Bobby Solo, il simpatico antidivo che dona magiche note e candide risate

Per i suoi fan è una leggenda, in voga sul web e nei concerti, pratica il chi kung e legge krishnamurti, ha compiuto 77 anni.

Verona - È un trasmettitore naturale di positività e allegria, altro che “Una lacrima sul viso”… nei suoi concerti come nella vita, è difficile trattenersi dal ridere alle sagaci battute del cantante nonché musicista e compositore Bobby Solo: 77 anni festeggiati, il 18 marzo scorso, con gli amici di sempre in un noto locale di Verona.
È amato in tutto il mondo dal pubblico di ogni età.

Il mitico conduttore televisivo Red Ronnie dal suo canale youtube spiega il successo di Bobby Solo presso i giovani: «A forza di ascoltare ovunque una musica piena di alte frequenze e di tante cose… una marmellata informe… con Bobby è come se t’arriva un bicchiere d’acqua fresca…».
Tre anni fa la Radio Svizzera italiana ha trasmesso lo speciale “Bobby Solo e la sua generazione”, un’analisi sulla cultura musicale e della società degli anni ’60.
Mentre festeggiamo il suo compleanno, si parla di tante cose.

Quante volte hai cantato in Svizzera?
«Tante. Conosco la Svizzera proprio grazie ai miei concerti. Avendo venduto milioni di dischi in Francia e in Germania cantati da me nelle loro lingue, ho potuto fare concerti in Svizzera francese e tedesca, in molte città da Ginevra a Zurigo, sempre cantando nelle rispettive lingue dal vivo. Ho venduto milioni di dischi di 32 canzoni in tedesco che ancora ricordo (inizia a cantare strofe in tedesco e in francese n.d r.)».

… e ovviamente esibendoti anche nella Svizzera italiana.
«Certo, a Lugano, negli anni ’60 ero amico della produttrice di programmi della RTSI Jojce Pataccini, molto simpatica, che mi chiamava a fare spettacoli televisivi, alcuni ambientati anche alla Romantica sul ponte di Melide (storico locale in villa d’epoca purtroppo demolita 13 anni fa n.d.r.), ho bei ricordi della Svizzera e anche uno esilarante…».

Capitato dove?
«All’Estival Jazz di Mendrisio del 2006. Qui incontrai il mio idolo di sempre, il grandissimo Tony Joe White, cantante e chitarrista blues della Luisiana che ho avuto l’onore di presentare su quel palco davanti a 3000 persone. Un’emozione incredibile. Mentre stava per esibirsi, si ruppe il tone bender un costosissimo pedale della sua chitarra elettrica, ad un certo punto gli spettatori videro alzarsi nuvolette di fumo: il batterista stava saldando il pezzo in modo che Tony J. White potesse suonare. Così fu e fece faville dato che era un chitarrista eccezionale. A ripensarci viene da ridere ma in quel momento fummo in ansia…».

Lo credo, ora andiamo ai bei tempi che furono della musica e…
«…e ti interrompo subito perché, facendo un certo tipo di musica, cioè rock, jazz, blues, country e crooning (stile di canto sommesso n.d.r.) sono sempre proiettato avanti, con una fetta abbondante di pubblico giovane che apprezza proprio la mia versatilità».

Questo lo si vede bene nei tuoi concerti, dove comunque sei chiamato a cantare anche i tuoi meravigliosi brani degli anni ’60…
«… cosa che faccio con molto piacere. Ma non rimango fossilizzato agli anni ’60. Senti, io sono un “trafficante di note”, essendo un pesci ascendente pesci, io “guizzo”! Mi ci vorrebbero altre 10 vite per immergermi in tutta la musica che vorrei esprimere».

Sì, ma forse in questi tempi bui si cerca il “colore” nel passato.
«Devo dire che aver vissuto - insieme a Gianni Morandi, Mina, Celentano, Ornella Vanoni, Al Bano, Little Tony e altri amici - i favolosi anni ’60, equivale ad essersi mangiata tutta la torta compresa la ciliegina! Non è più esistita un’epoca simile. Detto questo, secondo me il colore più bello è il presente. Il passato non è altro che una coperta già usata»

Un ottimo aforisma. Di che letture ti nutri?
«Dei testi di astrofisica, dei saggi politici di Noam Chomsky tra cui “I padroni dell’umanità” e “la fabbrica del consenso” ma anche dei libri di Krishnamurti, un indiano adottato dalla contessa polacca Blavasky e dal colonnello Alcott di Londra che mi ha aperto la mente nel 1975. Lui aveva unito correnti filosofiche dell’antica India con quelle europee di Kant, Schopenhauer, Hermann Hesse».

Conosci anche la filosofia yoga?
«L’ho approfondita. Non solo, da vent’anni pratico gli esercizi cinesi del Chi Kung. Una pratica millenaria con tecniche che insegnano a manipolare l’energia. I cinesi di 3000 anni fa pensavano che tutto il mondo fosse permeato da varie forme energetiche e che attraverso la pratica si può acquisire più energia e quindi una maggiore forza. Altra mia passione è fare i classici esercizi con i pesi, però senza esagerare, ma non finisce qui… ».

Cioè?
«Pratico i Cinque tibetani, un altro esercizio che apre i “centri di energia psico-fisica” che tremila anni fa in Tibet vennero chiamati chakra e che la scienza ha scoperto corrispondere a gangli nervosi collegati a specifiche ghiandole come, ad esempio, la pineale posta nella testa e così via. Con queste pratiche resto in forma e affronto con vigore la vita e anche i miei concerti».

È vero che ci senti solo da un orecchio?
«Sono nato con l’udito di un solo orecchio per una malformazione organica, per cui sono stato riformato al servizio militare. Ho realizzato tutta la mia carriera musicale con un orecchio solo».

Della musica leggera odierna che ne pensi?
«Quella leggera non è una musica immortalata nell’eternità come un’opera di Wagner, ma è semplicemente la colonna sonora dei tempi. Nel 1960 la guerra era finita da 15 anni, c’era lavoro per tutti. Le tasse erano poche, gli affitti erano ridicolmente bassi, la gente ballava stringendosi con i lenti e d’estate si scatenava con “Tintarella di luna” di Mina o un twist di Peppino di Capri. Poi sono arrivati gli anni ’70…»

… e finì la spensieratezza.
«Sì, con l’annosa guerra in Vietnam, la crisi del petrolio con le auto che circolavano a targhe alterne, l’omicidio di Aldo Moro, gli attentati, la guerra fredda, il rischio nucleare, ed ecco che emersero i cantautori impegnati. Gli anni ’80 ebbero un’altra colonna sonora per un mondo un po’ trasgressivo, e così via. La musica esprime il suo tempo».

Cosa salvi della musica di oggi?
«Che dire? In un Paese dove la gente sceglie di intontirsi con programmi come L’isola dei famosi o il Grande fratello, il contesto culturale e creativo dove va a finire? Il rap è solo parole, non c’è niente. La musica d’oggi riflette il disagio, la pochezza di questi tempi. Non la seguo perché m’annoia. Amo l’ascolto della musica anni ’40 e ’50 che mi fa da piacevole “anestesia” verso le brutture in generale».

Il fatto che i giovani ti seguano perché fai musica di un certo livello è confortante.
«Prima delle restrizioni interpretando i brani di Johnny Cash facevo il pieno di 25enni che poi mi abbracciavano forte e chiedevano i selfie… Che sia Tony Joe White, Elvis Presley o Johnny Cash io non cerco mai di copiarli o imitarli ma di seguire il loro feeling musicale che faccio mio».

L’età di chi è sul palco non conta?
«No, sai perché? Io vivo nel presente, ripeto, e quindi so che ai giovani piace il rock, il blues e anche il country di Johnny Cash che è quasi politico perché amava difendere le minoranze oppresse. Io glieli offro. Quindi anche a 90 anni con due capelli in testa si può avere un pubblico di 25enni che non noterà la tua immagine esteriore ma amerà l’emozione che gli dai. La musica è questo».

Oltre alle indiscusse doti canore e di chitarrista, possiedi pure quelle comiche, molto apprezzate anche durante i concerti.
«Mia madre, Mariolina Pettener, nel suo dialetto triestino diceva “picio mio, quando te diventerà vecio te diventerà un comico”. Aveva ragione, le gag mi vengono spontanee nella vita, nei concerti e ho fatto parti “comiche” ultimamente per una pubblicità. Sono rimasto un giocherellone, a 77 anni mi piace giocare e scherzare, sempre».

Sarà perché sei cresciuto a Roma dove le battute sono uno stile di vita?
«Uno stile che mi è congeniale. Pur avendo i genitori entrambi triestini, sono nato e cresciuto a Roma, perché mio padre era pilota dell’Alitalia e fu trasferito a Fiumicino, per questo ho l’accento romano e ne sono fiero, mi sento romano. Ma amo il mio Friuli e tutte le regioni d’Italia che conosco molto bene, nella loro unicità e bellezza, perché in quasi 60 anni di carriera ho fatto migliaia di serate in ogni angolo dello Stivale».

In questa festa di oggi sei circondato da amici, ti manca Little Tony?
«È stato come un fratello maggiore per me. Era una persona speciale, un generoso, buono di animo. Come me, era innamorato della “musica dell’American dream”, del rock and roll. Morandi è un altro amico fraterno con il quale ho fatto tante serate insieme, Al Bano mi ha voluto ospite nella sua famosa tenuta in Puglia. È complicato con le tournée e altri impegni riuscire a vedersi. Ogni tanto ci si ritrova tutti dalla mia grande amica Mara Venier in Tv, come di recente dove c’erano anche Shel Shapiro, Ron e Facchinetti»

Una curiosità: ti chiami Roberto Satti, perché hai scelto il cognome fittizio “Solo”?
«A 19 anni ero un ragazzo timido e impaurito, che si trovava a vivere qualcosa di molto più grande della sua forza mentale quando scoppiò il successo di “Una lacrima sul viso”: non decisi io il mio pseudonimo, lasciai fare agli altri. Mio padre era del 1906, adorava l’opera e riteneva degli “straccioni” i cantanti rock. Essendo pure un dirigente dell’Alitalia diffidò la mia casa discografica dal pubblicare il cognome Satti vergognandosi che il figlio fosse un cantante. Il direttore della casa discografica americanizzò il mio nome Roberto in Bobby. La segretaria gli chiese: Bobby e poi? Alla risposta “solo Bobby”, lei fraintese e scrisse Bobby Solo. A me piacque».

Che poi solo non sei mai…
«Ma proprio mai! Sono circondato da 5 figli, di cui l’ultimo di Ryan di 9 anni, otto nipoti, mia moglie Tracy, i miei musicisti, molti amici e tantissime persone nel mondo che mi vogliono bene, come quelle venute oggi qui a Verona per farmi gli auguri… ».

Annamaria Lorefice
lorefice.annamaria@gmail.com

Ha compiuto 77 anni Bobby Solo, l’Elvis Presley italiano, dal timbro inconfondibile e suadente, eccellente chitarrista, compositore e anche attore. Oltre all’indimenticabile repertorio degli anni ’60, oggi è seguito dai giovani per i brani ispirati a Tony Joe White e Johnny Cash che canta in ogni concerto (foto by notizie.it).

Negli anni ’60, cordone di agenti al passaggio di Bobby Solo. Uno dei più amati artisti italiani conosciuto in tutto il mondo da quando, a 19 anni, presentò “Una lacrima sul viso” al Festival di Sanremo nel ’64 dove, primo caso in assoluto, si esibì in playback, a causa di un improvviso problema di voce. Fu un successo clamoroso seguito l’anno dopo da “Se piangi se ridi” che vinse il Festival e ancora nel ’69 altra vittoria di Sanremo con “Zingara” in coppia con Iva Zanicchi.

Con la mamma Maria Pettener e a San Remo nel 1964 con Mike Bongiorno

Gala di Natale con Bobby Solo a Bellinzona, Canton Ticino, 2019