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Lavoro in Svizzera e famiglia in Italia. Quid iuris?

    Ancora sulla residenza fiscale in Italia

    Carissimo Avvocato,

    vivo e lavoro da tempo in Svizzera. Ho una mia casa con regolare contratto di affitto, dove di norma mi trattengo dal lunedì al venerdì, e sono lavoratore dipendente con obbligo di presenza in ufficio in quanto ho un contratto full-time a tempo indeterminato. Al contempo ho anche una moglie con la quale vado d’accordo che invece vive e lavora in Italia per ragioni che non sto a spiegarLe. Io mi limito a trascorrere a casa in Italia, il fine settimana, i ponti festivi italiani e svizzeri, spesso le vacanze estive e, devo dire, qualche volta anche delle serate infrasettimanali.

    L’immobile in Italia peraltro è di esclusiva proprietà di mia moglie. Io invece non ho beni in Italia, se non un vecchio cascinale abbandonato e senza abitabilità in campagna. Sono cittadino italo-svizzero iscritto all’AIRE. Ho sempre pagato quindi le tasse in Svizzera e non mi sono mai preoccupato che la mia situazione potesse essere in qualche modo critica. Ho invece letto recentemente delle notizie di stampa secondo le quali la Cassazione avrebbe stabilito in un caso di residenza in Svizzera che le tasse vadano pagate in Italia. Aggiungo per completezza che i nostri figli sono già grandi e non vivono più con noi ma, addirittura, studiano e lavorano all’estero. Ora le chiedo se è vero che anche una situazione come la mia possa rientrare nella casistica decisa dalla Cassazione, o se non ho ben capito io. Grato sin d’ora se vorrà prendere in considerazione questa mia richiesta e dare una risposta. M.G. (Prov. di Pavia)


    Caro Lettore,
    grazie della Sua lettera. Con piacere Le rispondo, perché vedo che il tema della residenza fiscale continua ad essere di interesse per i nostri Lettori.

    Sebbene già affrontato più volte, vedo che qualche dubbio residua ancora oggi, spessp alimentato anche da notizie di stampa allarmistiche, che però sono di solito necessariamente abbastanza generiche.
    Come ricordo sempre anche ai miei clienti, le situazioni possono differire le une dalle altre anche, solo per un piccolo dettaglio e vanno, dunque, analizzate caso per caso.

    Purtroppo, nella lettera non viene menzionato l’articolo sulla decisione della Cassazione al quale si fa riferimento. È vero che, recentemente, vi è stata una pronuncia contro un ricorrente residente in Svizzera (forse si riferisce a questo caso) ma si trattava di questione completamente diversa dalla Sua e riguardava lo svolgimento di attività lavorativa in Italia.

    Cercherò quindi di riassumere innanzitutto i principi generali, prima di dare una risposta.
    È pacifico – penso anche per i nostri fedeli Lettori ormai – che la residenza di un soggetto sia una questione di fatto. Ai fini della residenza fiscale in Italia in base al TUIR Testo Unico sulle Imposte sui Redditi (DPR N. 917/1986), e secondo l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate e della stessa Cassazione, valgono le seguenti regole, tra di loro alternative.

    Sono, infatti, residenti fiscalmente in Italia i soggetti che per più di sei mesi:
    a) sono iscritti nell’anagrafe dei residenti in Italia,
    b) hanno il domicilio in Italia,
    c) hanno la residenza in Italia.
    Solo se nessuna di queste tre condizioni ricorre nel caso concreto, viene meno il presupposto della residenza fiscale e del conseguente assoggettamento di tutti i redditi prodotti dalle persone nel mondo alla tassazione del fisco italiano.
    La sola iscrizione all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) non è sufficiente ad escludere la ricorrenza di una delle suddette condizioni. Anzi, se normalmente tale iscrizione fa gravare sull’Agenzia delle Entrate l’onere della prova della residenza in Italia, per i cittadini italiani (o anche con doppia nazionalità di cui una italiana) residenti nei Paesi black-list (come la Svizzera, secondo il Decreto Ministeriale 4.5.1999) in questo caso l’onere della prova è invertito e grava sul contribuente.

    Orbene, il fatto che sua moglie con la quale Lei mantiene una stabile relazione coniugale sia residente in Italia (ed il fatto, pure significativo, che lei abbia definito anche l’abitazione in Italia “casa”) potrebbe far ritenere che il suo domicilio sia in Italia – e pertanto soggetto all’imposizione fiscale italiana.

    Si intende per domicilio ai sensi dell’art. 43 del Codice Civile italiano, il luogo in cui una persona ha la sede principale dei suoi affari ed interessi.
    Certo lei obbietterà giustamente di essere residente anche in Svizzera. Infatti, dispone anche in tale Paese di un’abitazione e soprattutto di un lavoro stabile a tempo pieno e con contratto a tempo indeterminato. In altre parole un domicilio, quanto meno prevalente, dei suoi affari.

    Come si risolve questa aporia?
    La soluzione del conflitto di residenza, in questo caso, va ricercata nella già citata Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Svizzera del 1976, che prevale sulla normativa interna (si veda ad es. il riferimento all’art. 75 del DPR n. 600/1973).

    La Convenzione, infatti, all’art. 4 detta una serie di “norme di conflitto” ovvero criteri volti a “sbrogliare” la complicata matassa. Tali criteri sono i seguenti:
    – il soggetto sarà considerato residente nello Stato in cui dispone di un’abitazione permanente;
    – se dispone di abitazione permanete in entrambi gli Stati, varrà il criterio degli interessi vitali, e cioè del luogo nel quale le relazioni personali ed economiche sono più strette;
    – se ancora non si è potuto individuare la residenza, si dovrà fare riferimento alla dimora abituale, e cioè al luogo in cui la persona soggiorna abitualmente;
    – in ulteriore subordine, si dovrà tener conto della nazionalità del soggetto, cioè il contribuente sarà considerato residente dello Stato contraente la Convenzione di cui possiede la cittadinanza;
    – se, infine, sussiste la cittadinanza di entrambi i Paesi o di nessuno di essi, gli Stati contraenti dovranno trovare una soluzione di comune accordo.

    Mi pare di poter dire, analizzando la sua situazione in maniera anche solo sommaria, che nel suo caso non sussista nemmeno il primo dei criteri in quanto in verità sembrerebbe che lei disponga di un’abitazione permanente a suo nome solo in Svizzera, mentre in Italia in realtà l’abitazione è intestata esclusivamente a sua moglie.

    Ad ogni buon conto se tale criterio non soccorresse, non fosse nemmeno chiaramente determinabile il centro dei suoi interessi vitali, riterrei che non potrebbe essere ragionevolmente revocato in dubbio che la sua dimora abituale (come luogo in cui soggiorna stabilmente) si trovi in Svizzera.

    Ciò, sempre che l’abitazione sia congrua rispetto alle sue esigenze ed ai suoi redditi, e possa altresì essere agevolmente provato un livello di consumi ed utenze che supportino tale circostanza. Ricordo, infine, come detto in premessa, che tale onere della prova nel suo caso graverebbe sul contribuente, e cioè su di Lei.

    Ma, aggiungo anche che non dovrebbe risultare nemmeno che le serate infrasettimanali non siano proprio occasionali ma magari più frequenti di quanto detto.

    Tali conclusioni sono state di recente avvalorate – ancorchè in casi riferiti a due altre convenzioni contro le doppie imposizioni – sia in una risposta dell’Agenzia delle Entrate ad un interpello (n. 25 del 4.10.2018), sia dalla Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. trib., 20.12.2018 n. 3992).
    Spero così di avere chiarito i suoi dubbi a dispetto di qualsiasi notizia di stampa. In caso contrario mi scriva ancora. Nel frattempo la saluto cordialmente.

    Avv. Markus W. Wiget

    rubrica legale