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La collaborazione tra le autorità svizzere e quelle italiane è ottima

    Intervista di Gazzetta Svizzera a 360° con il colonnello Silvio Tognetti, Capo Dogana Sud con giurisdizione nel Canton Ticino e nel Canton Uri. Tognetti ci parla della collaborazione transfrontaliera, la “nuova sicurezza” e i flussi migratori.

    All’inizio di quest’anno, l’Amministrazione federale delle dogane è stata rinominata Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC), conservando i compiti precedenti secondo l’attuale legge doganale. È uno degli Uffici federali più grandi e incassa circa un terzo delle entrate federali. L’UDSC ha la responsabilità di garantire la sicurezza in ambito doganale, svolge compiti di natura doganale e non doganale collaborando all’esecuzione di disposti federali. Ha pure compiti di polizia di sicurezza e si assume compiti di polizia cantonale nell’area di confine nel quadro dei compiti delegati dai Cantoni tramite accordo. Il Consiglio federale può inoltre delegare all’UDSC compiti urgenti per la Confederazione nell’ambito del traffico transfrontaliero. L’adempimento di questi compiti è oggetto di una stretta collaborazione tra le organizzazioni di sicurezza della Confederazione, dei Cantoni e internazionali, garantendo così uno sfruttamento ottimale delle sinergie in materia di risorse.

    Entro il 2026 tutti i processi doganali saranno semplificati, ottimizzati e digitalizzati con lo scopo di rafforzare la sicurezza al confine e ridurre i costi di regolamentazione. La trasformazione digitale in atto dell’Ufficio è certamente una grande sfida. Ne abbiamo parlato con Silvio Tognetti, grande conoscitore del settore doganale, con un’esperienza di oltre 35 anni.

    Il confine italo-svizzero è teatro di molte storie e molti miti. Iniziamo da quello che è la sicurezza. Nei media si sente parlare con una certa regolarità di furti, bande organizzate e in generale di criminalità. Come è la situazione veramente e come si è sviluppata negli ultimi decenni?

    Stando alle statistiche della polizia cantonale ticinese e in stretta correlazione con quanto effettivamente constatiamo alla frontiera, negli ultimi 10-15 anni l’attività criminale intesa come furti d’auto, rapine a mano armata, rapimenti, aggressioni – per fare qualche esempio – è andata progressivamente diminuendo. Dalle violente rapine ai danni di banche e uffici postali perpetrate negli anni ‘80 e ‘90 da famigerate bande organizzate, ancora tristemente presenti nei nostri ricordi, siamo passati a rapine ai distributori di benzina perpetrate per lo più da singoli criminali o sbandati. Questo andamento non è dovuto al caso. I bersagli della criminalità sono divenuti molto più sicuri rispetto a 20-30 anni fa. La prontezza d’intervento delle forze dell’ordine presenti sul territorio è stata migliorata anche grazie ad una Centrale comune d’allarme dotata di sistemi informatici all’avanguardia e di un sofisticato sistema integrato di aiuto alla condotta. Senza poi dimenticare la collaborazione giudiziaria e di polizia intensificata tra Svizzera ed Italia che si estende a numerosi altri Paesi.

    «Negli ultimi 10-15 anni l’attività criminale intesa come furti d’auto, rapine a mano armata, rapimenti, aggressioni è andata progressivamente diminuendo».

    Oggigiorno, la polizia è confrontata anche con altre forme di criminalità: truffe (falso nipote, Rip-off, truffe telefoniche/online) mentre al confine prevalgono altre tipologie di reati; importazione/transito di stupefacenti e prodotti proibiti, tratta di esseri umani (con i cosiddetti passatori che lucrano sulla disperazione). Inoltre vi sono fermi di persone segnalate o con refurtiva come pure bande organizzate dedite a furti in abitazioni e ditte (fenomeno stagionale e fluttuante).

    Il controllo alle dogane è cambiato sistematicamente a partire dal nuovo millennio, soprattutto con l’adesione allo spazio Schengen da parte della Svizzera. In che modo esattamente? Quanto è determinante, nella quotidianità dei collaboratori dell’UDSC, la possibilità di ricorrere alle informazioni garantite dall’accordo Schengen?

    L’entrata in vigore degli accordi di Schengen/Dublino in Svizzera è avvenuta il 12 dicembre 2008 e permette alle persone di circolare liberamente all’interno dell’area Schengen in principio senza essere sottoposte a dei controlli alle frontiere. Fino ad allora tutti i valichi stradali erano presidiati da guardie di confine durante il giorno, mentre di notte le autorità italiane chiudevano ermeticamente tutti i passaggi minori. Restavano pertanto aperti ed occupati unicamente i valichi più importanti sugli assi stradali principali. Il nostro dispositivo era per lo più votato al servizio statico con pattugliamento della frontiera verde.

    Dopo il 2008, nello spazio di pochi mesi per il controllo dei valichi minori si passò gradualmente al controllo dinamico, i cancelli da parte italiana rimasero aperti 24h/24 e il dispositivo d’impiego del Corpo guardie di confine venne adattato alla nuova situazione ed ai nuovi strumenti a disposizione. Si era subito capito che l’evoluzione e le modalità di penetrazione nel nostro Paese delle varie forme di criminalità sarebbero cambiate ed era imperativo adattare l’impiego e i mezzi.

    Con controlli molto più mobili venne introdotta vieppiù la componente di “intelligence” per finalizzare controlli mirati (persone, veicoli e merci) e si passò a ridefinire i compartimenti di terreno da sorvegliare. Importante strumento di successo fu inoltre la maggiore coordinazione con le forze di sicurezza presenti sul territorio, coordinazione culminata nel 2018 con la creazione della già citata Centrale comune di allarme.

    Un enorme contributo a questa evoluzione lo ha pure dato l’introduzione ed un continuo sviluppo dell’uso della tecnologia (videosorveglianza, banche dati tra cui Sistema di informazione Schengen, diverse applicazioni, detettori elettronici di stupefacenti, scanner, ecc.) fondato sulle vigenti normative legali. Sicuramente grazie all’avvento della tecnologia, dei controlli mobili, dell’effetto sorpresa e all’“intelligence”, risultiamo essere molto più efficaci e performanti.

    Come funziona la collaborazione tra le autorità svizzere e quelle italiane? Vi sono differenze di approccio e come si è sviluppato questo dialogo nel corso del tempo?

    La collaborazione tra le autorità svizzere e quelle italiane funziona molto bene, tutte le parti coinvolte si impegnano a dare continuità in questa positiva evoluzione. La recente pandemia ci ha obbligati a rivedere più volte le nostre pianificazioni e i modi di collaborare, ma non lo spirito che ci unisce. Oltre agli interessi condivisi nell’assicurare costantemente la sicurezza della Popolazione, dell’Economia e dello Stato, l’ottima collaborazione in essere è agevolata certamente anche da solide conoscenze personali e dalla lingua comune. Vi sono numerosi esempi di collaborazione sul territorio nella fascia di confine. Le forme più recenti e visibili vanno dalle pattuglie miste sino alla cooperazione per situazioni straordinarie come avvenuto nel luglio scorso nell’ambito della Ukraine Recovery Conference di Lugano.

    Non passano certo inosservate nelle zone limitrofe del confine, auto prioritarie dell’UDSC in Italia e della Polizia di Stato italiana in Svizzera. Alla base, per l’istituzione di queste pattuglie congiunte, vi è l’Accordo di cooperazione di polizia e doganale tra il Consiglio federale e il Governo della Repubblica italiana, firmato il 14 ottobre 2013 e il suo protocollo aggiuntivo firmato il 22 novembre 2016.

    La firma della dichiarazione comune tra Svizzera e Italia, avvenuta il 18 febbraio 2019 a Chiasso, ha permesso di istituire concretamente una nuova forma di cooperazione nel contesto della sicurezza transfrontaliera. Essa definisce le modalità operative delle pattuglie miste e contiene in particolare la definizione esatta del territorio interessato, il Canton Ticino e le Province di Como e Varese e prevede le autorità responsabili del dispiegamento di queste pattuglie. Questa collaborazione mira a combattere l’immigrazione illegale e il contrabbando. Permette agli agenti dell’UDSC e della Polizia di frontiera italiana di assistersi a vicenda in compiti di osservazione e informazione sui rispettivi territori nazionali.

    La cooperazione transfrontaliera è stata rafforzata dall’ondata migratoria del 2015-2016, soprattutto al nostro confine meridionale. L’impiego delle pattuglie miste iniziato nel marzo 2019 ha dimostrato di essere uno strumento di controllo valido ed efficace per la sicurezza.

    Mi piace ricordare che grazie alla firma della dichiarazione congiunta citata e al valore aggiunto delle esperienze fatte, nel novembre 2019 l’UDSC e la Polizia di frontiera italiana iniziavano il loro primo impiego comune nelle valli del Sud dei Grigioni e in Valtellina.

    Alle varie forme di collaborazione esistenti vanno ricordati il Centro di Competenza Flussi Migratori (CCFM) e l’Ufficio binazionale congiunto Svizzera - Italia a Chiasso, dove cooperano a stretto contatto i nostri collaboratori, gli agenti della Polizia cantonale e della Polizia di Stato italiana velocizzando i processi di lavoro.

    Molti hanno ancora presente i flussi migratori dall’Africa che, in particolare nel 2015, hanno creato non poco lavoro alle guardie di confine. Anche la guerra con l’Ucraina ha portato con sé un flusso migratorio. In che modo si differenziano le due situazioni? Si può dire che la Svizzera sta imparando sempre di più a gestire queste situazioni e quale ruolo gioca l’Accordo di Dublino?

    Nel 2015 eravamo confrontati con un fenomeno migratorio costituito da persone che avevano come progetto di trovare una vita migliore nelle diaspore presenti nel nord Europa. Situazione che li ha portati a considerare la Svizzera alla stregua di un corridoio di transito. Erano nella stragrande maggioranza persone che non disponevano di documenti e i controlli per l’applicazione delle normative in vigore hanno inevitabilmente generato un collo di bottiglia nella regione di Chiasso. L’ondata derivata dalla guerra in Ucraina è contraddistinta da una maggior facilità di movimento all’interno dell’Europa. I profughi infatti dispongono di documenti d’identità che consento loro di raggiungere la loro destinazione senza particolari limitazioni. La capacità di gestire situazioni come descritte è certamente aiutata da esperienze vissute e continue valutazioni sull’efficacia dei processi e del dispositivo adottato, ma passa anche da un lavoro sinergico. Svizzera e Italia sulla base degli eventi e delle situazioni vissute hanno identificato di comune accordo soluzioni al confine per meglio affrontare la migrazione illegale sia in situazioni ordinarie sia in quelle straordinarie. L’istituzione del Centro di Competenza Flussi Migratori (CCFM) e l’Ufficio binazionale congiunto, precedentemente citati, sono un esempio.

    «Sono molte le differenze tra il flusso migratorio proveniente dall’Africa nel 2015 e quello dovuto alla crisi ucraina»

    L’Accordo di Dublino mira ad armonizzare le procedure di asilo in Europa ed evitare che possano essere presentate domande di asilo in più Paesi membri, evenienza che viene comunque gestita dalla Segreteria di Stato della migrazione e non al confine. In base all’Accordo, la procedura è di competenza del primo Stato in cui un richiedente ha depositato la sua domanda di asilo o in cui è giunto dopo aver attraversato la frontiera esterna dello spazio.

    La criminalità, in particolare economica, si sta spostando viepiù online. Il ruolo delle guardie di confine si ridurrà sempre di più con la digitalizzazione?

    La sicurezza non è solo contrasto alle azioni delittuose. Se fosse così intesa risulterebbe incompleta e perciò pericolosa. La digitalizzazione è di grande aiuto ma il controllo del collaboratore rimane imprescindibile. Se da un lato alcune forme di criminalità economica fanno riferimento al mondo virtuale non va dimenticato che a compierla vi sono individui che vivono e si spostano esponendosi così al rischio di essere scoperti grazie ai controlli che avvengono al confine. Contrasto al contrabbando, alla migrazione illegale, allo smercio di prodotti pericolosi per la salute o l’ambiente o ancora provvedimenti con restrizioni d’entrata volti a contenere la diffusione di malattie per salvaguardare la capacità del nostro Paese, dimostrano l’importanza dei controlli al confine. La sicurezza richiede risorse, impegno e un lavoro costante con tutte le forze attive nel territorio.

    La nostra organizzazione è cambiata nel tempo e continuerà a cambiare per far fronte alle costanti nuove sfide. L’obiettivo è di anticipare i rischi laddove possibile con la prevenzione e di alimentare qualitativamente la nostra analisi dei rischi con i controlli e le cooperazioni. Dobbiamo assicura la prontezza d’impiego per far fronte con flessibilità anche ad eventi inattesi.

    «La digitalizzazione è di grande aiuto ma il controllo del collaboratore rimane imprescindibile»

    In tutti i settori dell’economia si parla di digitalizzazione. Questa offre del potenziale anche nel sistema doganale?

    Le amministrazioni doganali dispongono di processi e sistemi diversi. I singoli ambiti (p. es. transito internazionale delle merci) sono altamente integrati e standardizzati mentre altri ambiti (esportazione/importazione) sono specifici di ogni singolo Paese e devono essere avviati progetti di coordinamento. Grazie alla graduale introduzione di soluzioni digitali intermedie, il passaggio del confine può essere ottimizzato in alcuni casi già ora consentendo l’attraversamento con merci commerciali senza fermate per i veicoli che non devono essere controllati riducendo in tal modo costi di regolamentazione e colonne.

    Quali sono i cantieri tra Svizzera e Italia su cui intervenire prioritariamente e dunque quali gli obiettivi del Capo Dogana?

    Sono due: implementare, con una roadmap ambiziosa, i vantaggi della digitalizzazione nei processi doganali passando prima dalla semplificazione degli stessi e dare continuità ed efficacia alla stretta collaborazione mirata ai risultati in ambito operativo voluta e condivisa dai nostri due Paesi.

    Angelo Geninazzi

    Bibliografia

    Dal 1987 ricopre diverse funzioni presso l’attuale Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC). Dirige la Sezione antifrode doganale di Lugano,

    2007 nomina a direttore del IV circondario doganale, circondario che allora comprendeva, oltre al Ticino, anche la Mesolcina.

    Dal 2018, nel doppio ruolo di Direttore e Comandante della Regione IV delle Guardie di confine.

    Dal 2020 nominato Capo Dogana Sud con giurisdizione nel Canton Ticino e nel Canton Uri.