Nonostante il sì del popolo alla legge Covid e un numero record di contagi, il governo svizzero ha dato prova di prudenza nella sua politica sanitaria durante l’inverno 2021/2022. È andata meglio dell’anno precedente.
Mentre il sistema politico di condivisione del potere in Svizzera ha spesso rallentato la lotta contro la pandemia, la democrazia diretta ha rivelato uno dei suoi punti forti all’inizio dell’inverno: i diritti popolari si sono rivelati uno sfogo nella crisi. In occasione della votazione sulla legge Covid-19, alla fine di novembre, i cittadini svizzeri hanno testimoniato il loro appoggio alla politica sanitaria delle autorità. Una netta maggioranza di loro si è dunque dichiarata favorevole alle misure sanitarie, incluso il controverso certificato Covid. I gruppi che si opponevano a queste misure e al vaccino, che avevano lanciato diversi referendum e sfilato nelle città, hanno perso slancio dopo questa nuova sconfitta alle urne.
Le tensioni sociali attorno alla pandemia non sono di certo scomparse, ma la votazione le ha perlomeno attenuate. E il sì del popolo si è rivelato un mandato attribuito al Consiglio federale per lottare contro la pandemia. Esso non l’ha però interpretato come una carta bianca, mantenendo la prudenza adottata durante il lockdown. Nell’ambito di questa pandemia, la Svizzera ha sempre «navigato a vista», analizza l’epidemiologo ginevrino Marcel Salathé. Una strategia che è costata cara al paese durante la seconda ondata dell’autunno e dell’inverno 2020/2021, poiché si è registrata una forte mortalità.
Fine precoce delle restrizioni
Un anno dopo, prima di Natale, si è verificata una nuova svolta: soltanto le persone vaccinate o guarite potevano recarsi nei ristoranti, al cinema o in palestra. Ciò era dovuto al fatto che il numero di pazienti in cure intense aveva nuovamente superato la soglia critica. La variante Delta ha colpito soprattutto le persone non vaccinate. Per poter concentrare le forze su di esse, gli ospedali hanno dovuto rinviare molte operazioni. Sono state emanate direttive nel caso in cui si rivelasse necessario agire in fretta, ossia decidere chi poteva essere ammesso in priorità nelle cure intense. Parallelamente iniziava a diffondersi la variante Omicron, di cui non si sapeva molto.
Tuttavia, nonostante le incertezze, il Consiglio federale ha rinunciato ad adottare misure più severe, delle quali aveva in precedenza discusso con i Cantoni, in particolare la chiusura dei ristoranti. Esso ha mantenuto questa strategia anche quando, in gennaio, l’ondata Omicron è scoppiata. E, una volta superato il picco, ha abolito tutte le misure sanitarie a metà febbraio – nonostante una circolazione ancora attiva del virus. L’unica eccezione è stata l’obbligo della mascherina in alcuni posti. Contrariamente a quanto si temeva, gli ospedali non sono stati sovraccaricati. Forse perché nel frattempo la popolazione aveva raggiunto un’immunità maggiore con il vaccino e le infezioni: nel corso delle settimane record di circolazione di Omicron, è stato contagiato il 30-40% della popolazione svizzera.
Contrariamente ad alcuni paesi vicini, la Svizzera ha dunque superato il secondo inverno pandemico senza chiusure né obblighi vaccinali, nonostante un tasso di vaccinazione piuttosto basso. Il presidente della Confederazione, Ignazio Cassis, ha dichiarato che queste libertà hanno rappresentato una «scommessa che è stata vinta». Alcuni sono però critici nei confronti di ciò che accadrà. Secondo gli specialisti, il coronavirus potrebbe avere conseguenze tardive per una persona su cinque. Le assicurazioni sociali cominciano a risentirne. L’anno scorso, si sono iscritte all’assicurazione invalidità 1’700 persone a causa del long Covid.
(SWE)
Nonostante le misure sanitarie ancora in vigore, la popolazione ha festeggiato alla grande la stagione sciistica senza mascherine, come qui in occasione dello slalom della Coppa del mondo ad Adelboden. Foto Keystone, 9 gennaio 2022