Residenza e smart-working all’estero

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Quali conseguenze fiscali in Italia?

Caro Avvocato,

ho letto il Suo interessante articolo sulla Gazzetta Svizzera di qualche mese fa e ho pensato subito di scriverle perché mi trovo in una situazione del tutto simile a quella della Lettrice con il marito che lavora in Svizzera.

In effetti, anche mio marito lavora come dipendente di una multinazionale in Svizzera francese, e si è recentemente trasferito a vivere lì in una casa in affitto abbastanza spaziosa e con giardino.

Io invece al momento vivo da sola in Italia nella casa di proprietà dei miei suoceri perché sono una dipendente di una società italiana ma lavoro gran parte del tempo da remoto.

Siamo entrambi svizzeri, non abbiamo figli e quindi io sto pensando di trasferirmi a mia volta da mio marito in Svizzera. Anche perché andare avanti e indietro per vedersi sta diventando faticoso per entrambi oltre che abbastanza oneroso.

L’unica cosa che mi frena è che non vorrei perdere il lavoro in Italia perché mi piace ed è anche retribuito bene per le nostre esigenze.

Ora, quello che volevo chiederLe io è se non posso trasferirmi in Svizzera e continuare a lavorare da là in smart working per il mio datore attuale? Per lui è indifferente dove mi trovo: spesso mi collegavo dal mare o dalla montagna e non penso che cambi qualcosa se lo faccio dalla Svizzera.

Ci sarebbero problemi fiscalmente o di qualche altro tipo?

La ringrazio anticipatamente se potrà rispondermi. Cordialmente

(S.H. – Milano)


Gentilissima Lettrice,

vedo con piacere che ci seguite con assiduità e quindi La ringrazio. Il tema della residenza, dello smart-working e, più in generale, della mobilità e delle sue implicazioni fiscali è quanto mai di interesse.

Questa nuova modalità di lavoro, da necessità è via via assurta per molti a requisito essenziale nella scelta del posto di lavoro.

Ogni situazione, però, ha le sue specificità e va sempre analizzata da un esperto fiscale. In questa sede ci limiteremo quindi, a fornire un quando generale e qualche suggerimento sulla base delle indicazioni che ci vengono fornite.

Smart-working o lavoro da remoto all’estero

L’argomento è talmente attuale che di recente, proprio data la diffusione e l’importanza che ha assunto il fenomeno del lavoro agile o telelavoro, se ne è occupata espressamente l’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 25/E del 18 agosto 2023.

Il provvedimento, emanato a seguito della legge 13 giugno 2023 n. 83 (di cui avevamo già scritto), dopo aver ribadito i noti concetti del TUIR sulla residenza fiscale in Italia (art. 2) – peraltro in via di ridefinizione secondo la legge-delega in materia fiscale (come pure già riferito su queste pagine) – affronta poi una serie di casi specifici, delineandone la disciplina. Essa peraltro tratta diffusamente anche il tema dei frontalieri che qui però non rileva.

La casistica analizzata dall’Agenzie delle Entrate varia a seconda della nazionalità del datore di lavoro o del contribuente, dell’iscrizione all’AIRE o meno, ma continua a basarsi sostanzialmente sulle regole abituali, e cioè sulla presenza o meno del lavoratore sul territorio italiano.

Ebbene uno dei casi analizzati è proprio quello di un soggetto non residente in Italia che dal Paese estero di residenza rende in remoto la sua prestazione lavorativa per un datore di lavoro italiano.

In questo caso, il lavoratore ai fini fiscali continua a mantenere la sua residenza all’estero a prescindere dalla sede italiana del datore di lavoro, e verrà dunque tassato solo nel Paese di residenza, non essendo assoggettabile ad imposizione in Italia, proprio per i criteri suddetti.

Altri casi analizzati sono, ad esempio, quello dello straniero non iscritto anagraficamente in Italia ma che vi dispone di un’abitazione ove trascorre più di metà anno con la famiglia, lavorando da remoto per un’azienda estera; oppure quello di un cittadino italiano che, pur iscritto all’AIRE, lavora dall’Italia con modalità agile per un datore di lavoro estero.

In entrambi i suddetti casi, spiega l’Agenzia, scatterebbe l’imposizione fiscale italiana.

In sostanza per l’Agenzia delle Entrate ciò che conta maggiormente è la presenza fisica, ed il lavoro da remoto si considera effettuato nel luogo in cui il dipendente si trova durante lo svolgimento dell’attività lavorativa per la quale viene remunerato.

Le Convenzioni contro le doppie imposizioni

La disciplina va poi coordinata con le Convenzioni contro le doppie imposizioni (CDI) di cui l’Italia è parte. Come è noto, e l’Agenzia lo riconosce espressamente, queste ultime prevalgono sulla normativa nazionale ed utilizzano le c.d. tie-breaker rules per risolvere i casi di conflitti di residenza (abitazione permanente, centro di interessi vitali, ecc.)

Con specifico riguardo al lavoro dipendente, il principio generale è quello della tassazione del reddito relativo nello Stato di residenza del lavoratore/contribuente – salvo che il lavoro sia svolto nell’altro Stato contraente, perché allora la remunerazione è soggetta ad imposizione concorrente dei due Stati.

In altre parole, se di norma vale la tassazione esclusiva nel luogo di residenza quando l’attività lavorativa è ivi svolta, nel caso i due Paesi non coincidano sorge un regime di tassazione concorrente dei predetti redditi.

Ciò vale anche per la Svizzera e l’Italia, secondo quanto previsto dalla CDI I-CH del 1976, in particolare dall’art. 15, per il quale la tassazione è esclusiva nello Stato di residenza se l’attività è ivi prestata, mentre se lo Stato della fonte (e cioè quello in cui è stata svolta l’attività lavorativa che ha prodotto il reddito) è diverso, sorge l’imposizione concorrente.

Vi è un’unica eccezione prevista al punto 2 dello stesso articolo, per la quale però devono sussistere contemporaneamente tre condizioni. Infatti, il dipendente che svolge l’attività in un altro Stato è tassato lo stesso solo nel suo Paese di residenza, purché:

  • soggiorni in tale altro Stato per periodi inferiori ai 183 giorni/anno;
  • la remunerazione è corrisposta da un datore che non abbia sede in tale Stato;
  • la remunerazione non è a carico di una stabile organizzazione del datore di lavoro nel luogo ove è svolta l’attività.

Conclusioni

Come abbiamo visto in uno degli esempi citati, se Lei si trasferisse nella Confederazione per raggiungere suo marito, acquisirebbe per l’Italia la residenza all’estero e, pur lavorando per un’azienda italiana, il Suo reddito verrebbe tassato esclusivamente in Svizzera, purché però la prestazione lavorativa, ancorché in smart-working, venga resa in territorio elvetico. Laddove venisse svolta anche parzialmente in Italia, si potrebbe generare una tassazione concorrente dei due Stati.

Si tratta poi di vedere in questi casi anche se l’azienda è d’accordo e può consentire a tale soluzione, nonché quali sono le relative implicazioni fiscali dal lato datoriale.

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Spero di essere stato sufficientemente chiaro in una materia non così semplice, e proprio per questo consiglio sempre di affidarsi ad esperti per analizzare tutti gli elementi in fatto rilevanti, che magari sfuggono in una lettera ma che, come abbiamo descritto, possono facilmente modificare la posizione fiscale del soggetto.

Un cordiale saluto ed un augurio sincero di un sereno Natale e di un nuovo anno 2024 felice e, possibilmente, di pace a tutte le latitudini.

Avv. Markus Wiget