano nel tempo. Poi dobbiamo inoltre ricordare che il punto centrale di questi nuovi negoziati rimangono le questioni istituzionali che, come ha ripetutamente chiesto l’UE, vanno regolate anche per gli accordi di accesso al mercato già conclusi da anni. Volenti o nolenti, anche per questa ragione, è quindi un esercizio che dobbiamo comunque fare».

Tre anni fa è stato abbandonato il dialogo su un accordo quadro con l’Unione Europea. Quale è stato il vero motivo di questo abbandono e quali sarebbero stati i vantaggi rispetto agli “Accordi bilaterali 3”?

«L’opzione Accordo quadro è stata abbandonato in quanto le parti all’epoca non avevano trovato le intese necessarie in alcuni settori, principalmente relativi al mercato del lavoro. Senza l’appoggio dei sindacati sarebbe pertanto stato impossibile proseguire su quella strada. In realtà tra la via dell’Accordo quadro e quella dei Bilaterali 3 non c’è una grandissima differenza. Pure in questa nuova trattativa il Consiglio federale deve convincere i sindacati a sostenere nel tempo l’esercizio, e soprattutto a condividere il risultato che ne scaturirà al termine. Altrimenti non ci sarà la maggioranza necessaria per approvare i nuovi accordi. Anche pensando alle questioni istituzionali, nella sostanza non ci sono enormi differenze tra quanto previsto dall’Accordo quadro e le soluzioni che saranno integrate in ogni singolo accordo bilaterale. Infatti, a prescindere dalla forma scelta, alla fine dovremo comunque trovare una soluzione in materia di ripresa del diritto e di controllo dell’applicazione delle norme da parte di un tribunale».

In Svizzera il tema “Europa” è molto sentito e dibattuto. Dal 1992 e il No allo SEE si è votato svariate volte su come regolare gli accordi con il nostro principale partner. Ma la Svizzera non fa parte dell’UE, contrariamente a tutti i paesi confinanti. Perché?

«L’UE non è una “semplice” organizzazione internazionale, bensì un’organizzazione sovranazionale. Ciò significa che, a differenza delle “semplici” organizzazioni internazionali, Bruxelles in determinati ambiti può decidere a maggioranza. Decidere a maggioranza significa che un gruppo di Stati (maggioritari) può imporre una decisione a un altro gruppo di Stati (minoritari). Detto altrimenti, uno Stato in minoranza può essere tenuto ad accettare una decisione che non ha condiviso. Entrare in una struttura di questo tipo significa essere disposti a cedere all’organizzazione parte della propria sovranità. Probabilmente per un paese come la Svizzera, in cui i principi di neutralità e di indipendenza hanno un valore particolare, compiere un passo del genere è più complicato che per altri».

«Gli accordi bilaterali sono un privilegio per la Svizzera, da tenersi stretto»

Tra le regioni più scettiche agli accordi bilaterali vi è sempre stato il Ticino, confinante con l’Italia. Per quale motivo?

«Il Ticino è sicuramente più esposto di altri Cantoni ad un certo tipo di concorrenza. In effetti, va considerato che in Lombardia vivono ca. 10 milioni di persone, mentre in Ticino poco più di 350'000. Inoltre, la differenza salariale è importante. Stando ai dati statistici il salario mediano in Lombardia è meno della metà di quello ticinese. L’entrata in vigore nel 2002 dell’accordo con l’UE sulla libera circolazione delle persone ha generato negli anni un importante aumento dei lavoratori frontalieri italiani, evidentemente attratti da un livello retributivo più alto. Tutto ciò ha generato una reazione di chiusura nei confronti della libera circolazione delle persone e dei bilaterali in generale. Anche se, guardando i dati statistici del mercato del lavoro ticinese, la disoccupazione negli ultimi anni è comunque diminuita e i salari sono, in generale, aumentati».

Non sarebbe più facile regolare una volta per tutte le questioni tra la Svizzera e il suo principale partner commerciale, aderendo all’Unione europea?

«Come già indicato, aderire significherebbe cedere parte della nostra sovranità all’UE. Non è un passo semplice da fare, soprattutto in Svizzera. Per contro gli accordi bilaterali rappresentano una soluzione tagliata su misura per la Svizzera, che può settorialmente partecipare al mercato unico europeo senza aderire. Purtroppo, nella confusione della discussione politica attuale, spesso ce ne dimentichiamo. Quale altro paese ha avuto questa possibilità? Si tratta davvero di un privilegio da tenersi stretto».

Quali sono a suo avviso i tre problemi principali dell’Europa attualmente?

«Innanzitutto la recente ricomparsa della guerra ai nostri confini mette in evidenza come l’UE sia un gigante “erbivoro” incapace da solo di difendersi dai giganti “carnivori” che invece occupano la scena internazionale. Per anni si è creduto che la sicurezza fosse garantita da accordi e diritto internazionali, globalizzazione economica, dichiarazioni politiche, istituzioni, ecc., ma l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ci ha bruscamente risvegliati da questo sogno. La sicurezza in Europa merita quindi un’attenzione immediata. Poi c’è il populismo che, di fronte a preoccupazioni legittime della gente, dà volutamente risposte non corrette che perseguono esclusivamente scopi elettorali. E l’UE in questo gioco non viene risparmiata, anzi. Basti vedere cosa è successo in Gran Bretagna con la Brexit. Un’ondata di populismo e di emozioni abilmente sfruttate ad arte ha spinto la maggioranza del popolo britannico a decidere l’uscita dall’UE, come se ciò potesse risolvere tutti i loro problemi. Ma i problemi sono rimasti, e ne sono arrivati di nuovi. In Gran Bretagna oggi si fa ad esempio fatica a trovare chi guida le autoambulanze, chi raccoglie i prodotti dell’agricoltura, chi lavora nei ristoranti… Infine, in Europa non ci sono più i politici e le persone in generale che avevano la memoria storica della Seconda guerra mondiale e che sapevano come il processo di integrazione europea sia in realtà un’avventura di grande successo, nonostante tutte le debolezze e i difetti che permangono. La Comunità economica europea, poi diventata UE, è infatti stata fondata negli anni ’50 per evitare che i paesi dell’Europa si facessero la guerra tra di loro (come è stato il caso per ben due volte tra il 1914 e il 1945). E questo obiettivo è stato raggiunto. Infatti, a prescindere dalle guerre in corso al di fuori dell’UE, al suo interno è stato possibile beneficiare di oltre 70 anni di pace. Una cosa mai vista prima! Con il passare delle generazioni questa consapevolezza sta venendo a mancare e di conseguenza anche il valore e l’importanza dell’UE purtroppo non vengono più percepiti correttamente».

Biografia

Michele Rossi si è laureato in diritto all’Università di Berna nel 1989 prima di conseguire il diploma di alti studi europei, a Bruges in Belgio (1991). Successivamente ha concluso il diploma di avvocato e quello di relazioni internazionali nell’ambito della scuola diplomatica spagnola a Madrid (1996). Attivo nel Servizio diplomatico svizzero fino al 2000, torna in Ticino e svolge la professione di avvocato fino al 2012. Dal 2013 è Delegato per le relazioni esterne presso la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti), con funzioni aggiunte di responsabile del Servizio giuridico e del Segretariato del Tribunale arbitrale di Lugano.

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