Perché aumentano gli hikikomori?

I giovani auto-reclusi in casa: sono un milione in Giappone mentre tra Svizzera e Italia il fenomeno è in espansione

A pronunciare il nome di frequente, benché sia giapponese, alla fine viene facile: hikikomori.
Suona quasi “i chicco mori” e foneticamente sembrerebbe alludere a qualcosa di simpatico, ma non è così.

Il termine, che tradotto significa “ritirarsi - stare in disparte”, identifica individui che si rinchiudono volontariamente in casa per mesi o per anni evitando i contatti umani.
Sono soprattutto giovani a partire dalla prima adolescenza ma anche adulti intorno ai 30 anni, la maggior parte maschi per lo più intelligenti e sensibili.
In genere se ne stanno a casa a leggere, usano le tecnologie, il web. A volte frequentando i social ma senza alcuna aspirazione amicale o emotiva.
Eliminano i rapporti sociali fuori ma anche dentro casa, non comunicando con famigliari e amici.

Spesso non frequentano la scuola o non lavorano. Dipendono in tutto e per tutto dai genitori benché rifiutino il loro avvicinamento morale o fisico: i pasti sono portati velocemente in camera richiudendo subito la porta, la stanza da bagno è raggiunta dal soggetto in modalità sicura per evitare qualsiasi incontro nel corridoio.
C’è chi di notte prende la bici e si fa un giro o chi cammina in parchi deserti. I modi sono differenti, ma l’evitamento con gli altri esseri umani è il tratto comune di chi ha questa sindrome.

Fenomeno sconosciuto ma in crescita
Rilevato in Giappone già negli anni ’80, questa sindrome si sta propagando nel resto dei paesi sviluppati benché sia un fenomeno ancora poco conosciuto. Il governo nipponico dichiara oggi un milione di persone hikikomori. Ora si sta cominciando la conta specie in Italia (per ora 100.000 hikikomori accertati) e in culture dove, proprio come quella nipponica, pesanti ansie sociali e genitori che reputano normale tenere in casa figli ormai cresciuti da un pezzo, sembra siano i fattori scatenanti questa sindrome.

Psicologi e sociologi stanno studiando sintomi e cause di questo comportamento. Specialisti, libri e associazioni create ad hoc cercano di aiutare i giovani e le loro famiglie.
In Svizzera, forse maggiormente in Canton Ticino per la sua vicinanza culturale con l’Italia, sono stati segnalati dei casi. È certo che il fenomeno esista e che gli hikikomori non vengano ben identificati da insegnanti, genitori e psicologi che spesso scambiano per depressione ciò che in realtà è un hikikomori. In definitiva si parla di fenomeno sociale globale in quanto i medesimi sintomi sono avvertiti nello stesso tempo da milioni di giovani appartenenti a nazioni molto lontane tra loro con culture assai diverse.

Possibili cause
Si sa, anche attraverso l’aneddotica e il cinema, che in Giappone il dogma “dell’alta prestazione” viene instillato già nell’infanzia, (per esempio, gli esami sono definititi “un inferno”, causa di continui suicidi).

Il senso del dovere e la vergogna per l’eventuale errore commesso sono i perni su cui poggia l’intera società. L’individualità di per sé non ha valore se non al servizio della collettività alla quale si sacrificano le proprie emozioni e bisogni.

È soprattutto questa ansia da prestazione e la perdita d’identità che genera annichilimento, rifiuto, desiderio di ritirarsi tipici dell’hikikomori.
Leggendo i commenti di queste persone sui social, sembrerebbe che questo stato d'animo immobilizzi i maschi, mentre le femmine riescano con maggior determinazione a reagire e in qualche modo a limitare i danni.

Differenza tra depressione e hikikomori
Ad un primo sguardo l’hikikomori sembrerebbe una vera e propria depressione, ma lo psicologo Marco Crepaldi, fondatore di Hikikomori Italia, spiega nel suo sito web come l’hikikomori non sia una patologia, come lo è invece la depressione che scaturisce dal proprio vissuto.

L’hikikomori è un soggetto che con la sua propria visione del mondo, facendo un ragionamento lucido sull’esistenza, vive una depressione esistenziale: «L’hikikomori è un rifiuto cosciente di far parte della società».

Crepaldi riporta a sua volta quanto affermato dallo psichiatra Lodovico Berra: trattasi di «…una modalità depressiva non patologica, priva di cause organiche ed indipendente da particolari dinamiche psicologiche, che deriva da una particolare presa di coscienza della nostra realtà esistenziale».

I significati caratterizzanti l’esistenza accettati dalla massa, vengono criticati e annullati.
Il conseguente stato dell’umore, prosegue Berra: «è esito di riflessioni intellettuali sull’esistenza, e non derivante da eventi o conflitti intrapsichici, come per esempio accade nella depressione nevrotica o psicogena». Dunque? Esiste un risvolto inaspettato.

E se questa sindrome non fosse del tutto negativa?
Sempre Marco Crepaldi riporta un brano della ricerca dello psicologo James Webb:
«le persone più brillanti sono in grado di concepire come le cose potrebbero essere, tendono a essere idealiste. Tuttavia, allo stesso tempo, si rendono conto di come la realtà non rispecchi i propri ideali. Sfortunatamente, riconoscono anche che la propria capacità di provocare cambiamenti sul mondo è molto limitata. [...] provano delusione e frustrazione per questo. Notano disonestà, finzione, assurdità e ipocrisia nella società e nei comportamenti delle persone che li circondano. Sfidano e mettono in discussione le tradizioni, soprattutto quelle che sembrano loro inutili o ingiuste».

La domanda che pone Crepaldi viene spontanea: potrebbe essere questo il caso degli hikikomori? Ci troviamo oggi a vivere in un mondo impensabile fino a un paio di anni fa, e nulla sarà più come prima, ormai lo sappiamo. Chi, tra le persone più profonde, coscienti e sensibili non acquisisce una propria forza strutturante, può sentirsi demotivato e isolato.
Per questo, è utile il rapporto umano, perlomeno tra soggetti che abbiano mente e anima simili, in uno scambio costruttivo e benefico.

In questo periodo storico particolare, dove menzogne e inganno globali la fanno da padrone, il risveglio, la crescita personale e collettiva si manifesta in tanti modi.
L’insalubrità del vivere reclusi in casa, agendo solo di notte, privi di scambi emotivi con familiari e amici, è cosa certa.

Pertanto - auspicando sempre il sano agire di giorno, all’aria aperta insieme alle persone - è altrettanto vero che un sano isolamento per ritrovare se se stessi, la propria identità e la propria anima, lontani dal pazzo mondo che vuole invaderci, è una via che si può scegliere di praticare, quando se ne ha l’occasione.

Annamaria Lorefice
lorefice.annamaria@gmail.com

Il Canton Ticino per affrontare il fenomeno dei “reclusi in casa” si avvale delle ricerche del Dr. Marco Crepaldi, fondatore dell’Associazione Hikikomori Italia, e dell’Associazione Hikikomori Italia Genitori ONLUS