Ricordo del grande chansonnier che oltre a parlare d’amore difese il popolo delle sue origini
Lugano - Era tutt’altro che bello, mento all’infuori, pochi capelli e folte sopracciglia, basso… anche per questo, Charles Aznavour, da bambino aveva subito le angherie di chi glielo diceva in faccia: «Quanto sei brutto!». La povertà, poi la fama e la ricchezza. E i guai col fisco francese che gli fecero scegliere la Svizzera, che amò e in cui trovò la sua «oasi di pace». Dagli anni 70 abiterà nel Vallese a Crans-Montana, per poi traferirsi a Cologny, uno dei più esclusivi quartieri di Ginevra, dove conduce una vita serena passeggiando nei parchi ed entrando nei bar, contando su quella discrezione tipicamente elvetica. Si trovò “a casa sua” in Svizzera, in termini di qualità di vita ma anche per la lingua, ovviamente, il francese. Ne parlava, comunque, altre 6, ciò che gli ha consentito di vendere oltre 300 milioni di dischi, interpretati anche in concerto, in tutto il mondo.
Una lunghissima carriera iniziata quando calcò il palco a soli 9 anni, continuata ininterrottamente fino all’ultimo concerto, il 19 settembre scorso, a Osaka.
Il suo prossimo concerto era previsto lo scorso mese a Bruxelles, se non lo avesse colto la morte all’età di 94 anni il 1 ottobre. Come tanti altri nomi noti, la sua fortuna avvenne con l’incontro di Edith Piaf che lo lanciò definitivamente in Francia e all’estero.
Ha un carattere determinato che lo porta a lottare per se stesso (e per tre anni contro la sua ansia da palco) e ad avere soddisfazioni e grande autostima, come descrive nella canzone “L’istrione”. Autostima sì, ma Aznavour aveva al contempo umiltà e sensibilità. Non solo nello scrivere le sue meravigliose canzoni d’amore, ma anche nelle questioni sociali e soprattutto per mantenere in vita la memoria del popolo armeno cui apparteneva d’origine e al quale era profondamente legato. Popolo tribolato, per il quale Aznavour svolse le sue innumerevoli lotte dalla Svizzera, riscuotendo grande visibilità mediatica.
La madre, Knar Baghdassarian, era sopravvissuta al genocidio armeno del 1915-1917, il primo genocidio del XX secolo. Aznavour in Svizzera nel 1988 crea la Fondazione Aznavour per l’Armenia dopo il grave terremoto che colpì il Paese; nel 2000 è divenuto ambasciatore dell’Armenia in Svizzera e dal 2009 è il rappresentante permanente dell’Armenia presso l’ONU a Ginevra. Questo suo impegno politico l’aveva ereditato anche dai genitori che in una Parigi invasa dai tedeschi, riuscirono a salvare diversi ebrei nascondendoli nel loro povero appartamento. Il rione parigino di Marais era quello dove ebrei ed armeni convivevano pacificamente. Ma quando la situazione precipitò, gli Aznavourian, Knar insieme al marito Micha con i figli Aida e Charles, diedero rifugio ai vicini di casa correndo gravi rischi. Armeni scampati a un genocidio che davano salvezza ad altre vittime di un nuovo genocidio.
Charles non si era mai vantato dei suoi genitori, e solo a 92 anni ha voluto ricordare questa vicenda con la sorella. Vicenda vivida nella loro memoria poiché all’epoca erano adolescenti. La storia è descritta nel libro “Salvatori (Giusti) e Combattenti” pubblicato due anni fa.
Aznavour viveva da decenni a Ginevra, la città elvetica che più reagì contro il genocidio armeno compiuto dalle autorità ottomane. La solidarietà della popolazione ginevrina, favorì l’espandersi della comunità armena in Svizzera. In quei drammatici anni, il Giornale di Ginevra riferiva del genocidio con lunghi resoconti. Tuttavia, invece di prendere a monito il massacro armeno con un milione e mezzo di vittime, resta invece la vergogna internazionale di aver volutamente rimosso dalla coscienza collettiva la strage degli armeni, un popolo mite e pacifico. Compiuto, come niente fosse, il primo genocidio dell’epoca moderna, Hitler ne prese spunto e disse: «Tanto, chi si ricorda più degli armeni?» e quindi segui l’Olocausto ebraico. E gli altri che proseguono fino ad oggi. Anche la Svizzera ha fatto prevalere le ragioni della realpolitik. Si dice che l’espressione amara di Aznavour fosse dovuta a questi scempi mai finiti. Lo scorso aprile, dopo decenni di progetti, finalmente sono stati eretti i “Lampioni della memoria” nel Trembley Park di Ginevra, dell’artista di origine armena Melik Ohanian. Nove elementi in bronzo che presentano frasi di valenza universale contro la violenza. Le lampadine sono a forma di lacrima.
Così cantava Aznavour in “J’ai connu” per sensibilizzare il pubblico sulla tragedia armena: «Ho conosciuto le catene, ho conosciuto le piaghe, ho conosciuto l’odio, ho conosciuto la frusta, ho conosciuto l’ingiuria, la sete e la fame, ho conosciuto la feroce paura del domani...». Ma, ha anche cantato: «Dopo l’inverno, dopo l’inferno, spunterà l’albero della vita».
Il motivo che spinse Aznavour a vivere in Svizzera è risaputo, cioè i suoi guai con l’Amministrazione francese negli anni 70 la cui pressione fiscale era tra le più alte al mondo e che fece fuggire diversi artisti, come ad esempio l’attore Gérard Depardieu.
Il cantante arrivò a dare soldi ai politici di tutti gli schieramenti, ma nessuno lo aiutò. Al di là di questo, non era solo un auto-esiliato, ha amato davvero il nostro Paese tanto da far diventare svizzeri i suoi figli. Aveva dichiarato in alcune interviste che amava la Svizzera per la sua riservatezza e calma, dove, secondo lui, anche i semafori cambiano più lentamente colore… e gli piaceva dire: «Home, Swiss Home».
Annamaria Lorefice
Chahnourh Varinag Aznavourian, in arte Clarles Aznavour, appena scomparso, viveva in Svizzera dove era diventato ambasciatore per l’Armenia, suo paese d’origine.
Il monumento a lui dedicato in Armenia.
A Parigi da giovane.
con Edith Piaf
In uno dei suoi ultimi concerti.
Aznavour si è molto prodigato per tenere viva la memoria del genocidio del popolo armeno, per opera degli ottomani, a cui la madre era scampata. Le Journal de Geneve, ancora in una edizione del 1920, riportava un lungo resoconto della tragedia. Ragioni di realpolitik hanno oscurato il primo genocidio del XX secolo.
Quest’anno Ginevra ha finalmente arredato un suo parco pubblico con i Lampioni della Memoria che portano incise frasi contro la violenza e hanno lampade a forma di lacrima.
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