I «Fortini della fame» a Bellinzona

Echi del Risorgimento fra Ticino e Lombardia

Vent’anni fa, il 30 novembre 2000, la città di Bellinzona, capitale del Cantone Ticino, ottiene l’iscrizione al Patrimonio mondiale UNESCO a motivo delle scenografiche fortificazioni che la caratterizzano: i manieri Castelgrande, Montebello e Sasso Corbaro, la cerchia del Borgo e la Murata visconteo-sforzesca, un tempo completata inoltre dal ponte della Torretta sul Ticino, e dal fortilizio di Monte Carasso, sulla riva opposta del fiume. Tutte opere dei diversi regimi dominanti sulla regione settentrionale del Milanese sin al 1499: l’Impero germanico dal 1150; i comuni di Milano dal 1242, di Como dal 1249, ancora di Milano dal 1284; i Rusca comaschi dal 1303; di nuovo la città di Como dal 1307 e daccapo i Rusca dal 1335; i Visconti milanesi e gli Sforza rispettivamente dal 1340 e 1450. Potentati e governi promotori della stratificazione e moltiplicazione dei complessi difensivi, prima nel confronto tra Ghibellini e Guelfi, poi tra feudatari locali e tra ducato di Milano e Confederazione degli VIII, poi X e infine XII Cantoni svizzeri in continua espansione verso sud.

Un sistema imponente di rocche e mura, quindi, per lo più rivolto a parare invasioni da nord, in gran parte conservato – benché con interventi di restauro non di rado pesanti e invasivi –, oggi inteso a una valorizzazione adeguata sia dal profilo museale, sia da quello turistico, sì da fissare l’identità fra la città e i castelli, sancita dall’inclusione nel patrimonio dei monumenti di maggiore richiamo internazionale. Eppure non l’unico poiché, passata ai confederati con una «dedizione spontanea» il 14 aprile 1500, mai aggiornata dai tre Cantoni Sottoselva, Svitto Uri, titolari del governo, e solo in parte munita nell’area di Lumino durante la Repubblica elvetica, nel 1798, la piazzaforte, stavolta diretta a impedire attacchi da sud, torna centro difensivo, in due distinti periodi, a metà XIX e a inizio XX secolo, sotto forma di «campo trincerato» a forti avanzati; costituito da due linee disposte lungo i torrenti Dragonato, Morobbia, Sementina, e da opere distribuite in parte sul passo San Jorio e in massima parte nell’area di Magadino, sul Verbano, e al culmine del monte Ceneri.

Alle fortificazioni dell’Ottocento è dedicato ora un volume in cui sono ricostruite le vicende di ridotte, batterie, lunette, torri, cortine per artiglierie, in parte esistenti tra Camorino, Monte Carasso, Sementina: l’Innere e Æussere Vertheidigungslinie, progettate ed erette a spese della Confederazione dopo la crisi del Sonderbund nel 1848-’49 e il «blocco» dell’Impero austriaco a punizione del Ticino, «covo» d’insorti lombardi, nel 1853-’54. Noti col nome «Fortini della fame», poiché ai cantieri sono adibiti, per dar loro il pane, ticinesi espulsi dalla Lombardia per ritorsione dei moti mazziniani, questi edifici raccontano una storia affatto solo militare, anzi, per lo più politica, economica, sociale. Proposte dal Consiglio di Stato cantonale all’alta Dieta elvetica – com’è ancora chiamata – nel 1844, le nuove fortificazioni sono considerate, infatti, inessenziali da 12 «stati» più 2 «frazioni»; e il progetto del quartiermastro generale, Guillaume Henri Dufour, viene respinto da 10 1/2 e rinviato da 9 e 1/2 «stati», almeno sin alla rottura fra i Cantoni conservatori e quelli radicali.

Solo dopo la guerra del Sonderbund del 1847, con la minaccia di rovesciamento del neutrale esecutivo liberale ticinese da parte della Lega separata, da nord, col soccorso dell’Austria, da sud, la Dieta della Svizzera in fase di riordino quale stato federale approva una linea difensiva di ridotte, lunette, batterie in riva sinistra del Dragonato, costruita fra il 6 giugno 1848 e il 26 giugno 1849, per assicurare finalmente da «colpi di mano» stranieri il corridoio del Ticino, dopo già, dal 1831, quelli del Rodano e del Reno; così riconoscendo al Cantone, sino allora meno considerato, il valore di membro a pieno titolo, degno di protezione, della compagine federale. Riconoscimento confermato allorché la fallita insurrezione di Milano del 6 febbraio 1853, preparata da seguaci di Giuseppe Mazzini, con basi anche nella Svizzera italiana, subito repressa dagli austriaci, porta al blocco delle frontiere e all’espulsione di oltre 6.000 ticinesi da tutta la Lombardia: a fronte del nuovo rischio d’invasione, di nuovo lo Stato federale reagisce con l’approvazione di una linea difensiva a Bellinzona, stavolta in riva sinistra della Morobbia e lungo gli argini del torrente Sementina, approvata il 23 agosto, iniziata il 9 settembre 1853 e portata a termine nell’inverno del 1854.

Profili economici e sociali affiancano, peraltro, quelli politici, rendendo la vicenda di ulteriore interesse, dalla questione di chi debba finanziare le opere, alle procedure per le requisizioni di terreni dove fabbricare e per i risarcimenti ai proprietari; alla selezione, impiego, retribuzione delle maestranze militari e civili; ai rapporti tra autorità federali e cantonali; alle relazioni tra i militari confederati, specie gli ufficiali comandanti dei corpi Topografi, Genio, Zappatori alla testa delle compagnie di lavoro impiegate, e le comunità locali chiamate ad assistere – tramite i commissari distrettuali di governo – con accantonamenti, strumenti di cantiere, viveri e altre provvidenze la massa di direttori, capimastri e operai sul terreno. Un piccolo universo di vita cantonale ticinese restituita, oltre che dal testo, dai 137 documenti e dalle decine di materiali cartografici originali dell’epoca, di progetto ed esecutivi, selezionati presso gli Archivi federali a Berna e l’Archivio cantonale di Bellinzona, copiati in appendice con metodo rigorosamente filologico gli uni, in resa a colori gli altri.

Con questo volume, aperto dalle presentazioni del sindaco di Bellinzona, Mario Branda, della capo Ufficio dei beni culturali del Cantone Ticino, Simonetta Biaggio Simona, del direttore operativo dell’Ente autonomo Carasc, Ivan Guidotti, dell’animatore dell’Associazione Fortini di Camorino, Alessandro Margnetti – enti, questi, direttamente coinvolti nella salvaguardia e nella valorizzazione delle opere superstiti, fra Monte Carasso e Camorino –, e introdotto da Maurice Lovisa, esperto notissimo non solo in Svizzera, la città di Bellinzona guarda con una rinnovata attenzione al suo patrimonio fortificato nel senso più esteso. E segna, nel 20° della classazione dei castelli al Patrimonio mondiale UNESCO, quel 30 novembre 2000, un’ulteriore tappa nel programma di studio scientifico e sviluppo turistico coerente del comparto castelli-fortini; considerati un tutt’uno interdipendente già dal generale Dufour nel progetto del 1844 e oggi da riconsiderare in questa ottica.

Viemme

Fortino Ai Munt (Foto da: fortini-camorino.com)

Il libro
M. Viganò, Bellinzona campo trincerato - Progettazione e costruzione di una piazzaforte della Svizzera federale 1844-1854, Chiasso, SEB Società Editrice SA, 2020, pp. 360, ill. 90 a colori, fonti e bibliografia.  Fr. 50,00 (richiedibile presso admin@sebeditrice.ch)