Il difficile rapporto tra Amazon e la Svizzera

Si narra che Guglielmo Tell fosse ignaro del significato del cappello imperiale, posto nella piazza centrale di Altdorf nel Canton Uri dal duca Herman Gessler, e dell’obbligo che imponeva ai passanti di inchinarsi di fronte a quel simbolo dell’impero asburgico, in segno di sottomissione. Certo è che il mancato ossequio da parte del leggendario eroe fu letto come un atto di ribellione dal popolo svizzero, ormai esasperato dai pesanti dazi asburgici sulle merci in transito verso la Svizzera.

A differenza di allora, oggi è proprio il governo svizzero che impone una tassa ai prodotti consegnati da Amazon. Si tratta di una decisione entrata in vigore nel 2019 che prevede un’aliquota del 7,7 % sul valore del prodotto consegnato.

Come era facilmente prevedibile questa misura fiscale ha scoraggiato la famosa azienda di commercio elettronico statunitense a penetrare nel territorio elvetico, infatti non esiste la piattaforma Amazon.ch, né strutture ad essa dedicate. Così la Confederazione non si è inchinata di fronte al colosso di Bezos, favorendo in questo modo aziende e-commerce svizzere e, allo stesso tempo, il prodotto interno lordo.

La più grande internet company
C’è da dire che Amazon è riuscita a diventare la più grande internet company al mondo perché ha trovato nella società odierna un terreno molto fertile che le ha permesso di crescere esponenzialmente. Oggi serialità e standardizzazione dei prodotti sono dalla massa di gran lunga preferibili all’artigianato e agli oggetti realizzati ad personam. Inoltre il servizio offerto da Amazon soddisfa quasi ogni bisogno nel minor tempo possibile, nel tempo di un click appunto, senza quasi darci il tempo di pensare se ciò che stiamo acquistando ci serva veramente.

Per questo motivo la praticità del sito Amazon, la comodità e facilità d’acquisto si prestano in modo efficace a venderci la nostra felicità al prezzo più basso possibile e senza neanche l’incombenza di uscire di casa. Amazon ha inoltre il controllo del bene più importante del XXI secolo: i dati. Può infatti accedere a informazioni su come spendiamo i nostri soldi e su come usiamo internet. A differenza di Google, di Facebook e degli altri big tech che usano i dati per vendere pubblicità alle aziende, Amazon sa già chi siamo, cosa ci interessa, cosa vogliamo comprare. E ce lo vende direttamente. Non è un caso che negli ultimi anni, da quando cioè esistono siti per effettuare acquisti online accessibili in qualunque momento e con qualsiasi dispositivo elettronico, la sindrome da acquisto compulsivo sia diventata un fenomeno molto più ampio e diffuso. Fenomeno amplificato ulteriormente dalla pandemia, durante la quale l’uso dell’e-commerce ha registrato un aumento del 119%.

La vendita on line dei prodotti genera solo una parte del reddito dell’azienda, AWS Amazon Web Service, per esempio, offre spazio di archiviazione, cyber security e tutto ciò di cui le aziende hanno bisogno per operare su internet ed ha una posizione predominante nel mondo del cloud computing.

Tra le principali accuse contro Amazon c’è quella di sottoporre i propri lavoratori a condizioni di lavoro orwelliane e di pagare imposte troppo basse. Quest’ultima è particolarmente antipatica visti gli enormi utili dell’azienda. In Europa si discute da molti anni sull’introduzione di una nuova tassa, la cosiddetta Digital Tax, volta a regolare le attività su cui si fondano i guadagni delle grandi società del web. Questa tassa avrebbe il vantaggio, come effetto collaterale, di aiutare i commercianti e le piccole attività.

Le multinazionali dell’online, attraverso operazioni note come ottimizzazioni fiscali, riescono a ridurre le imposte sulle filiali nazionali dichiarando la maggior parte degli utili in paesi con legislazioni fiscali più favorevoli. Il problema di fondo è che le attuali norme in materia di imposta sulle società si basano sul principio che gli utili dovrebbero essere tassati nel luogo in cui è creato il valore, ma nell’economia digitale, basata sul commercio elettronico transfrontaliero senza presenza fisica, il luogo in cui gli utili sono tassati e il quello in cui è creato il valore non sempre coincidono. Ben venga quindi un rinnovamento del quadro normativo in materia di imposta societaria, che tenga conto della trasformazione digitale dell’economia e dei cambiamenti che tale trasformazione porta con sé.

Mentre gli stati membri dell’Unione Europea discutono per arrivare a una decisione comune - in un periodo di grave crisi economica come quello che stiamo vivendo che ha messo in ginocchio la maggior parte dei settori - Amazon prospera raggiungendo i profitti più alti della sua storia. Nel settembre 2020 ha addirittura triplicato il suo utile netto rispetto all’anno precedente, rafforzando ancora di più la sua posizione egemonica Ma quella che sembrava un’irrefrenabile avanzata ha invece visto una battuta d’arresto di fronte ai confini elvetici che il colosso di Bezos può varcare solo a costi maggiorati. Infatti, i cittadini svizzeri possono usufruire dei servizi Amazon acquistando sulle piattaforme degli stati confinanti (Italia, Francia, Germania), ovviamente con costi aggiuntivi per lo sdoganamento, fino a 70 franchi a carico del destinatario. Questo sovrapprezzo in aggiunta alla aliquota IVA precedentemente citata rende, la maggior parte delle volte, più vantaggioso rivolgersi a siti di commercio online nazionale. Oltre ai maggiori costi economici, ve ne sono anche altri di natura ambientale dovuti al trasporto, per lo più su ruote, delle merci dai centri logistici dei Paesi confinanti.

Se questa situazione va indubbiamente a vantaggio dell’offerta nazionale c’è da chiedersi quali siano le conseguenze per i consumatori svizzeri. Se da un lato si protegge l’economia svizzera, dall’altro si impedisce ai consumatori che vivono nella Confederazione di usufruire della vasta offerta e dei prezzi competitivi che Amazon offre a tutto il resto d’Europa e del mondo.

Non c’è dubbio che il gigante della distribuzione online è ormai insito nel tessuto economico della società odierna avendo creato un sistema per cui i pubblicitari dipendono dai dati di Amazon, i fornitori dai suoi clienti, le aziende dai suoi server, Wall Street dipende dal valore delle sue azioni. Ma la consapevolezza che Amazon continuerà a controllare i mercati, distruggere la concorrenza e sottopagare i fornitori non basta per smetterla di usufruire dei suoi servizi perché la comodità è ciò che interessa di più alla nuova generazione di consumatore.

La decisione della Confederazione di pretendere una tassazione dal gigante dell’e-commerce ne ha anche ostacolato l’ingresso nella propria economia.
Nonostante la pluralità dei punti di vista e delle opinioni, ciò che si può di certo affermare è che ancora una volta la Svizzera si è dimostrata in grado di anticipare i tempi senza paura di andare controcorrente.

Riccardo Pogliani
Società Svizzera di Milano - Sezione Giovani