Zurigo, la città dove visse e si spense un’icona della cultura tedesca
Lugano - Nell’agosto del 1955, a Zurigo, moriva Thomas Mann, emblema insieme a Goethe della cultura tedesca. Divenne definitivamente famoso in tutto il mondo per il suo capolavoro che nacque ispirato dal soggiorno della moglie in un sanatorio a Davos nel1924, “La montagna incantata”.
In realtà, da oltre 10 anni è “La montagna magica”, una reintitolatazione voluta da una eccellente traduttrice e profonda conoscitrice della produzione manniana Renata Colorni, perché, anche secondo i germanisti, è più consona al significato originale dell’opera.
Il protagonista del romanzo è trascinato in un influsso satanico che lo travolgerà. D’altronde lo stesso Mann fu personalmente tormentato dal questo aspetto che esprimeva come: «… contrasto tra le tendenze civili e demoniache presenti nell’uomo».
Il Nobel
Nato a Lubecca nel 1875 da genitori facoltosi, ha un percorso scolastico modesto. In seguito, mentre lavora a Monaco di Baviera in una compagnia di assicurazioni inizia a scrivere brevi testi e novelle. Abbandonato il noioso lavoro, frequenta l’università e si occupa di teatro, anche in veste di attore.
Prima del capolavoro sopra citato, nel 1901 si impose al pubblico e alla critica letteraria mondiale con il suo primo notevole romanzo “I Buddenbrook”, una sorta di autobiografia dell’ascesa e caduta, nel susseguirsi delle generazioni, di una agiata famiglia di Lubecca. Quest’opera nel 1929 gli valse il Premio Nobel.
Proseguì la sua carriera con altri memorabili lavori, come “La morte a Venezia”, tradotti in tutte le lingue per la letteratura e i teatri internazionali.
Tragici eventi in famiglia
Sposò la ricca Katia Pringsheim nel 1905 alla quale, durante il viaggio di nozze a Zurigo un medico raccomandò di non avere subito figli a riguardo della sua fragile costituzione. Dopo 9 mesi dal consiglio ricevuto, nasce Erika, futura importante figura letteraria, seguita da altri 5 figli generati quasi ogni anno uno dopo l’altro.
Due tra questi, Erika e Klaus furono assai talentuosi in campo narrativo e giornalistico.
Al di là delle apparenze, non fu una famiglia felice. Già reduce dal suicidio delle sue due sorelle (Julia e Carla) Thomas Mann subì la perdita del figlio Klaus che si suicidò a 43 anni.
Egli amò profondamente la figlia Elisabeth, ma trascurò l’altra figlia, Monika. Ancor più desolatamente poco amato fu il figlio minore Michael il quale, dopo aver letto i diari paterni resi pubblici nel 1977 in cui il padre dichiarava di non provare nemmeno un barlume di affetto per lui, si tolse la vita.
Il film documentario
Chi era davvero Thomas Mann? Raccontò la sua vita e il proprio pensiero attraverso le tante opere che rappresentano frammenti grandi o piccoli della sua intera esistenza.
Nelle biografie ufficiali, nei suoi comportamenti pubblici e nelle interviste egli si pone come uomo pacato, formale, gentilmente ironico.
Tuttavia, leggendo i suoi diari – sottoposti al veto di pubblicazione per vent’anni a partire dalla morte dello scrittore – si colgono segmenti del vero animo di Mann. Da questi viene fuori senz’altro una personalità particolarmente travagliata. Era angustiato da problemi fisici psicosomatici, quali soventi emicranie, mal di denti e afflizioni gastrointestinali. Soffriva di continue depressioni. Tutta questa sofferenza venne da lui sempre celata.
Grazie agli scritti della primogenita Erika, saggista di prim’ordine, e di suo fratello Klaus, emerge un insanabile conflitto di opinioni con il loro padre, ad esempio, sulla Germania.
I due sostenevano che la grande tradizione culturale tedesca non aveva alcuna minima attinenza con gli orrori del nazismo di Hitler, mentre il Mann scrisse: «No, non vi sono due Germanie, l’una buona e l’altra malvagia, ma vi è una Germania soltanto, il cui bene per una perfidia del diavolo degenerò in male. La Germania malvagia è quella buona finita male, è quella buona nella sventura, è il bene precipitato nella colpa e nella rovina».
Klaus affermò in tono caustico quanto fosse “straordinaria” la famiglia Mann: «In futuro si scriveranno libri su di noi, e non solo su ciascuno di noi». Ed è ciò che si è avverato nel 2001 con un docu-film di 10 ore realizzato dalla tv tedesca (trasmesso anche in Svizzera) sulla famiglia Mann (“Die Manns - Ein Jahrhundertroman”), basato sul grande lavoro di Erika Mann, girato con attori di livello, nel tentativo, riuscito, di tirar fuori il vero Thomas Mann nelle questioni personali e familiari intrecciate con le folli vicende della storia.
Il nazismo, l’esilio
Il conflitto di idee non lo ebbe solo con i figli ma anche con suo fratello Heinrich Mann, scrittore e giornalista. Nella prima guerra mondiale del 1914 Thomas ha una ferma visione conservatrice che esprime nei suoi saggi, mentre il fratello è un pacifista.
I loro furiosi contrasti proseguirono a lungo fino all’uscita de “La montagna incantata” perché, nella sua maturazione di uomo, aveva espresso nel libro riflessioni filosofiche più morbide e liberali.
Nel 1933 Hitler sale al potere e Mann sceglie l’esilio: arriva in Francia, poi soggiorna in Svizzera, infine accetta l'incarico di docente nell'Università di Princeton negli Stati Uniti. Per le sue pubbliche dichiarazioni contro la dittatura in Germania, svolte anche con continuati discorsi radiofonici alla BBC, i nazisti gli tolgono la cittadinanza, confiscandogli anche i beni e le proprietà. Nel 1944 ottenne la cittadinanza americana. Durante i suoi discorsi alla radio aveva attribuito una colpa collettiva ai tedeschi per l’affermazione del nazismo in patria: un monito per i popoli che non si oppongono, sul nascere, alle dittature.
Finita la guerra decide di non tornare in una Germania divisa in due. Vuole anche evitare di essere manipolato da entrambi i fronti, tedeschi dell’Est e dell’Ovest, affermando in seguito: «Conosco una sola Germania».
Nel 1954 torna in Europa, stabilendosi in Svizzera a Kilchberg nel Canton Zurigo. Il 12 agosto del ’55 Thomas Mann muore per collasso, a Zurigo.
Per i lettori che vorranno visitare la città, potranno accedere all’Archivio Thomas Mann dell’Università di Zurigo e visionare diari, bloc-notes e manoscritti nell’ultimo studio dello scrittore ricreato nella sua atmosfera, ricco di libri e oggetti personali.
Annamaria Lorefice
Thomas e Katia Mann nel 1929 a Berlino, durante il viaggio a Stoccolma dove gli conferiscono il premio Nobel per la letteratura. Tra i suoi memorabili testi tradotti in tutte le lingue per la letteratura e i teatri internazionali citiamo: “La morte a Venezia”, “Altezza Reale”, “Giuseppe e i suoi fratelli”, “I Buddenbrook: decadenza di una famiglia”, “Considerazioni di un impolitico”, “La montagna incantata”.
Katia Mann con i sei figli (1919) da sinistra a destra: Monika, Golo, Michael, Katia, Klaus, Elisabeth e Erika (tutte le foto dal sito: Viaggioingermania.de)
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